Approfittando del suo cinquantaseiesimo compleanno festeggiatosi proprio tre giorni fa (il primo luglio), ne approfittiamo per fare questa intervista, ponendo dieci domande ad uno dei pilastri di NOC Sensei, ma anche ad uno dei più grandi conoscitori ed esperti di fotografia in Italia per quanto riguarda la storiografia, le tecniche costruttive e le maestranze che hanno lavorato nell’industria fotografica mondiale (e specificatamente in quella tedesca e giapponese).
Marco Cavina in realtà è prima di tutto un geologo, specializzato in minerali e paleontologia, titolare di una bellissima attività di pietredure a Faenza, ma come tutti voi saprete è anche “titolare” di una rubrica qui su NOC Sensei e di un blog tra i più seguiti a livello mondiale.
La sua conoscenza e l’incredibile materiale raccolto in oltre trentanni di passione per la fotografia lo hanno portato anche a diventare autore di diverse pubblicazioni e libri dedicati ai sistemi Contarex, Zeiss e Leica.
Sul suo sito si definisce un “cercatore; fotografia, mineralogia, paleontologia e musica” sono i suoi “campi di battaglia”
Marco, da dove nasce la passione per la geologia?
R: la mia passione in questo settore nasce primariamente dalla paleontologia, cioè lo studio dei fossili e di forme di vita delle epoche passate, solo dopo – e per estensione – l’interesse è passato anche ai minerali; nel mio caso c’è stato un episodio infantile scatenante che ricordo molto bene: era il Gennaio 1970, avevo solo 5 anni e in quel periodo, piuttosto difficile per la mia famiglia, come conseguenza di accesi diverbi col Provveditore agli Studi privinciale mia madre si era ritrovata con una cattedra di insegnamento direi “punitiva” in una sperduta frazione dell’alta Val Camonica, dalla quale rientrava solo un giorno al mese; per starle un po’ vicino, in quel frangente l’avevo raggiunta per un lungo soggiorno in loco e la mamma, nel piccolo spaccio locale, mi aveva comprato uno di quegli almamacchi a fumetti di “Topolino” che all’epoca venivano pubblicati mensilmente, per svagarmi quando stavo solo in casa mentre lei era in aula; proprio su quell’almanacco era stata inserita una storia in cui il cane Lillo, come premio per aver sventato un furto al museo di storia naturale, riceveva in omaggio un enorme scheletro di dinosauro da “rosicchiare”; a parte l’evidente assurdità della vicenda (le ossa fossili sono ovviamente trasformate in materiale roccioso), quell’illustrazione dell’immane scheletro di dinosauro sauropode montato in posizione vitale era qualcosa che non avevo mai visto prima e colpì al cuore il mio immaginario, come una bomba; da quella mattina fui fatalmente suggestionato e non pensavo ad altro, leggendo tutto quello che trovavo sui dinosauri e sui fossili e addirittura ebbi per vari anni degli incubi in cui ero inseguito da scheletri viventi; il resto furono corollari sequenziali: la ricerca, la collezione, gli studi, le spedizioni in Africa, il commercio; in questo campo mi ritengo molto fortunato perchè ho potuto reperire, spesso personalmente, e conservare in collezione pezzi di livello museale e di grande interesse scientifico; proprio alcuni di questi ritrovamenti hanno portato all’inserimento nell’Albo d’Oro della Mineralogia e Paleontologia Europea da parte della Federation Europeenne Paleontologie et Mineralogie quando non avevo ancora 22 anni.
Qualìè la tua pietra preferita e perché?
R: come ripeto, io sono più attratto e interessato ai fossili che ai minerali e alle pietre diciamo “estetiche”; naturalmente ci sono diversi minerali e pietre dure o preziose dalle quali sono attratto, se dovessi indicarne una direi l’ametrino, nome che nasce dalla crasi di ametista (pietra viola porpora) e citrino (pietra giallo miele); infatti l’ametista, minerale idrotermale costituito in pratica da quarzo che deve il suo colore a ossido di ferro, quando viene scaldata naturalmente da intrusioni vulcaniche vira ad un colore giallo ambrato, diventando quarzo citrino; in certi casi si rinvengono campioni nei quali lo sbalzo termico ha convertito il colore viola porpora in giallo solamente fino ad un certo punto, lasciando il resto nel viola originale, con un’interfaccia abbanza netta; l’ametrino è appunto un materiale cristallino e trasparente nel quale parte della massa presenta un intenso colore viola e l’altra un altrettanto affascinante colore giallo, un minerale che mi richiama idealmente le dicotomie e i paradossi della natura umana.
