Alla fine della Seconda guerra mondiale Braunschweig ricade nella parte della Germania sotto il controllo inglese con un limitato numero di danni dovuti alle ultime battute dell’evento bellico.
Così come fu per la Franke e Heidecke, anche in Voigtländer la ripresa dell’attività produttiva avvenne in un arco temporale decisamente inferiore a quanto, ad esempio, accadde per molte altre aziende tedesche del settore dislocate su altri territori.
La fase di ripresa fu caratterizzata per Voigtlander da una duplice attività di sviluppo.
La prima nel settore di progettazione delle ottiche, nel quale la casa mise a punto nuovi schemi e indirizzò la ricerca su nuove tipologie di vetro tanto da predisporre già alla soglia degli anni ’50 una rinnovata gamma di obiettivi a corredo dei nuovi apparecchi che negli anni seguenti sarebbero state presentati.
Questo fatto destò il vivo interesse della Carl Zeiss la cui fase di ripresa post bellica, per le note vicende, avrebbe avuto un più lento evolversi. Le Contax a telemetro vennero corredate da lenti i cui schemi ottici erano ormai datati a differenza, ad esempio, del Nokton o dell’Ultron con il quale nel 1950 verrà presentata la Voigtlander Prominent.


Sarà così che a metà anni ’50, più precisamente nel 1956, la Carl Zeiss entrerà nel capitale di Voigtlander per rimanerci fino alla completa acquisizione che avverrà grossomodo una decina d’anni dopo.
La seconda attività riguardava il lancio di nuovi modelli con una sostanziale revisione della gamma dei prodotti come illustrato nello schema sotto riportato.

Sarà proprio l’interesse nella ricerca di soluzioni innovative che spingerà Voigtlander ad acquisire e sviluppare il progetto di Fritz Faulhaber originario di Schoinaich nel Württemberg che propose alla casa di Braunschweig, attraverso un semplice modello realizzato in lamierino, l’idea dalla quale nacque la Vitessa.
Gli articoli sulle fotocamere Robot partono raccontando l’idea Heinz Kilfitt, nata già negli anni ’20, legata al concetto di automatismo che per quei tempi era riferito alla possibilità che la fotocamera fosse sempre pronta per lo scatto incorporando, come nel caso delle fotocamere di Düsseldorf, un sistema di avanzamento a molla della pellicola, piuttosto che un rapido sistema di messa a fuoco tramite il controllo della profondità di campo.
La Vitessa nasce su questa filosofia.

La dimensione contenuta, la forma compatta, soprattutto ad apparecchio chiuso, e la possibilità che l’utilizzatore, impugnando la fotocamera e mantenendo lo sguardo nel mirino, potesse mettere a fuoco, scattare e ricaricare, costituivano le caratteristiche base di questo apparecchio realmente rivoluzionario per l’epoca.

La ricarica rapida, anziché avvenire attraverso un cursore posizionato sul fondello, come accedeva nelle Leica a vite, è comandata da un lungo pulsante a stantuffo presente sopra la calotta.

La chiusura dell’apparecchio in posizione di riposo avviene attraverso due ante incernierate ai lati dell’ottica che si chiudono dopo aver ritratto l’obiettivo, sistema meglio noto con l’appellativo di “barn doors”.


L’ingegnerizzazione dell’idea di Faulhaber richiese un notevole dispendio di energie.
Ne risultò una fotocamera meccanicamente semplice e razionale, soprattutto nella progettazione del perno di ricarica che trasforma il moto discendente in moto rotatorio per l’avanzamento della pellicola, la ricarica dell’otturatore e l’avanzamento del contapose, ma dal complesso assemblaggio come ricorda Prochnow nella descrizione del modello.
Per la Vitessa furono depositati ben cinque brevetti dai quali è possibile risalire al nutrito team che ne aveva seguito gli sviluppi.
Nel 1953 esce il primo modello con numero di classificazione interno 125 del quale vengono realizzati centoquarantacinquemila esemplari, un numero interessante che conferma il buon successo iniziale della macchina.

