Kodak Autographic, una fotocamera geniale

Ai miei amici. Il mio lavoro è compiuto. Perchè attendere?

E’ l’ultima frase, dettata, ma più probabilmente scritta da Gorge Eastman pochi minuti prima di porre fine alla sua vita, il 14 marzo del 1932.

Indubbiamente la maggior parte del lavoro compiuto da Eastman, attraverso la sua azienda, la Kodak, era effettivamente compiuto, in buona sostanza la fotografia era diventata alla portata di tutti, ma indubbiamente altro ci sarebbe stato da fare, e così è stato, non solo per Kodak, ma per il progresso che ha trasformato la fotografia così come era concepita negli anni 30, alla fotografia, quindi al digital imaging del terzo millennio.

Per parlare in modo corretto di pellicola non ci si può esimere da qualche breve digressione sulla sua invenzione, e sarebbe necessario ben di più dello spazio disponibile nell’articolo di una rivista.

Sintetizzando, quindi, dobbiamo innanzitutto pensare che i primi materiali sensibili erano lastre di vetro, fragili e complesse da utilizzare, e non alla portata del grande pubblico ma solo dei fotografi professionisti. Nel 1885 George Eastman mise a punto la prima pellicola, quindi un materiale flessibile, infrangibile e avvolgibile, usando il nitrato di cellulosa – e per questo altamente infiammabile ( Uno degli eventi principali del film Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore ne è un esempio)  – .

Quasi contemporaneamente, nel 1887, il Reverendo Hannibal Goodwid depose un brevetto sostanzialmente identico, ed entrambi i prodotti guardavano innanzitutto alla neonata cinematografia, prima che alla fotografia. Il primo rullo di Kodak era infatti nel formato 35mm, formato da cui negli anni venti prese spunto Oskar Barnack quando nel 1924 inventò la prima Leica. ( acronimo di LEitz CAmera )

Grazie alla cinematografia – la cui industria da sempre ma soprattutto oggi ha giustificato e continua a giustificare la produzione della pellicola 35 mm ANCHE per uso fotografico – la fotografia diventa portatile – la fotocamera – e alla portata di tutti.

Questo nulla toglie al lavoro del fotografo, al principio quasi esclusivamente ritrattista, ma da un lato permette a chiunque di fotografare, e di conseguenza, seppur con qualità relativa rispetto a un professionista, di costruire una storia visiva del 900, fatta per lo più di ricordi personali, di volti ignoti, ma anche di foto di paesaggio, di città, di navi e treni, oggi come minimo trasformati se non scomparsi per sempre.

“ You press the button, we do the rest “

Lo slogan del 1888 proprio della Eastman Kodak: “ You press the button, we do the rest “ è la vera rivoluzione della storia della fotografia.

La rivoluzione successiva segue a oltre cento anni di distanza, quando chiunque, con uno smartphone dotato di fotocamera, può premere un bottone e senza neppure che nessun altro faccia il resto….Kodak, come altri fabbricanti di pellicole, non solo realizzava pellicole, chimica e carte fotografiche  ma anche fotocamere. L’interesse non era naturalmente nella vendita delle fotocamere, a basso valore aggiunto, ma nella vendita delle pellicole e dei relativi servizi di sviluppo e stampa, ad alto valore aggiunto, non diversamente dagli attuali fabbricanti di stampanti che propongono il prodotto a un prezzo simbolico – il costo del primo set di cartucce incluse oltre a una sorta di gettone d’ingresso – piuttosto che i provider telefonici, che regalano – quasi – i telefoni confidando poi sui ricavi provenienti dal traffico telefonico.

Se la fotocamera più famosa di Kodak fu proprio la Eastman Camera, prodotta nel 1888 e precaricata con un rullo da ben 100 pose (!) quella che rese la fotografia davvero alla portata di tutti fu la Brownie del 1900: costava un dollaro e la pellicola 15 centesimi, e il fatto che la fotocamera costava come appena 6 rulli di pellicola o poco più la dice lunga sul concetto di “ ricavi da materiale consumabile “.

Ma Kodak non produsse solo fotocamere economiche, ma anche prodotti estremamente raffinati e complessi sia dal punto di vista ottico che meccanico. Senza contare l’utilizzo di materiali e un design che in molti casi ha sfiorato nella produzione di alcuni modelli la vera e propria opera d’arte, intesa dal punto di vista del design industriale.

