Storia della Rollei. Terza parte: dalla grande ristrutturazione a Singapore

Segue dalla seconda parte.

Incontrastata per anni e anni, perfetta nel suo genere e famosa come mai nessun’altra, la biottica tedesca si assicura negli anni 50 il record delle vendite: oltre un milione di esemplari.

Benché sempre famosa per la perfezione meccanica e per l’alta qualità delle ottiche, l’azienda già dagli anni ’50 inizia a perdere gradualmente terreno.

La scomparsa di Paul Franke, l’anima commerciale e finanziaria del sodalizio, lascia le sorti dell’azienda di Braunschweig nelle mani di Heidecke, il quale, per quanto capace tecnico ed eccellente progettista avvia, come abbiamo visto nella seconda parte, una concitata fase di continua uscita di nuovi modelli.

Una poco oculata amministrazione dei profitti da parte dei proprietari, Horst Franke subentra a fianco di Heidecke dopo la morte del padre, ed una pressoché apparente mancanza di investimenti in indagini di mercato e nella progettazione di nuovi e più competitivi modelli, contribuiscono a determinare una situazione di vera crisi.

Sulla mancanza di investimenti la questione è quantomeno controversa. Risultano infatti numerosi progetti sviluppati negli anni ’50 tra i quali una biottica con obiettivi intercambiabili e una monoreflex 6×6 con un ingegnoso sistema di ribaltamento dello specchio che ricorda quello adottato all’inizio degli anni ’70 da Bronica sul modello EC. Nessuno di questi viene tuttavia realizzato mantenendo l’azienda un profilo rigorosamente conservatore nella produzione delle biottiche, forte anche dei buoni risultati di vendita.

Circa la mancanza di dinamismo innovativo di quel periodo, appare strano come poi, in soli tre anni, dal 1964 al 1967 l’azienda abbia potuto compiere un così massiccio rinnovamento senza alcuna base progettuale preesistente, se escludiamo il progetto della Rollei 35, il cui impulso è dovuto all’arrivo in Rollei nel 1965 di Heinz Waaske.

Nel 1964 l’azienda di Braunschweig avvia quattro distinte valutazioni sulla situazione aziendale con l’obiettivo di individuare un progetto che conduca ad una sostanziale svolta. Tra le proposte prese in esame emerge il lavoro dell’Ing. Heinrich Peesel proveniente da una fabbrica di carrelli elevatori di Amburgo, assunto poi come direttore generale in Rollei.

Dinamico, attivo, estroverso, Peesel inizia la sua attività correggendo, in maniera a volte drastica, alcuni aspetti negativi del vecchio sistema amministrativo.

Giudica i quadri direttivi sproporzionati ad una manodopera di appena 3.000 dipendenti. Toglie la poltrona di comando a circa 100 dirigenti e li rispedisce alla produzione. Assume elementi nuovi, giovani, dinamici.

Nell’ambito del progetto di ristrutturazione aziendale, Peesel demolisce “centinaia di metri di muri” nell’ufficio esecutivo e spende 750.000 marchi solo per “traslochi interni” estirpando le fonti di perdita economica che dilagavano ovunque.

Rivede e ridimensiona completamente l’intero sistema amministrativo. Giunge a sospendere, per la durata di qualche anno, il pagamento dei dividendi agli azionisti. Quest’ultimo provvedimento determina l’uscita dalla società degli eredi di Heidecke, scomparso, come sappiamo, nel 1960.

Degli eredi di Franke, solo il figlio del fondatore, Horst, rimane come consulente esterno per il management.

Peesel, in occasione dell’intervista apparsa su DER SPIEGEL del 18 settembre 1967, dalla quale sono tratte in parte queste informazioni, sottolinea che la sua azione ha portato negli ultimi tre esercizi un risparmio di tre milioni di marchi l’anno.

Frequenti sono gli stimoli e le sferzate alle quali Peesel sottopone l’organizzazione, ad esempio acquistando “decine di fotocamere” della concorrenza, disponendole su un tavolo e chiedendo ai più rilevanti ruoli aziendali: “Bene, che cosa abbiamo noi oggi per contrastare la concorrenza?” La maggior parte delle persone della vecchia gestione sostiene inizialmente che Rolleiflex e Rolleicord siano sufficienti per coprire tutte le esigenze dei clienti e potenziali clienti: Peesel chiaramente non è d’accordo.

