Onde Michelangelo ragionando col Vasari una volta per ischerzo disse: “Giorgio, s’i’ho nulla di buono nell’ingegno, egli è venuto dal nascere nella sottilità dell’aria del vostro paese d’Arezzo”
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, Firenze, 1568
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Mi è recentemente capitato di visitare ad Arezzo una mostra fotografica presso la Casa Museo Ivan Bruschi dal titolo LA SOTTILITA’ DELL’ARIA. AREZZO E IL SUO TERRITORIO NEGLI ARCHIVI ALINARI che vi consiglio qualora vi capitasse di passare dalla città toscana prima del 4 giugno.

Nel primo quadro introduttivo dell’esposizione, della quale qui sopra è ritratta una sala, è riportata come incipit la frase del Vasari che trovate citata in apertura.
In quei giorni stavo provando una Leidolf Lordomat acquistata di recente, fotocamera che mi ha sempre incuriosito soprattutto per la città di Wetzlar citata nel marchio.
Le fotocamere prodotte da Leidolf abbracciano un periodo limitato ad una quindicina d’anni che va dalla fine degli anni ’40 all’inizio degli anni ’60 ed interpretarono, soprattutto nei modelli della serie Lordomat, il tentativo espresso da molti altri produttori, tedeschi e non, dell’epoca di ispirarsi con alterne fortune agli apparecchi Leica.
In questo caso, tuttavia, le caratteristiche della serie Lordomat sono piuttosto singolari tanto da rappresentare un unicum nel trito e ritrito segmento delle fotocamere a telemetro con ottiche intercambiabili.
Che questo fosse dipeso dalla sottilità dell’aria di Wetzlar non ve lo so dire.
Ciò che è invece evidente nella storia del marchio Leidolf è la passione, la tecnica e il genio del fondatore e del genero di questi, valente tecnico alla Leitz, che nel dopoguerra accettò la sfida di lasciare una prestigiosa posizione per dedicarsi allo sviluppo in proprio di fotocamere.
Questa scelta, apparentemente controcorrente per l’epoca, valse all’azienda un discreto successo commerciale pur in un segmento abbondantemente abusato da una molteplicità di altri produttori.
In ragione di questa singolare iniziativa imprenditoriale, sul marchio Leidolf è sempre pesato un ingiustificato giudizio di copia mal riuscita degli apparecchi Leica sino ad arrivare a descrivere questa iniziativa come il delirio di un pazzo arrivista finito malamente.
Il che non è assolutamente vero.
Riavvolgiamo quindi come di consueto il nastro della storia e partiamo dalle origini.
Rudolf Leidolf nasce il 15 ottobre 1898 a Schweinsberg da una famiglia di mugnai. Primogenito di sei figli fu instradato da subito, come accadde in tutt’altro contesto a Zenzaburo Yoshino con l’attività familiare di produzione di riso, nella gestione del mulino situato tra Weilburg e Wetzlar, dove la famiglia si era già trasferita ad inizio del ‘900.
Accede tuttavia che Rudolf matura sin da giovane uno spiccato interesse per l’industria ottica e meccanica presente in zona e, lasciata l’azienda di famiglia, entra poco meno che ventenne alla Hensoldt & Söhne a Wetzlar come apprendista meccanico di precisione.
Come fu per Victor Hasselblad con Erna, anche per Leidolf la figura della moglie Magdalene, impiegata presso l’ufficio comunale di Wetzlar, diventerà un costante affiancamento nella vita professionale oltre che in quella familiare.
I due giovani si sposano ad inizio anni ’20 ed hanno due figlie: Hiltrud e Gisela.
Nel 1921 Leidolf lascia la Hensold e fonda con Karl Regel, la Leidolf & Regel per la produzione di componenti per microscopi da fornire ai locali produttori dell’industria ottica e meccanica.
La moglie Magdalene, lasciato il posto di lavoro presso il comune di Wetzlar entra nell’azienda per gestire le attività amministrative, ruolo questo che eserciterà poi per molti anni.
Come abbiamo già visto per Franke e Heidecke, avviare iniziative imprenditoriali in Germania ad inizio anni ’20 richiedeva un certo coraggio per via della pesante situazione economica determinata dalle sconfitta subita al termine dei primo conflitto mondiale e alla negativa congiuntura che si determinò in tutti i settori produttivi negli anni seguenti.
L’attività di Regel e Leidolf ebbe un discreto sviluppo sino a determinare nel 1927 il trasferimento in una nuova e più funzionale officina appositamente costruita e, da lì, l’avvio della produzione in proprio di binocoli che affrancò l’azienda dal ruolo di sub fornitore di altre industrie locali. Anche nella produzione di binocoli seppero distinguersi con la realizzazione di modelli denominati superleggeri per via del peso e delle dimensioni ridotti, a parità di caratteristiche, rispetto a quelli della concorrenza.

