Six, la rivoluzione secondo Mamiya

Tra le fotocamere giapponesi che negli anni ’40 si ispirano alla produzione tedesca, ho qualche tempo fa descritto la Heira Six che rappresenta una fedele, per quanto in alcune parti semplificata, copia della Super Ikonta 532/16.

Le super Ikonta, e più in generale la produzione Zeiss Ikon, rappresentarono il punto di riferimento per molti imprenditori orientali che ebbero l’ambizione di replicare ed in alcuni casi migliorare la produzione tedesca degli anni ’30.

Come visto per la Heira Six, queste fotocamere ispirate alle folding di Dresda, scontavano la qualità delle leghe utilizzate per realizzazione della meccanica e spesso anche la qualità delle ottiche che non raggiunse mai quella dei Tessar prodotti a Jena.

Non già la qualità degli schemi ottici, ispirati quasi sempre a modelli consolidati, quanto come vedremo più avanti, quella dei materiali e dei trattamenti, questi ultimi adottati nel periodo post bellico.

Giova ricordare che le super Ikonta erano prodotte assemblando componenti realizzati in diversi siti produttivi, rientrati nella galassia Zeiss Ikon a seguito delle operazioni societarie che si svilupparono nel decennio antecedente il 1926, ciascuno dei quali portatore di konw how di assoluta eccellenza.

I corpi realizzati a Stoccarda nello stabilimento ex Contessa Nettel, gli otturatori a Monaco dalla Deckel e le lenti a Jena, giusto per citare qualche esempio, fecero di questa linea di fotocamere un esempio di eccellenza qualitativa benché non esattamente di efficienza produttiva.

La fotocamera descritta in questo articolo è invece un esempio di interpretazione del concept tedesco con l’introduzione di soluzioni interessanti, per certi versi rivoluzionarie, che la rendono unica nel panorama del folding 6×6.

Quando si parla della produzione Mamiya riferita ai primi anni dalla fondazione dell’azienda, avvenuta nel 1940, non si po’ non citare il fondatore che, al pari di altri grandi imprenditori giapponesi dell’epoca, muoveva i primi passi nel mondo della produzione di apparecchi fotografici con un background familiare imprenditoriale, spinto dalla passione per la fotografia e motivato dalla volontà di proporre prodotti innovativi rispetto agli standard di mercato di allora.

Seiichi Mamiya nasce nel 1899 da una famiglia di commercianti.

Il padre avvia nel 1919 la produzione di casseforti a marchio Mamiya depositando negli anni seguenti circa 30 brevetti in parte legati alla produzione di registratori di cassa che prende il via nel 1928 a seguito della conversione della produzione verso questa tipologia di apparati.

Seiichi è un appassionato di fotografia, passione che coltiva lavorando nell’azienda del padre con l’idea di progettare e realizzare, per l’appunto, apparecchi fotografici.

L’occasione arriva nel 1935 quando l’azienda di famiglia viene ceduta all’americana NCR.

Per divergenze di vedute con la nuova proprietà Seiichi Mamiya lascia l’azienda nel 1937 ed avvia la nuova attività di sviluppo di macchine fotografiche.

Nel 1938 deposita il brevetto relativo ad un nuovo dispositivo di messa a fuoco che anziché agire sull’elicoidale dell’ottica o sullo spostamento dell’intero obiettivo rispetto al piano focale, è basato sul movimento del piano focale stesso che si allontana e si avvicina dalla lente di ripresa.

Il corpo esterno della fotocamera è quindi privo di movimenti che riguardano invece solo il piano pellicola posizionato all’interno del dorso.

Questa soluzione, non nuova in assoluto, viene per la prima volta adottata su una macchina folding medio formato, eliminando così la trasmissione dei valori di messa a fuoco dall’ottica al telemetro.

Pubblicità della Mamiya Six II versione con doppio mirino, caratteristica che verrà poi abbandonata sui successivi modelli

Nasce la Mamiya 6, modello comunemente denominato Six per distinguerla dal più recente apparecchio medio formato a telemetro.

Giusto per la cronaca, sullo stesso principio nascerà in Giappone decenni dopo la reflex autofocus a marchio Contax che consentirà l’utilizzo delle eccellenti ottiche manual focus Carl Zeiss regolando la distanza attraverso il movimento automatico del piano pellicola.