Hai tantissime altre passioni (musica, sport, arte). Dove trovi (e hai trovato) il tempo per alimentare tutte queste passioni con la tua consueta profondità e specializzazione?
R: diciamo che il merito è soprattutto… dell’anagrafe: questi interessi li coltivo fin dall’infanzia e ormai sono passate quattro decadi da quegli iniziali entusiasmi, lasciandomi quindi tutto il tempo per progredire e approfondire i vari settori; con la musica iniziai a 9 anni e già a 14-15 anni con certi strumenti me la cavavo piuttosto bene proprio perchè avevo dedicato a quella passione svariate ore al giorno: in pratica andavo a scuola, mangiavo, dormivo e…suonavo; la conoscenza dell’arte è una conditio sine qua non per capire come realizzare e comporre una buona fotografia, quindi è un’esigenza che in una certa fase del proprio cammino evolutivo come “fotografo” è necessario soddisfare, e sono stato fortunato perchè ho avuto la possibilità di collaborare per lungo tempo con esperti e luminari di tale settore, realizzando le fotografie necessarie alle loro pubblicazioni; proprio queste reiterate e prolungate frequentazioni nelle più disparate locations mi ha consentito di attingere al loro sapere e diventare più consapevole; riguardo allo sport, non sono mai andato oltre il puntuale mantenimento di un fisico di base abbastanza atletico, non ho mai raggiunto prestazioni assolute degne di nota ma la cura del benessere fisico, perseguita sia praticando vari sport che prestando attenzione all’alimentazione e all’integrazione alimentare, è stata un’azione lungimirante dalla quale ora traggo ampi benefici; in molti casi il tempo ridondante necessario riuscivo comunque a ritagliarlo nell’attività di negozio, nelle pause vuote fra un cliente e l’altro (in effetti ho scritto centinaia di articoli al laptop stando seduto dietro il banco dell’esercizio).
Esiste (se c’è) una linea di collegamento tra Geologia, Fotografia, Sport e Musica?
R: credo che sia difficile da identificare in modo oggettivo un collegamento diretto fra mondi così eterogenei, posso però analizzare a cosa siano stati funzionali per me: lo studio dei fossili è un viaggio alle origini della vita e del tempo, cercando risposte alle domande di sempre: “chi sono?”, “da dove vengo?”, “da cosa mi sono evoluto?”, camminando in bilico su orizzonti spazio-temporali da brivido; la fotografia è un alter ego che permette di esprimere l’ineffabile che si cela in me, e anche di congelare e condividere emozioni per le quali non esistono parole; musica e sport consentono di apprezzare step by step i progressi conseguiti e quindi soddisfano un po’ la mia ossessione compulsiva per la ricerca della perfezione; naturalmente anche la musica, magari improvvisando in momenti emotivamente tumultuosi, permette di esprimere sensazioni sottili e diversificate in modo altrimenti impossibile; tutto questi settori, come un puzzle di tasselli che vanno a posto, ha permesso al Marco che conosciamo oggi di realizzarsi più o meno compiutamente.
A quale età hai iniziato a fotografare?
R: nella mia famiglia nessuno era particolarmente appassionato alla fotografia e le istantanee domenicali, nei miei primi anni, venivano realizzate con una comune ed economica fotocamera italiana dell’epoca; le primissime esperienze con un apparecchio “serio” arrivarono nell’estate del 1978, a 14 anni appena compiuti, perchè un amico che frequentava spesso la Romania per ragioni professionali era solito acquistare sul posto attrezzature d’oltre Cortina e in quella circostanza mi prestò per una vacanza in Grecia una Praktica PLC-2 con ottica Pentacon Electric 50mm 1:1,8; in realtà la batteria dell’esposimetro era scarica e, complice la mia totale inesperienza, di tutte le immagini scattate a soggetti interessanti e magnifici ne risultarono correttamente esposte solamente alcune, quelle cioè per le quali i valori di tempo e diaframma coincidevano casualmente (un po’ come l’orologio rotto che segna comunque l’ora esatta due volte al giorno…); non fu un esordio molto promettente ma comunque fu un inizio; in seguito, nel Gennaio 1980, a 15 anni, acquistai una Olympus OM-1n, seguita ad Ottobre dello stesso anno da una Chinon CE-4 con grandangolare e zoom tele Tamron e da una Nikon FE presa a Maggio 1981; poi arrivarono alcuni obiettivi Nikkor, una Zenza Bronica, un esposimetro Lunasix-3… Insomma, ormai ero irrimediabilmente preso!