la nuova sede inaugurata nel 1927 che riporta già la ragione sociale post bellica Leidolf Kameraverk
Il sodalizio tra Regel e Leidolf arriva così sino alla seconda guerra mondiale durante la quale l’azienda non smise mai di funzionare anche grazie alla presenza di Leidolf che non prese parte agli eventi bellici. Il ritmo produttivo diminuì in ragione della minore disponibilità di manodopera e all’assenza di qualsivoglia commessa militare indotta, con buona probabilità, dalla posizione antinazista di Leidolf.
Fatto questo che lo colloca, con un certo merito, al difuori del gruppo di industriali del settore che aderirono invece, per convinzione, timore o tornaconto, al movimento politico.
Subito dopo la guerra matura un fatto di una certa rilevanza nelle vicende della piccola industria di Wetzlar grazie all’arrivo di Fritz Meinhardt.

Rudolf Leidolf e Fritz Meinhardt
Meinhardt nasce nel 1913 ad Hartenrod che fa parte del comune di Bad Endbach nel distretto di Marburg-Biedenkopf nell’Assia centrale.
Personaggio poliedrico con grande passione per la musica e per il pianoforte, segue per necessità familiari la carriera di tecnico presso Leitz dove inizia nel 1927, a soli quattordici anni, l’apprendistato come meccanico di precisione.
La carriera di Meinhardt in Leitz prosegue negli anni successivi anche in ragione del forte sviluppo determinato dal successo degli apparecchi a telemetro ad ottiche intercambiabili, benché il tecnico, in base alle informazioni disponibili, risulti impiegato nella progettazione di macchine utensili legate alla produzione degli altri strumenti ottici di precisione che rappresentavano pur sempre per l’epoca la principale attività della casa di Wetzlar.
Nel 1938 Meinhardt conosce la primogenita di Rudolf Leidolf, Hiltrud che lo porterà a coltivare la relazione con la famiglia, sino a determinare, al termine della seconda guerra, la decisione di lasciare Leitz per dedicarsi con il suocero all’attività di produzione di fotocamere.
Nascono così i primi modelli a marchio Leidolf e con essi la ridenominazione della ragione sociale, dalla quale era nel frattempo uscito il nome di Regel, in Leidolf Kamerawerk.
La prima fotocamera denominata Leidax determina sin da subito una presa di posizione da parte di Leitz da sempre attenta a che il nome Leica, o una parte evocativa di questo, non rientri, nell’appellativo dei modelli realizzati di altri produttori. Il nome viene quindi cambiato in Leidox e dal 1952 in Lordox a causa del perdurare delle controversie con Leitz. Si tratta di modelli semplici e dal basso costo che utilizzano pellicola 127 nel formato 4×4.
Il vero salto di qualità viene effettuato nel 1953 con la presentazione alla Photokina del nuovo apparecchio denominato Lordomat dotato di otturatore centrale, telemetro ed ottiche intercambiabili dal particolare innesto a vite 39mm che ha tuttavia il filetto maschio sul corpo macchina anziché sull’obbiettivo rendendo così non utilizzabili le tradizionali ottiche 39×1.
la nuova fotocamera ha un sistema di ricarica a doppio colpo con la leva ad azionamento in senso orario, caratteristica che adotterà anche ALPA qualche anno dopo.