A differenza di altri imprenditori o tecnici del settore che fornirono il loro contributo in modo rilevante e spesso articolato per l’intera carriera lavorativa presso la stessa azienda, Seiichi Mamiya lascia nel 1955 la società dopo aver lavorato al progetto della biottica con obiettivi intercambiabili.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un prodotto con un forte contenuto innovativo che garantirà alla generazione di biottiche Mamiya una longevità che andrà oltre a quella dei più blasonati apparecchi prodotti a Braunschweig.

Seiichi Mamiya fonda nel 1966 la Marshal Optics, per la produzione e distribuzione di una nuova fotocamera 6×9, la Marshal Press, modello con molte caratteristiche poi presenti sulla Mamiya Press del 1969.

Marshal Press del 1966 – un merge tra la Mamiya biottica e la futura Mamiya Press del 1969

Il filo conduttore della produzione Mamiya sarà quindi sempre caratterizzato, a prescindere o meno della presenza diretta o indiretta di Seiichi, da un impronta innovativa rispetto al mercato.

È così per le folding 6×6 Six con messa a fuoco con movimento del piano pellicola, per le biottica Mamiyaflex e Mamiya C ad ottiche intercambiabili, per la Mamiya 35 a telemetro che nel 1957 introdusse un modello con dorsi intercambiabili, per la serie Press e derivate, per la RB67 ed RZ67 e per le serie 645 con i primi modelli 645 e 645 1000S e successivamente con la Super e la Pro.

Una parte delle fotocamere reflex medio formato approda anche all’era digitale.

Ultime, non certo per importanza, le telemetro medio formato ad ottiche intercambiabili che suscitano tutt’ora un certo interesse da parte del mercato di utilizzatori dell’analogico con quotazioni di tutto riguardo.

Chi ha posseduto o possiede una 645 normale o 1000S ha ad esempio ben presente l’80mm 1,9 che costituisce ancora oggi l’ottica più luminosa mai prodotta su scala industriale per un apparecchio medio formato.

Non ho citato, e gli appassionati del marchio mi perdoneranno, la serie di reflex 35mm degli anni ’70 e ’80 più per scarsa conoscenza ed esperienza diretta nell’utilizzo che per il valore che queste fotocamere ebbero nell’ambito della produzione dell’epoca.

Il seme della filosofia sopra descritta, orientata all’innovazione, è certamente ben presente nella Mamiya Six qui rappresentata dal modello IV del 1947.

Mamiya Six IV, modello del 1947 che riporta la scritta “made in occuped Japan”

Questo esemplare monta un’ottica Zuiko 75mm 3.5, lente che verrà poi sostituita nei modelli degli anni ’50, le Automat I e II con obiettivi a marchio Mamiya Sekor altro ambito nel quale sappiamo l’azienda darà il meglio con una produzione di assoluto rilievo.

Il cambio di ottica, da quanto ho avuto modo di vedere, non avviene da una data definita in quanto è possibile trovare esemplari di Automat ancora con obiettivo marchiato Olympus.

Sempre a proposito di ottiche, è interessante osservare come la Marshal Press del 1966 utilizza lenti Nikkor, dando così corpo anche in questo caso a molteplici interpretazioni sul motivo della scelta, nessuna delle quali sufficientemente solida, almeno dal mio punto di vista, dal poter essere citata, al pari di quanto accadde per l’adozione di ottiche Zuiko sulle folding.

La prima nota sull’utilizzo di una Mamiya Six, riguarda la robustezza di questo apparecchio di certo favorita dall’assenza di movimento dell’ottica e quindi di sistemi che scontino poi la necessità di prevedere il loro ripiegamento a fotocamera chiusa.

Di contro il corpo ha un maggiore spessore rispetto alle tradizionali folding, spessore necessario a garantire il movimento del piano pellicola durante la messa a fuoco.

Il collegamento del telemetro è quindi diretto e meno soggetto a starature legate al sistema di trasmissione esterno, ottico o meccanico, delle altre folding.