Il mercato fotografico ai primi del Novecento.

Qual’era la situazione di mercato, quindi l’offerta di fotocamera ai primi del novecento?

Il Giappone ancora non aveva iniziato a produrre fotocamera, attendeva inconsapevole la prima Leica UR di Oskar Barnack.

Si iniziavano ad affacciare le prime fotocamere in grado di accettare le pellicole Kodak, quindi le pellicole medio formato – il formato 24x36mm era ancora di là da venire – . Stava per muovere i primi passi la Rolleiflex, in contemporanea con Voigtländer, di cui i fondatori di Rolleiflex erano due dipendenti poi staccatisi, all’inizio con fotocamere stereoscopiche – la Rolleiflex che conosciamo noi altro non è se non un modello stereo appoggiato su uno dei lati corti … –

C’era naturalmente una pletora di folding, prodotte da diverse nazioni, a cominciare dalla Francia, nella maggior parte dei casi macchine artigianali e riservate ai fotografi professionisti.

Zeiss e Leitz erano impegnate innanzitutto nella produzione di telescopi e di microscopi, mentre Nikon produceva binocoli e sistemi di puntamento per la Marina Imperiale Giapponese mentre bisognerà aspettare gli anni trenta e quaranta perché gli attuali giganti dell’ottica giapponese producano i primi corpi macchina e primi obiettivi – sulla falsariga di Leica.

Agli inizi del 900 possiamo quindi assolutamente affermare che la Eastman non era solo il principale produttore mondiale di pellicola, chimica e carte fotografiche, ma anche di fotocamere.

Qui ci occuperemo di una delle fotocamere che a nostro avviso è tra le più interessanti dell’intera storia della fotografia, includendo anche il digitale, la Kodak Autographic.

Dove e quando è stata scattata questa fotografia?

Quando si osserva una fotografia ci si pongono innanzitutto due domande: dove e quando è stata scattata la foto. Oggi, grazie agli exif e possibile non solo sapere quando e dove è stata scattata un’immagine, ma con quale fotocamera, obiettivo, con quale diaframma e tempo di scatto, se è stato usato il flash, che tipo di impostazione esposimetrica è stata utilizzata, se è stata impostata una staratura intenzionale dell’esposizione. Un esempio in questi screenshot che prendono in esame gli exif di uno scatto realizzato con una Nikon D700 e la possibilità addirittura di “proiettare” su Google Maps l’immagine nel preciso punto in cui l’immagine è stata scattata

 

La Nikon F6, l’ultima e la più straordinaria flagship argentica di casa Nikon.

La Nikon F6, l’ultima ammiraglia pellicola AF di Nikon, non solo era in grado di stampare alcuni dei dati di scatto sul bordo esterno di ciascun fotogramma, senza ledere l’area utile dell’immagine, ma era anche possibile trasferire i dati su un computer, attraverso l’adattatore MV-1 e, in abbinata con un Coolscan di Nikon, i dati di scatto venivano inseriti negli exif di ciascun file immagine derivato  dalla scansione di ogni singolo fotogramma…. !

Nikon MF-28 Multi-Control Function Data Back

Il Dorso data Nikon MF 28, progettato per la Nikon F5, permetteva di imprimere diversi dati di scatti sia all’interno dell’area utile dell’immagine che tra un fotogramma e l’altro.

Tipo sovraimpressione:

All’interno del fotogramma: LCD con 6 caratteri a 7 segmenti.

Nella spaziatura tra i fotogrammi: LCD a matrice di punti 5×7, 22 caratteri

Dati sovraimpressi:

All’interno del fotogramma: 1) Anno/Mese/Giorno, 2) Mese/Giorno/Anno, 3) Giorno/Mese/Anno, 4)Giorno/Ora/Minuto, 5) Ora/Minuto/Secondo, 6) conteggio fotogrammi,7) numero in sequenza a6 cifre (fino a 999999), 8) numero fisso a sei cifre

