Hasselblad. Guida pratica di utilizzo: parte quinta. Lo sviluppo. (Con sorpresa finale…)
Scritto, realizzato e pubblicato da Gerardo Bonomo.
Come spiegato nelle puntate precedenti, ho usato una Hasselblad 500 C/M Classic edizione Anniversary, con relativi accessori, a cominciare dal fondamentale treppiedi e pellicola Rollei Superpan 200
Lo sviluppo
La Rollei Superpan 200 può essere sviluppata con diversi tipi di sviluppo e a varie diluizioni.
Qui ho voluto provare uno sviluppo della italiana Bellini, l’Hydrofen, molto simile sia allo Studional di Agfa – non più in produzione – che al R09 Spezial, tutt’ora in produzione. La diluizione consigliata è normalmente 1+15 ma io l’ho dimezzata raddoppiando il tempo di sviluppo, passando quindi alla diluizione 1+31 con un tempo di sviluppo totale 13 minuti, primo minuto rovesciamenti continui, restanti 12 minuti un capovolgimento ogni 30 secondi.
Grazie al fatto che la base è in P.E.T. e non in triacetato, la Rollei Superpan 200 asciuga a temperatura ambiente in meno di 30 minuti.
Ho utilizzato, sempre della Bellini, sia il bagno d’arresto che di fissaggio, a cui ho fatto seguire il lavaggio e il bagno finale in acqua depurata con aggiunta di imbibente. Qui di seguito la formulazione del processo.
Prebagno: Acqua a 20° per un minuto.
Sviluppo: Bellini Hydrofen diluizione 1+31 a 20° per un minuto, agitazione continua. A seguire, 16 minuti con un rovesciamento ogni 30 secondi.
Arresto: Bellini Stop 1+19 a 20° per un minuto.
Fissaggio: Bellini FX100 diluizione 1+4 a 20° per 5/6 minuti
Lavaggio: Acqua corrente a 20° per 10 minuti.
Risciacquo finale: Acqua demineralizzata a 20° con Wetting Agent diluizione 1+200 per un minuto.
Asciugatura.
La tank
Ho usato una tank della Paterson, la Multi – reel 5, in grado di sviluppare contemporaneamente fino a 5 rulli in formato 135 o fino a tre rulli in formato 120. La capacità massima è di 1500 ml per ciascuna soluzione utilizzata durante le varie fasi di sviluppo, quindi 300ml per ogni spirale impostata per il formato 135, 500ml per ogni spirale impostata in formato 120.
La spirale
Anzichè utilizzare come di consueto lo spirali Paterson ho preferito optare per le A.P. che hanno un sistema di caricamento facilitato, molto utile soprattutto quando si carica la pellicola 120, più corta della pellicola 135 ma decisamente più larga, e per questo ha la tendenza a non impegnare correttamente la spirale all’inizio del caricamento. Senza contare il fatto che la pellicola 135 può essere impegnata nella spirale alla luce, quella 120 nel buio completo.
Differenza tra il caricamento della pellicola 135 e 120 in una spirale A.P.
A sinistra il caricamento, alla luce, della parte iniziale di una pellicola 135. La spirale con innesto facilitato A.P. è comunque di aiuto, nonostante la manovra venga fatta alla luce. A destra il caricamento di una pellicola 120, che deve avvenire, fin dal principio, nel buio più assoluto. Se non si riesce a prendere da subito dimestichezza con la spirale Paterson, la spirale A.P., con innesto facilitato, caricando il formato 120 è indubbiamente di grande aiuto.
La chimica utilizzata per lo sviluppo della pellicola Rollei Superpan 200: in alto da sinistra: Bellini Hydrofen, Bellini Stop, Bellini Fissaggio e come imbibente il tradizionale WAC. L’ultima chimica a destra è lo Stab 1 della Bellini,- da usare in alternativa al WAC – che unisce alle proprietà di un normale imbibente anche quella di stabilizzare e aumentare l’aspettativa di vita dell’immagine argentica.
I risultati
Il risultato finale mi ha completamente appagato. Hasselblad rimane un sistema fotografico, in questo caso argentico, estremamente attuale e versatile. la pellicola Rollei Superpan 200 rimane una delle più belle pellicole di Rollei, dotata di una incredibile gamma tonale insieme a un’ottima risoluzione, tutto questo grazie anche al tipo di sviluppo e alla diluizione 1+31 anzichè la canonica diluizione 1+15. Nel caso di buona parte delle foto che ho scattato e che vedremo tra breve, ho sempre lavorato su treppiedi, attivando sull’Hasselblad l’alzo intenzionale dello specchio e lo scatto a distanza a filo. Questo mi ha permesso un’assoluta stabilità della fotocamera durante lo scatto, alienando qualsiasi micromosso e permettendo così di arrivare a un risultato finale che è stato più che soddisfacente, sia sul piano della ripresa che sul procedimento di sviluppo. L’impiego del treppiedi, infine, mi ha permesso di realizzare bracketing di esposizione senza che l’inquadratura si spostasse di un solo millimetro. Non mi stancherò mai di ripetere che il treppiedi non andrebbe considerato come un accessorio ma parte integrante della fotocamera – naturalmente a seconda del genere fotografico che si va ad affrontare.
Un treppiedi Manfrotto 055 in alluminio a tre sezioni, come quello raffigurato, il modello 055 a 3 sezioni alluminio SKU MT055XPRO3 offre un ottimo compromesso qualità/prezzo/prestazioni. Della linea 055 sono disponibili svariati modelli, anche in carbonio e in alcuni casi venduti in kit con teste di differenti tipologie. La testa invece è una testa a cremagliera Manfrotto XPRO Geared Head a tre vie che consente micromovimenti di aggiustamento sui tre assi, o lo sblocco istantaneo di ciascuno dei tre movimenti per impostare all’inizio in modo sommario l’inquadratura.
Un primo scatto su treppiedi con diaframma chiuso a f/8. Giornata coperta che da un lato ha permesso un’ottima leggibilità anche delle zone in ombra, dall’altro ha tolto il contrasto naturale che in una giornata di sole, se il soggetto fosse stato completamente o parzialmente illuminato direttamente dalla luce, sarebbe dipeso dalla presenza di ombre nette che avrebbero reso più evidente, a seconda della provenienza della luce, la texture della corteccia.
A sinistra uno scatto a f/4, a destra a f/11, entrambi scattati quasi alla minima distanza di lavoro dello Zeiss Planar f/2.8 80mm. Siamo a circa un metro dal soggetto principale. Il treppiedi mi ha permesso in questo caso di lavorare anzichè su un classico bracketing di esposizione, su un bracketing di diaframma, per valutare poi a negativi sviluppati se sarebbe stata più interessante l’immagine a diaframma tutto aperto con lo sfondo e parte del soggetto sfuocati, o l’immagine a diaframma più chiuso dove, grazie alla profondità di campo, avrei migliorato sia la leggibilità di alcune zone del soggetto in primo piano che dello sfondo. A scatti ultimati e confrontati io preferisco l’immagine di destra, quella scattata a diaframma più chiuso.
Gerardo Bonomo.
Lascia un commento