Questo modello richiede, come di norma avviene sulle folding, la ricarica dell’otturatore asincrona rispetto all’avanzamento della pellicola, costringendo quindi l’utilizzatore ad effettuare l’operazione in due tempi cambiando le modalità con la quale viene impugnato l’apparecchio.

i comandi presenti sul gruppo ottica/otturatore prevedono la regolazione dei tempi nell’intervallo 1 secondo – 1/500 di secondo oltre alla posa B e dei diaframmi da 3.5 a 22; visibile la leva di ricarica dell’otturatore Seikosha Rapid

Ciò non consente di sfruttare appieno la buona ergonomia della Mamiya Six che ha la rotella di ricarica e quella di messa a fuoco azionabili impugnando il corpo macchina con entrambe le mani.

Vista superiore e posteriore della Mamiya Six, da notare nella vista posteriore, a sinistra il cursore per lo sblocco della ricarica; a scatto effettuato un segnale rosso compare nel mirino come promemoria della necessità di ricaricare la pellicola;
la scala di messa a fuoco in piedi prevede una distanza minima corrispondente ad un metro

Per gli appassionati di ottiche Zuiko dico subito che gli esemplari montati sulla Six scontano in moltissimi casi la problematica del deterioramento dello strato antiriflesso delle lenti, con un conseguente effetto flou, meglio percepito a tutta apertura, che sminuisce le buone prerogative di queste ottiche.

ripresa a tutta apertura che mette ben in evidenza l’effetto flou dovuto al deterioramento del trattamento antirflesso – Ilford FP4 Plus, sviluppo con Rollei Supergrain – Milano, Stazione Centrale

Il problema è meno evidente chiudendo il diaframma almeno ad 11 ed utilizzando un filtro di contrasto giallo o arancione se si sta utilizzando film in bianco e nero.

Ben visibile il deterioramento dello strato antiriflesso sulla lente frontale con in aggiunta alcuni segni di pulizia

Un altro inconveniente legato all’utilizzo, riguarda la scarsa morbidezza dello scatto, fattore questo che, nell’esemplare che ho utilizzato, potrebbe dipendere dalla necessità di effettuare una buona manutenzione con pulizia a lubrificazione dell’intero manovellismo.

Sul piano pratico questo aspetto determina un maggiore rischio di micro mosso soprattutto con tempi pari od inferiori a 1/50 di secondo.

Niente a che vedere con lo scatto vellutato delle Super Ikonta con le quali è possibile arrivare ad utilizzare tempi sino ad 1/10 di secondo a mano libera senza rilevanti effetti sulla nitidezza.

Super Ikonta 532/16 Ilford FP4 Plus, 1/10 di secondo f 2.8 – sviluppo con Bellini Hydrofen – Milano, Museo della Scienza e Tecnologia, padiglione ferroviario

Un altro aspetto di attenzione rispetto al funzionamento di questa fotocamera riguarda la presenza della piastra che garantisce la planarità del film una volta caricato il rullo 120.

La piastra pressa pellicola è asportabile per consentire il caricamento del film

Questa piastra non è facilmente replicabile e se non è presente l’apparecchio è di fatto inutilizzabile.

Posizionamento della piastra dopo aver caricato la pellicola

Durante il caricamento della pellicola occorre fare attenzione alla prima fase nella quale a dorso chiuso si deve fare avanzare manualmente il film fino alla collimazione del numero uno, presente sulla carta protettiva, con la finestrella del dorso.

Con la messa a fuoco ad infinito la pellicola si sposta dal dorso rendendo di fatto scarsamente leggibile la numerazione sulla carta.

Il caricamento va quindi effettuato con la messa a fuoco impostata sul valore minimo.

La buona nitidezza del telemetro, integrato nel mirino, e la discreta ampiezza e luminosità di quest’ultimo, consento una messa a fuoco precisa salvo che le specchiature interne non abbiano subito un processo di ossidazione legato all’età.

Sull’esemplare che ho provato, il telemetro ha ancora un buon contrasto e consente una messa a fuoco anche in condizioni di scarsa luminosità del soggetto.

La Mamiya Six non è una fotocamera facilmente reperibile in Italia e questo probabilmente in ragione del limitato numero di esemplari a suo tempo importati, benché questa macchine, nelle diverse versioni, siano rimaste in produzione per circa un ventennio.

Se l’acquisto è destinato all’utilizzo suggerisco di orientare la scelta verso gli ultimi modelli Automat che hanno una maggiore usabilità.

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

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