Leica M7 e Ferrania P30: accoppiata vincente. Parte Prima
Leica M7 è, a mio parere una delle più riuscite Leica M a pellicola, eppure non ha assolutamente incontrato il consenso e il successo di pubblico che doveva meritarsi. L’ho provata insieme a un’altra prodotto “difficile” anche se è stato subito accettato dal mercato, la pellicola Ferrania P30
Buona lettura e buona visione a tutti
Il solito passo indietro
Leica, presentata nel 1925, di fatto, è sempre rimasta uguale a sè stessa: messa a fuoco telemetrica e mirino galileiano.
Leica stessa fu una rivoluzione, una fotocamera che venne costruita intorno a una pellicola già esistente, e per di più cinematografica.
Le cose rimasero “quasi” uguali fino al 1954, con la presentazione del 5 aprile alla Photokina della Leica M3: mirino più grande che incorpora anche il telemetro, attacco obiettivi non più a vite ma a baionetta.
E tutto continuò a rimanere quasi uguale fino al 1984, con la presentazione della Leica M6, un classico corpo M con all’interno un esposimetro TTL spot con cellula al silicio. Un disco bianco di 12mm di diametro posto sulla prima tendina riflette la luce verso la cellula esposimetrica, posta a sinistra della camma del telemetro.
La M6, anche se dotata di pile che sovraintendono esclusivamente al funzionamento dell’esposimetro, rimane pertanto una macchina interamente meccanica, col design di una M4, cui è stato abilmente inserito un esposimetro al silicio controllato da led. La cellula al silicio (in alto, nel vano otturatore nello schema, dotata di una lentina fissa, per una lettura concentrata) legge la luce riflessa di un bollo circolare bianco, del diametro di 12mm, stampato sulla prima tendina dell’otturatore. In questo modo la cellula è esente da fenomeni di abbagliamento di luci parassite e si comporta di fatto come un esposimetro TTL ma a luce incidente, non riflessa, quindi con una perfezione di lettura assolutamente ineguagliabile.
Il controllo dell’esposizione avviene tramite due led triangolari posti nel mirino, legati alla movimentazione delle ghiere dei tempi e dei diaframmi. La sensibilità della pellicola può essere impostata da 6 sino a 6400 ISO. La lettura dei due triangoli non è istintiva, così come non è istintivo, o meglio, manca, la possibilità di leggere nel mirino il tempo impostato – cosa già presente in molte fotocamere dell’epoca, come la Nikon FM, giusto per fare un esempio. I numeri di matricola partono da 1.657.251 per una produzione totale sino al 1999 di 132.000 macchine, nere, cromate e al titanio.
All’interno del mirino si trovano le cornicette per le focali 28 – 35 – 50 – 75 – 90 e 135mm. La macchina non è dotata di autoscatto, in quanto nella parte destra dell’apparecchio si trova il vano batteria. Una mancanza a mio parere non indifferente quando si vuole lavorare con i tempi lunghi su treppiedi e non si ha a disposizione uno scatto a filo. In più le doppie leve, una sulla parte sinistra e una sulla parte destra, dell’autoscatto per le focali sulla e della scelta delle cornicette per le focali da impostare sul lato sinistro danno alla macchona un’aspetto, per usare un termone da orologeria, meno complicato, ma tant’è.
L’alimentazione dell’esposimetro richiede due batterie a pastiglia all’ossido d’argento da 1,55V (Varta PX76, Duracell SR44 – 357 303, ecc), oppure una batteria al Litio da 3V tipo DL1/3N, con un’autonomia di 130 rulli di pellicola.
Leica M6, insieme alla ancora più pira Leica M4 ( non è provvista di esposimetro e di conseguenza la meccanica non è contaminata da alcun tipo di circuitazione elettrica, rimangono tutt’ora lo stato dell’arte nella produzione delle Leica M a pellicola.
Però, c’è un però…
L’albero genealogico
Ecco l’albero genealogico di dal basso verso l’alto, dalle prime Leica a vite fino allo “scisma” sulla destra, delle Leica reflex e in alto le ultime prodigiose M. Ed è in cima all’albero genealogico che alligna la mia M preferita, la Leica M7
Leica M7, incompresa, ma non certo incompiuta.
Se il 2001 rappresenta l’Odissea nello spazio per Stanley Kubrick, il 2002 rappresenta l’Odissea, nel senso più eroico del termine, di Leica, con la presentazione della M7
Introduce innanzitutto un otturatore elettronico del tutto nuovo che permette per la prima volta l’uso anche della priorità di diaframmi su un corpo M. L’esposizione è automatica anche col flash dedicato, con tempo sincro di 1/50 sec. Naturalmente esiste anche la possibilità di esporre manualmente. La macchina è dotata anche di un interruttore off/on per evitare che le pile si scarichino anzitempo da un lato, per evitare scatti accidentali dall’altro. I tempi di esposizione in automatico arrivano sino a 32 sec (4 secondi in manuale), mentre i tempi meccanici sono limitati a 1/60 e 1/125 di sec.
E’ in grande passo avanti, Nikon e non solo aveva già abituato i suoi utenti a tempi selezionabili fino a 8 secondi in manuale ( Nikon FE, Nikon F3 ) ma per Leica questa è una novità rivoluzionaria, per non parlare, anche se solo in priorità di diaframmi, della possibilità di scattare lasciando che la macchina imposti un tempo di scatto fino a 32 secondi; questo, unito alla staratura intenzionale dell’esposizione, permette di impostare tempi lungi più brevi costringendo la fotocamera a raddoppiare o triplicare l’esposizione per sottomettersi all’effetto di non reciprocità delle pellicole.
Una ghiera dei tempi rivoluzionaria
Tutta la tecnologia ” visibile” è concentrata nella ghiera dei tempi, in quella “A” da me contrassegnata dalla freccia, che trasforma la M7 in una fotocamera a priorità di diaframmi, con quei due “tempi supplementari”, 2S e 4S e con qui due temi uniti dal segmento d’arco, il 1/60 e il 1/125 di secondo che so no i tempi meccanici, ovvero i tempi che permettono di lavorare con la M7 a batterie completamente scariche. Un binomio interessante, sia per la scelta dei tempi che per il fatto che i tempi meccanici sono due e non uno, come di consueto sulle macchine con otturatori elettromagnetici.
L’articolo continua con video e altre immagini sul sito di Gerardo Bonomo.
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