Cosa ti ha affascinato della fotografia (quando hai iniziato) e cosa continua ad affascinarti?
R: il fattore che mi ha fatto appassionare alla fotografia vedendola come qualcosa di più del semplice strumento per documentare ricorrenze familiari è sempre legato al settore dei minerali e fossili; a fine primavera del 1979, quando avevo ancora 14 anni, fui fra i soci fondatori del Gruppo Mineralogico Paleontologico della mia città, fondato assieme ad altri appassionati ricercatori e collezionisti; due di loro, che conoscevo bene già da un paio di anni, possedevano apparecchi reflex con soffietto e tubi di prolunga e spesso ci facevano visita, di sera, per realizzare macrofotografie a campioni della mia collezione; naturalmente, curioso come una scimmia, ad ogni scatto mi facevo largo a spintoni per sbirciare nel mirino e assistere al miracolo del cristalli magicamente ingranditi sul vetro smerigliato… Proprio la straordinaria opportunità di documentare le meraviglie nascoste di questo mondo lillipuziano accesero in me un grande entusiasmo, e infatti il primo accessorio acquistato nel Gennaio 1980 assieme alla Olympus OM-1n fu un set di tubi di prolunga per la macrofotografia; della fotografia continua ad affascinarmi in modo inesauribile il carico emozionale che è possibile trasferire in ogni singola immagine e mantenerne intatta la pregnanza nel tempo, non finirò mai di meravigliarmi per questa incredibile opportunità.
Hai una collezione infinita di corpi macchine e ottiche di svariate marche, ma tra le tante, c’è una fotocamera e una lente preferita e perché?
R: vorrei davvero che questo corrispondesse a verità… In realtà io non sono benestante di famiglia e la mia inesauribile curiosità intellettuale che effettivamente mi porterebbe ad acquisire tutte le ottiche e le fotocamere esistenti per testarle, confrontarle e farmi un’idea precisa sui loro pregi e difetti deve purtroppo scontrarsi con la cruda realtà; devo anche specificare che il mio interesse è focalizzato soprattutto sugli obiettivi perchè ciascuno di essi esprime un fingerprint ed una personalità specifica e particolare, effettivamente apprezzabile nell’immagine finale, elemento al quale la fotocamera non può aggiungere molto, pur apprezzando ovviamente le raffinatezze e la qualità costruttiva di molti modelli; se ci riferiamo alla prassi quotidiana con apparecchi moderni, il continuo turnover non consente di affezionarsi particolarmente ad un modello e si può dire che la fotocamera preferita è sempre l’ultimo esemplare reso disponibile dal fabbricante; andando in apparecchi più classici, dovendone salvare alcuni dall’annichilimento di una catastrofe cosmica, porterei senz’altro macchine meccaniche come Leica M3 e Hasselblad 500C/M, apparecchi essenziali, esteticamente senza tempo e di letale efficacia, assieme a classici del settore reflex come Nikon F/F2 o Canon F1; per quanto riguarda gli obiettivi, il mio approccio visivo è irrimediabilmente grandangolare, tuttavia ultimamente sto cercando di affinare questa attitudine mantenendone gli inequivocabili attributi formali mentre, nel contempo, adatto la visione e la composizione a focali sempre più lunghe, per evitare i classici eccessi di dinamizzazione prospettica, e in questo modo mi sono progressivamente spostato da ottiche oggettivamente supergrandangolari fino a modelli da circa 75° di campo, come potrebbero essere un 28mm nel 24x36mm e un 50mm nel 6x6cm; pertanto, oggi come oggi, mi sentirei davvero a mio agio con un’ottica come l’Elmarit-M 28mm f/2,8.
Tra i tanti progettisti, designer e/o fondatori delle aziende fotografiche, ce n’è uno in particolare che avresti voluto conoscere e perché?