La prima serie, fornita in alternativa con il 50mm 3.5 Color Skopar o l’Ultron 50 mm f2, ha altre interessanti prerogative in aggiunta a quelle viste sopra.
Il telemetro è integrato nel mirino che consente anche la correzione manuale del parallasse tramite lo spostamento dell’oculare.

Il fattore di ingrandimento del mirino, inizialmente di 0,5, viene portato a 0,7 nel 1954 con l’uscita del modello 133 sul quale viene introdotta anche la correzione automatica del parallasse attraverso una mascherina mobile comandata dalla messa a fuoco.
Con l’uscita di questo modello viene offerto in alternativa anche il Color Skopar nella versione 2.8.
Nello stesso anno esce il modello L nel quale viene introdotto l’esposimetro fornito dalla Bertram, di Monaco meglio nota per il marchio BEWI.

L’evoluzione delle caratteristiche della Vitessa, per tipologia di mirino ed introduzione dell’esposimetro, avviene in contemporanea a quella degli altri modelli Voigtlander sui quali compaiono i famosi sistemi di visione kristal con rapporto di visione di 1, piuttosto che i nuovi esposimetri BEWI Automat.
Per il mirino questa evoluzione è riscontrabile sul modello Prominent e sulla serie Vito B dalla quale poi deriverà la serie Vitomatic. Per l’esposimetro l’evoluzione è ad esempio rilevabile sulle versioni della Vito BL.
La Vitessa L tuttavia non adotterà il mirino kristal né l’esposimetro BEWI Automat.

Questa scelta fu con buona probabilità dettata dal calo di interesse del mercato per il modello che a metà anni ’50 scoraggiò ulteriori investimenti come previsto o già realizzato per altre fotocamere Voigtlander.
L’ultima versione della Vitessa L monta invece un esposimetro con un maggiore spettro di sensibilità che viene portata da 200 a 400 ASA.
Benché gli anni rendano in generale questa tipologia di esposimetri al Selenio non più pienamente affidabili, quello della Vitessa L, almeno nel mio esemplare, è ancora in grado di fornire valori abbastanza precisi.
Su questi esposimetri il sistema di traduzione dei valori in tempi e diaframmi avviene attraverso la scala EV della quale ho già parlato negli articoli sugli esposimetri per Rolleiflex.
Lo stesso principio lo troveremo applicato negli anni successivi agli obiettivi Hasselblad ad otturatore centrale piuttosto che sulle Rolleiflex con o senza esposimetro incorporato non accoppiato.
Sulle Bessamatic ad esempio, l’accoppiamento del sistema di lettura farà sparire dalla ghiera sul corpo macchina la scala EV.
Nel 1955 a seguito della presentazione da parte della Deckel di monaco del sistema ad otturatore centrale per ottiche intercambiabili, la Vitessa prosegue l’evoluzione nel modello T che resta anch’esso uno degli apparecchi più affascinanti prodotti dalla casa di Braunschweig.

La T, come del resto la Prominent, utilizza il mirino addizionale Turnit 3 per le focali 35, 50 e 100 mm, che resta a mio avviso tra le più geniali concezioni di casa Voigtlander (non cito volutamente il mirino sportivo Kontur che trovo un buffo accessorio ancorché inutile).

A differenza dei tradizionali mirini multifocali a revolver realizzati da Leitz o da Zeiss Ikon, il Turnit, ben più ampio e luminoso, cambia la focale attraverso la rotazione orizzontale e l’utilizzo combinato di una maschera per la focale 50 mm.