Passa quindi alla parte tecnica. Studiate le necessità del mercato, orienta la produzione Rollei verso modelli più attuali, più competitivi. Ed ecco nascere nel giro di poco tempo 31 nuovi prodotti. fra cui la Rollei 35, la professionale SL66, le cineprese, che però sono costruite dalla Bauer, 5 proiettori per diapositive, i lampeggiatori elettronici con computer, i lampeggiatori professionali da studio.

Tutta la serie di drastiche ma necessarie misure amministrative ed i nuovi sistemi di produzione, portano ben presto a positivi risultati.

Come sostenuto da DER SPIEGEL, il manager aveva convinto i finanziatori ad “aprire il rubinetto”. Lo sviluppo dell’SL66 e Rollei 35 costò infatti all’azienda quasi sei milioni di marchi.

Il progetto della Rollei 35 si deve a Heinz Waaske. Waaske, nato nel 1924, ha un lungo passato come progettista: nel 1948 viene assunto nel’azienda dei fratelli Wirgin a Wiesbaden dove lavora come meccanico di precisione e presto diviene capo del laboratorio prototipi, progettista tecnico e infine capo progettista. Ha prima migliorato le fotocamere 6×9, consentendo procedure di produzione più economiche. Ha progettato poi una fotocamera reflex, la Edixa, con la quale la Wirgin entra nel mondo dei produttori di fotocamere reflex. Waaske ha inoltre progettato tutti i successivi modelli di Edixa, tra i quali la Edixamat e l’Edixa Electronica. Lavora in seguito alla realizzazione dell’Edixa 16, della quale Waaske progetta personalmente l’otturatore. Lavorando alla realizzazione dell’Edixa 16, fotocamera che utilizzava le cartucce di pellicola da 16 mm della Rollei 16, Waaske comprende l’esistenza di un mercato per le piccole fotocamere, e pensa di realizzarne una per il formato 35 mm.

Nel 1967 esce un altro prodotto innovativo, l’unità flash elettronica Strobomatic, la cui quantità di luce è controllata automaticamente da un computer. Il nuovo flash pesa solo 760 grammi invece dei circa cinque chili dei dispositivi comparabili.

Dalla collaborazione con Honeywell, che all’epoca distribuisce negli stati uniti i prodotti di Rollei, quest’ultima ottiene in licenza la produzione degli autovelox il cui progetto è sviluppato dalla società elettronica americana.

Nella pioggia di successi della fine degli anni ‘60, anche il clima di lavoro è cambiato. Almeno il capo ne è convinto così come è convinto di ciò che sostengono i suoi dipendenti: “Se Peesel dice che dovremmo spegnere l’incendio all’inferno, allora li ci uniremo tutti”.

Anche il bilancio si assesta gradatamente e nel 1969 gli azionisti ricevono nuovamente il frutto dei propri investimenti.

Entro la fine degli anni ’60 l’aumento del fatturato raggiunge l’indice del 350%. Nel 1970 dai 23 milioni di dollari totalizzati a fine anno, già si prevede di giungere, alla fine del 1971, a circa 36 milioni con un incremento del 56%.

Vinta ormai in patria la prima battaglia economico finanziaria, Peesel passa immediatamente a rivedere il sistema di vendite all’estero.

Inizia dagli USA.

Sin dal 1964, la vendita dei prodotti Rollei è curata dalla Honeywell Inc. Photo Products Division. Ma Peesel è convinto che i prezzi troppo alti praticati dalla Honeywell vadano a danno del volume delle vendite. La Honeywell, inoltre, importatrice anche di prodotti come Pentax ed Elmo, spinge particolarmente la vendita del più economici prodotti giapponesi a danno della Rollei.

Come primo provvedimento, a partire dalla fine del ’70, Peesel lascia alla Honeywell la sola rappresentanza delle Rollei 35 e dl alcuni flash elettronici costruiti dalla Rollei su licenza Honeywell.

Con una valutazione che si rivelerà poi profondamente sbagliata Peesel individua nel costo della manodopera tedesca, molto più cara di quella giapponese, il fattore critico.