Leidolf Lordomat prima versione riconoscibile dal filtro arancione nella finestra del telemetro; notare la leva di ricarica con senso orario di rotazione

particolare dell’innesto delle ottiche con la filettatura sul corpo macchina

particolare dell’innesto delle ottiche dove è ben visibile la camma di rinvio del telemetro, il filtro arancio sulla finestrella a sinistra e la leva di scatto
La Lordomat viene ideata con il preciso obiettivo di mantenere caratteristiche di rilievo quali l’ampia base telemetrica e l’intercambiabilità delle ottiche a fronte di un prezzo contenuto in modo da favorirne l’ingresso sul mercato in un periodo nel quale l’offerta degli altri produttori era in pena fase di sviluppo.
Siamo anche alla soglia della presentazione da parte di Leitz della M3 che creerà un nuovo standard nel segmento delle fotocamere 35mm rispetto al quale le pur interessanti Lordomat non entreranno mai in competizione.
Le Lordomat prodotte in tre versioni, la prima e più rara delle quali con il filtro arancione sulla finestrella del telemetro, otterranno un discreto successo incoraggiando così Leidolf a sviluppare versioni successive quali la C35 che incorpora, o meglio ha applicato sulla calotta, un secondo mirino con le cornici luminose e un esposimetro al selenio.

pubblicità della Lordomat C35
Il parco ottiche della serie Lordomat è piuttosto limitato ed è costituito da due ottiche standard da 45mm di luminosità rispettivamente di 1.9 e 2.8 – quest’ultimo prodotto dalla Enna di Monaco – un grandangolo da 35mm e due tele da 90 e 135mm di produzione Schacht.

copertina di Photographica Cabinett numero 15 del dicembre 1998 nella quale sono raffigurati gli ultimo modelli Lordomat prodotti
Nel 1957, l’azienda di vendita per corrispondenza Quelle di Fürth introduce il marchio REVUE avviando rapporti commerciali, inizialmente solo con l’industria fotografica tedesca, sviluppando poi non solo la commercializzazione ma anche, dall’avvento di alcuni marchi giapponesi, la brandizzazione degli apparecchi con il proprio marchio.
Questa politica che troviamo sviluppata negli Stati uniti grossomodo nello stesso periodo, famosi i casi di Besler per Topcon, Bell e Howell per Canon e Honeywell per Pentax, trova in Germania un’accoglienza molto differente soprattutto da parte i normali distributori che rifiutano di commercializzare presso le reti tradizionali che si avvalgono dei negozi di proprietà di privati, gli stessi prodotti distribuiti da Quelle.
Famoso il caso che ho citato negli articoli su Robot della decisione di Berning di cedere a Quelle la commercializzazione delle Royal 24 e 36 quando l’azienda decise di concentrare la produzione sulla Recorder. La questione avviò un’aspra diatriba giudiziaria con Carl Zeiss che riteneva lesivo dell’immagine il fatto che Quelle distribuisse fotocamere corredate da ottiche a proprio marchio.
Zeiss perse la causa e fu condannata risarcire Robot anche in ragione dell’interruzione della fornitura di ottiche conseguente alla presa di posizione legale.