R: anche in questo contesto sono stato molto fortunato perchè ho effettivamente stretto amicizia con discendenti di alcuni dei più famosi progettisti di ottiche della storia, ovvero Ludwig Jackob Bertele, Erhard Glatzel e Max Berek, e in alcuni casi mi hanno onorato al punto da venire in Italia per farmi visita e conoscermi personalmente, forse incuriositi dalla grande passione con la quale avevo effettuato ricerche e scritto pezzi sul lavoro dei loro antenati; in questo contesto l’acme è stato sicuramente raggiunto con la famiglia di Ludwig Bertele (celeberrimo progettista padre degli schemi Ernostar, Sonnar e Biogon): dopo aver incontrato e conosciuto personalmente il figlio maggiore Erhard e il nipote Guenther, figlio di sua sorella, sono stato ospitato per 15 giorni da Erhard nella sua proprietà nell’Oberland di Zurigo, dove ho ricevuto in regalo cimeli di inestimabile valore storico e ho potuto approfondire vis à vis argomenti, tematiche e dettagli sulla vita del grande progettista che erano prima ignoti; pertanto, visto l’approfondimento pregresso, forse mi sarebbe piaciuto conoscere di persona proprio Ludwig Bertele (purtroppo mancato per un colpo apoplettico nel 1985, ad 85 anni di età) e magari chiedergli dove avesse preso ispirazione per i suoi originalissimi schemi che hanno rivoluzionato l’ottica fotografica del ‘900.
Hai scritto diversi libri, ma ce n’è uno in particolare che vorresti scrivere?
R: oggi come oggi, considerando che è in lavorazione il volume sugli obiettivi Summilux-Noctilux e che affiancherà gli analoghi volumi dedicati a Summicron, Elmar ed Elmarit, magari mi piacerebbe un ulteriore testo per concludere la collana e nel quale raggruppare le ottiche Leica non considerate nelle edizioni precedenti come Telyt, Summaron, Hektor, etc.; se invece dovessi seguire le vie del cuore, ascolterei il superwider che è in me e ipotizzerei un volume che descriva la storia e la genesi del supergrandangolare, prendendo in considerazione e documentando adeguatamente tutti i modelli più significativi e tecnicamente rilevanti che si sono avvicendati in questi 150 anni; tanto lavoro per un volume invendibile, ma questo è un altro discorso…
Se potessi produrre nuovamente una fotocamera e/o una ottica, quali sceglieresti e perché?
R: discorso complesso, anche perchè la maggioranza delle ottiche vintage significative utilizzavano vetri ottici con ingredienti dannosi per l’ambiente e il cui utilizzo è stato poi messo al bando, obbligando le vetrerie a produrre versioni ecologiche dalle caratteristiche leggermente differenti; pertanto non sarebbe possibile realizzare un clone perfetto di obiettivi vintage perchè i vetri originali non vengono più prodotti; occorre anche considerare che, in tempi di digitale dilagante, riproporre apparecchi analogici vintage, magari per formati di pellicola non più prodotti da tempo, non potrebbe essere un’opzione commerciale fattibile (farebbe felice una nicchia di fedelissimi ma i numeri non tornerebbero); personalmente replicherei volentieri le prerogative estetiche, meccaniche e tecniche del sistema Leica a telemetro anni ’50, sia corpi che ottiche, ma in questo siamo già stati preceduti dal fabbricante stesso che, dopo aver introdotto in modelli moderni elementi inequivocabilmente derivati da corpi senza tempo come la M3, ha proseguito l’operazione revival con le riedizioni di famosi obiettivi del passato come il Summaron 28mm o il Thambar 90mm, senza dimenticare le montature vintage con godronature d’epoca proposte per vari obiettivi attuali; tornando fatalmente al mio amore per i compassi aperti, magari se potessi produrre nuovamente uno strumento fotografico vintage cercherei di replicare il Goerz Hypergon dal 135° del 1900, stemperando eventualmente grazie alla tecnologia moderna alcuni suoi classici limiti e realizzando quindi le due lenti simmetriche con vetri attuali ad alta rifrazione e dispersione contenuta, con afficace antiriflessi multiplo, passivando bene la superficie del famoso sistema digradante frontale a stella girevole e rendendone più facile il suo utilizzo realizzando una fotocamera dedicata con getto d’aria per la stella rotante alimentato a batteria;la scelta eventuale di una focale ancora più corta rispetto ai 60mm che costituivano l’esordio delle versioni d’epoca consentirebbe di utilizzare lastre piane di dimensioni inferiori rispetto ai formati enormi necessari all’origine per sfruttare interamente l’enorme angolo di campo; mi piacerebbe che l’Hypergon rivivesse perchè è stato un assoluto senza eredi, un grandangolare rettilineare da 135° di campo che ancora oggi non è stato eguagliato dai superwide più spinti di attuale produzione e un oggetto assolutamente affascinante per la sua struttura semplicissima e l’incredibile soluzione adottata per compensare la vignettatura fisiologica; meriterebbe sicuramente di rivivere.
Grazie Marco Cavina.
Staff NOC Sensei.
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