Nella spaziatura tra i fotogrammi: 1) Anno/Mese/Giorno/Ora/Minuto/Secondo, 2) Anno/Mese/Giorno/Ora/ fino a 8 caratteri, 3) Mese/Giorno/Ora/ Minuto/ fino a 8 caratteri, 4) Giorno/ Ora/Minuto/Secondo/ fino a 8 caratteri, 5) didascalia fino a 22 caratteri, 6) conteggio fotogrammi, 7) tempo/diaframma, 8) livello di compensazione in Auto Bracketing, 9) fino a 18 caratteri/anno a 4 cifre

La Pentax 645 N

Negli anni 90 fece la sua comparsa la Pentax 645N, una medio formato in grado di imprimere sul bordo esterno di ciascun fotogramma i prinicipali dati di scatto

La Olympus Mju II

Presentata nel 1997, questa straordinaria compatta è armata con un 35mm asferico di qualità eccezionale con minima distanza di messa a fuoco di soli 35cm. Weatherproof, flash incorporato, possibilità di settare l’esposimetro incorporato in modalità spot, è una compatta di nome e di fatto, 145gr, che sta davvero nel taschino e si utilizza con una sola mano. Era disponibile anche con il dorso data che permetteva di imprimere anno/mese/giorno sul bordo interno del negativo. Venne prodotta in quasi 4 milioni di esemplari e il suo successo fu bisato dai successivi modelli armati con differenti tipologie di zoom. 

 

La matita bianca e gli album di cartoncino nero

Facendo un passettino indietro di un mezzo secolo, il dove e il quando di norma venivano scritti a mano sulle pagine degli album; le foto erano trattenute sui quattro lati da appositi triangoli; se una foto si staccava, o veniva donata, gli “exif” si perdevano irreversibilmente. Ci si comincia comunque ad avvicinare al concetto di Autograph: il dove e il quando sono a scritti a mano: di chi ha scattato, non rimangono solo le foto, ma anche il segno calligrafico. Fotografia, Olografia,Calligrafia.

N.1: AUTOGRAPHIC Kodak Junior Camera

Il primo modello Kodak Autographic era denominato Junior ed è del 1914, e montava già la pellicola 120, contemporaneamente ad altri modelli che montavano pellicola sempre in rollfilm ma in formato 116,118,122, 130. Una bella Babele dalla quale si è salvato solo il formato 120, ma questo ci basta, e basta a chiunque riesca a mettere le mani su una Autographic 120: se è vero che alcuni formati di pellicola sono ancora in produzione, ma in piccoli lotti difficili da reperire, certamente il formato 120 è ancora e assolutamente in produzione e questo ci basta.

Ma cosa aveva di speciale la Kodak Autographic? La risposta proprio nel nome; permetteva infatti non solo – ovviamente – di fotografare, ma anche di autografare le proprie immagini.

 

La Kodak Autographic, un primo contatto.

Prima di addentrarci più approfonditamente nei dettagli tecnici della fotocamera, questa prerogativa era garantita da uno sportello posizionato sul dorso della fotocamera che una volta aperto permetteva di accedere alla carta di protezione nella quale era ed è tuttora avvolta la pellicola 120 . Con uno stilo appuntito fornito in dotazione con la fotocamera, era possibile scrivere sulla carta una data, piuttosto che la località di scatto, un breve appunto, volendo la propria firma, per far sì che il trasferimento di una particolare sostanza sul dorso della pellicola, potesse esporre la scritta appena composta direttamente sull’emulsione. Semplicemente esponendo il dorso della fotocamera con lo sportello aperto al sole o alla luce ambiente, per un numero di secondi che erano riportati sulle istruzioni della fotocamera ( da un minimo di 2 a un massimo di 15 secondi ) e che variavano appunto  a seconda del tipo di luce presente sulla scena – sole diretto, cielo nuvoloso, e così via – impressionando così la scritta sulla pellicola.

Una volta sviluppata la pellicola, che fosse poi stampata a contatto come spesso accadeva a quell’epoca o ingrandita, sulla stampa, nello spazio tra un fotogramma e l’altro, senza quindi alterare in alcun modo l’immagine, si sarebbe potuta leggere la scritta, in bianco su fondo nero.

La Kodak Autographic è quindi l’unica fotocamera mai prodotta nella storia della fotografia con la quale era effettivamente possibile fotografare nel senso letterale del termine, quindi scrivere con la luce.

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L’articolo prosegue sul sito di Gerardo Bonomo

 

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