estratto da un catalogo anni ’70 di Foto Quelle – notare a destra le versioni della Zenit E marchiate Revue
Leidolf viene invece distribuita dalla catena tedesca di vendita per corrispondenza contribuendo a supportare i volumi produttivi e a garantire una diffusione anche nel mercato interno oltre che su quello estero dove sin dai primi anni Leidolf collocava il 50% della produzione.
Le politiche di prezzo imposte da Quelle non creano grandi problemi alla casa di Wetzlar i cui modelli, come dicevo sopra, furono sin dall’inizio pensati per coniugare buone caratteristiche e prezzo concorrenziale.
Del resto, anche la scelta dei fornitori delle ottiche fu incentrata su aziende aventi le stesse caratteristiche.
Le Lordomat, benché non comuni in tutte le versioni, sono reperibili nel mercato dell’usato a quotazioni ragionevoli in relazione allo stato di conservazione e, per chi vuole cimentarsi, all’utilizzabilità.
Le scelte effettuate all’epoca di utilizzare soluzioni ambiziose con realizzazioni di media qualità progettuale o di bassa qualità dei materiali, condizionano oggi i risultati soprattutto per il deterioramento dello strato antiriflesso dello standard 45mm 2.8, per la perdita di contrasto del telemetro e per l’imprecisione e la difficoltosa manutenzione dell’otturatore Prontor SVS che, com’è noto, non rientra tra i miei preferiti.

il vistoso nasone che riporta il marchio Leidolf Wetzlar sotto il quale sono celati i rinvii del telemetro
Il telemetro, peraltro, parte già in origine svantaggiato, almeno nelle prime versioni, dalla scelta di un’ampia base, siamo a 65mm quasi il doppio di quella delle Leica a vite, a fronte di una costruzione povera di componenti atti a trasmettere la luminosità dalla finestra di riscontro allo specchio semitrasparente nel mirino.

tolta la calotta, il poco sul quale intervenire è ben in vista; notare la freccia rossa che descrive il percorso della luce sino allo specchio del mirino (che in questo caso è stato già tolto per la sostituzione) e la curiosa molla di ritorno della leva di ricarica con il filo duttile che si arrotola sul perno indicato dal cerchio giallo
Questo, unito all’ossidazione dello specchio tipica anche su altri apparecchi, rende il dispositivo di messa a fuoco inservibile.

nella foto è mostrato lo specchio semi trasparente rovinato anche grazie al contributo di una maldestra pulizia
La qualità complessiva di utilizzo non arriva a livelli di sufficienza nemmeno sostituendo lo specchio come ho provato a fare, utilizzando un ricambio nuovo di derivazione Voigtländer opportunamente modificato.

lo specchio semitrasparente rimesso in posizione: affinché il telemetro funzioni correttamente è poi necessario sagomare i due angoli, operazione non facilissima viste le dimensioni e la delicata specchiatura
Un ulteriore aspetto insidioso, almeno nel 45mm 2.8 è l’anello dei diaframmi solidale a quello di messa a fuoco che determina in caso di variazione del valore di apertura una variazione della distanza di messa fuoco alla quale occorre prestare attenzione, pena la perdita di nitidezza dovuta allo sfuocato.

la fotocamera ha complessivamente una buona ergonomia grazie anche al pulsante di scatto posizionato frontalmente direttamente sull’otturatore e azionabile con la mano destra
Quella che quindi può in apparenza sembrare una fotocamera con buone prerogative è invero oggi un apparecchio utilizzabile con qualche difficoltà soprattutto nelle prime versioni, difficoltà in gran parte dovute alle caratteristiche intrinseche e all’invecchiamento.
Questo non toglie le prerogative al valore collezionistico di queste fotocamere e al progetto che ebbe l’indubbio merito di occupare un segmento di mercato fino ai primi anni ’60 con prodotti che registrarono un buon successo di vendita.
Nel 1963 Rudolf Leidolf decise di interrompere la produzione e di vendere l’azienda ad un gruppo svizzero con il quale Fritz Meinhardt continuerà a collaborare negli anni successivi.
Leidolf morirà nel 1965 a seguito di un male incurabile a soli sessantasette anni.
Max Terzi
maxterzi64@gmail.com.
le informazioni sono tratte dall’articolo di Germot Monzen apparso sul numero 15 del dicembre 1998 della rivista Phographica Cabinett; l’autore ricostruì la storia del marchio Leidolf anche attraverso testimonianze dirette di ex dipendenti dell’azienda

Arezzo, Piazza Grande – Leidolf Lordomat, Rollei RPX100 sviluppata con #RO9

Arezzo, centro storico – Leidolf Lordomat, Rollei RPX100 sviluppata con #RO9
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