La Vitessa, in tutte le versioni viste sopra, non è esente da acciacchi legati all’età, questione che, anche in questo caso, suggerisce l’acquisto dopo un attento esame dell’apparecchio o presso un rivenditore affidabile.
I difetti tipici di questa fotocamera riguardano il sistema di caricamento/avanzamento soprattutto nella trasmissione della ricarica all’otturatore
In aggiunta ai controlli tipici, funzionamento tempi, regolarità apertura diaframma, stato delle lenti e pulizia del mirino, occorre verificare, come normalmente è prudente fare prima dell’acquisto di una fotocamera a telemetro, il corretto allineamento dell’immagine nel centro del mirino alle diverse distanze di messa a fuoco, testando in prima battuta quella ad infinito.
Infine è opportuno accertarsi che la cornice mobile che regola il parallasse funzioni correttamente.
Concluse positivamente queste prove disporrete di un apparecchio in grado di fornire ancora ottimi risultati.
Le eventuali problematiche che dovessero sorgere in occasione di questi controlli sono comunque ovviabili con il ricorso ad un buon riparatore.
La questione deviene più complessa se il sistema di apertura e chiusura ha subito colpi o è stato forzato.
Per quanto a differenza della Bessa II questa fotocamera non ha una posizione del fuoco da rispettare prima della chiusura, eventuali colpi o forzature non sono facilmente sistemabili per via delle caratteristiche costruttive che celano molle e tiranti sotto lamierini che una volta deformati non è scontato poter far ritornare nella corretta dima.
Occorre quindi accertarsi che il meccanismo di apertura e chiusura funzioni correttamente senza blocchi o incertezze e che una volta aperta la fotocamera abbia uno scorrimento fluido del carrello di messa a fuoco.
Personalmente preferisco la versione con l’Ultron che almeno su questa fotocamera ha ancora il trattamento antiriflesso azzurrato, a mio gusto di migliore resa rispetto alla successiva tipologia di trattamento che troviamo ad esempio sugli Ultron montati sulle Vitomatic IIIb e IIICS.

Di seguito trovate i risultati della prova pratica che ho recentemente effettuato.
Anche in questo caso ho aggiunto qualche suggerimento sull’uso pratico.
Parto con l’osservare che disporre oggi di una fotocamera con sistema di avanzamento rapido come la Vitessa, potendo in alternativa utilizzare apparecchi motorizzati, fa vedere sotto una diversa luce ciò all’inizio degli anni 50 doveva sembrare una grande innovazione.
L’aspetto che resta peculiare, ora come allora, è la modalità con la quale è possibile impugnare ed utilizzare la l’apparecchio, modalità che assicura un controllo di tutte le funzioni senza mai togliere l’occhio dal mirino.
Questa prerogativa diventa interessante soprattutto nei casi in cui occorre scattare con tempi lenti.

La macchina in questo caso mantiene una certa stabilità che consente di effettuare prese con tempi anche fino a un quarto di secondo con risultati in termini di micromosso più che accettabili.
Il telemetro permette poi una messa a fuoco piuttosto precisa che agevola l’utilizzo, in special modo a tutta apertura, anche della focale più luminosa.
L’Ultron poi dà il meglio di sé anche in condizioni critiche come quelle della ripresa di questo notturno nel quale non si percepisce alcun disturbo legato ai riflessi interni o a luci parassite.


Una buona prerogativa anche della versione più luminosa dell’ottica montata sulla Vitessa L, è la verifica dei valori della profondità di campo la cui scala è riportata sulla calotta ed è collegata alla ghiera di messa a fuoco.

Anche in condizioni di ripresa particolari come questa è possibile in modo molto agevole calcolare con una certa precisione il range di messa a fuoco in relazione al diaframma utilizzato.
La scelta di una pellicola a più alta sensibilità e a più evidente grana, non valorizza appieno le caratteristiche di questa ottica ma consente di scattare a mano libera immagini in condizioni di luce scarsa come negli esempi sopra mostrati.
In conclusione la Vitessa è una fotocamera interessante, più come oggetto, per la sua stravagante forma e per la storia che la caratterizza.
Per le prestazioni, pur mantenendo un sufficiente livello qualitativo, meglio a mio giudizio utilizzare, a parità di ottica, altri modelli della famiglia Voigtlander come le Vitomatic o la Prominent, entrambe disponibili con l’Ultron 50 mm f2.

A queste due fotocamere dedicherò i prossimi articoli con relativa prova sul campo.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

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