Peesel decide di far costruire altrove una parte della produzione Rollei come dichiarato alla stampa e riportato in due articoli, apparsi all’inizio degli anni ’70. Il primo sul New York Times del 28 agosto 1970, il secondo sulla rivista italiana Fotografare del febbraio 1971. La scelta di Singapore, è apparentemente guidata da Peesel, ma molto più probabilmente più favorita dalla disponibilità del governo di ospitare a condizioni molto agevolate lo stabilimento Rollei.

Il 9 agosto 1965, il Parlamento malese approva l’espulsione di Singapore dalla Malesia. Singapore diventa, così indipendente, dopo una lunga serie di travagliate vicende, come “Repubblica di Singapore” rimanendo all’interno del Commonwealth. Nel 1971, il Comitato per lo sviluppo economico nell’ambito della ricerca di nuove opportunità di sviluppo per il paese, propone a Rollei di creare uno stabilimento di produzione a Singapore per fotocamere, proiettori, obiettivi e otturatori.

Notizie e immagini che seguono sono tratte dall’articolo “Made by Rollei Singapore – a peek into history” dal sito The Staitstimes. La prima fabbrica viene costruita in Alexandra Road. Due anni dopo, la società e il governo di Singapore fondano un centro di formazione a Kampong Chai Chee per lavoratori nei settori dell’ottica di precisione, della produzione di utensili e della lavorazione di precisione.

Rollei investe complessivamente 149 milioni di dollari in un decennio, nel tentativo di rimanere competitiva rispetto ai produttori di fotocamere giapponesi. Le fotocamere prodotte in quel periodo sono incise con le parole Made by Rollei Singapore.

Dal punto di vista del governo di Singapore, l’operazione consente il passaggio negli anni ‘70 dalle industrie a basso salario a quelle a più alta tecnologia e a valore aggiunto.

In maniera estremamente tardiva rispetto alla concorrenza giapponese, viene lanciata nel 1970 la Rolleiflex SL35 prima reflex 35 mm prodotta da Rollei.

Nata già vecchia, la SL35, pur compatta, robusta e dotata di un parco ottiche di assoluto rilievo, presenta alcuni anacronistici aspetti come la lettura esposimetrica possibile attraverso l’obiettivo ma in modalità stop down ovvero con il diaframma all’apertura di lavoro. Presentata in finitura cromata e nera, la produzione di questa fotocamera avverrà inizialmente in Germania per poi essere trasferita a Singapore, come avviene per la Rollei 35.

Gli anni ’70 proseguono con una aggressiva politica commerciale soprattutto nel mercato americano dove Rollei cerca di imporre la SL66 attraverso una pubblicità comparativa rispetto ad Hasselblad.

Nel 1976 alla SL66 viene affiancata una rivoluzionaria fotocamera monoreflex 6×6 motorizzata, con esposizione automatica.

Nasce la Rolleiflex SLX: dotata di esposimetro TTL e di esposizione automatica a priorità di tempi, la SLX monta un sistema di ottiche Zeiss di eccellenza, marcate con la sigla HFT, con la trasmissione del diaframma al corpo macchina interamente elettronica.

La Rolleiflex SLX, come del resto anche la SL66, verrà prodotta solo in Germania.

Il progetto, per quanto molto innovativo, aveva alcune forti limitazioni che riguardavano in prima battuta la non intercambiabilità dei dorsi. Adatta solo ad ospitare pellicole 120 o 220 tramite speciali caricatori che consentono un rapido cambio del film, la SLX ha un’autonomia di scatto ben limitata se paragonata a quella dei magazzini 70 Hasselblad montati sulla 500 ELM.

Per la macchina fu progettato e realizzato anche un temporizzatore esterno che permetteva di programmare una serie di scatti in remoto. Anche in questo caso la ridotta autonomia in termini di numero di pose rendeva questo accessorio meno interessante di quanto in realtà fosse.

La SLX presentò inoltre parecchi problemi di affidabilità che spinsero Rollei a realizzare pochi anni dopo il lancio, una seconda versione con finiture interamente nere e con una più affidabile elettronica.

Siamo ormai alla soglia degli anni ’80.

Massimiliano Terzi

prosegue nella quarta parte

Bibliografia e sitografia:
brochure e manuali Rollei
New York Times del 28 agosto 1970
Fotografare, febbraio 1971
DER SPIEGEL, 18 settembre 1967
https://www.straitstimes.com/singapore/made-by-rollei-singapore-a-peek-into-history
https://www.photo.net/discuss/threads/rollei-factory-1949.350076/

 

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