Quel ramo del lago di Lomo

Non so voi, ma io ho maturato per i Promessi Sposi una certa passione solo dopo svariati anni dalla fine delle superiori.

Prima ho sempre considerato questo romanzo, propinato di norma agli studenti attorno al secondo anno, di una pallosità infinita, nonché un nutrito abaco di una altrettanto nutrita serie di sfortune senza fine.

Non che ai tempi non abbia manifestato un certo interesse: ad esempio ci fu una fase, grossomodo corrispondente all’arrivo di Renzo a Milano, che aveva destato in me la voglia di vedere come sarebbe andata a finire.

Menaggio, Crocetta – vista di Bellagio e del ramo di Lecco. Nikon D700 – 85 mm AFD 1.8

Per non perdere tempo nel leggere tutte le pagine del romanzo, acquistai un bigino e finii per leggerlo fino alla fine, raccontando poi in classe, senza cognizione di causa ma con un certo entusiasmo, passaggi che non avevamo ancora svolto, senza peraltro saperne spiegare alcuni dettagli ritenuti importanti ai fini della storia.

Un po’ come non avere consapevolezza dell’importanza de “l’occhio della madre” nella Corazzata Potëmkin nella scena di fantozziana memoria.

Ciò contribuì al fatto di dover quell’anno portare italiano a settembre, e questo non fece che aumentare il mio astio nei confronti dell’autore.

Con il passare degli anni si acquista una diversa consapevolezza della vita e complice anche una moglie insegnante di lettere, che mi ha rialfabetizzato, vedo oggi questa opera sotto una diversa luce.

Mi sorprendo ogni tanto a desiderare di rileggerne qualche passaggio e vi confesso che ho con il tempo realizzato che questo romanzo può essere letto e riletto un’infinità di volte, come capita del resto con molte altre opere, traendone sempre nuovi spunti o cogliendone particolari del tutto ignorati prima, quasi che la vita narrata in quelle pagine fosse ancora in grado di pulsare e di raccontare di sé cose nuove.

Vi dirò anche che mi ha molto entusiasmato scoprire, nel corso degli approfondimenti sulla storia di Ferrania a Milano, che Guido Bezzola direttore della rivista Ferrania dalla nascita alla fine della pubblicazione, fu uno studioso della letteratura italiana dell’Ottocento e di Manzoni in particolare.

Ma è pur vero che non bisogna tradire le proprie origini e quindi, in modo un po’ dissacrante, ho deciso di dedicare la foto di copertina, scattata con una LOMO LC-A in piazza San Fedele a Milano, alla statua che li ritrae il sommo scrittore e poeta meneghino.

Benché Manzoni e la LOMO non abbiano proprio nulla in comune.

Forse.

Già perché le LOMO e in genere la Lomografia, hanno sempre suscitato in me un sentimento di profonda disapprovazione, un po’ come quello che nutrivo da ragazzino per i Promessi Sposi.

Qui c’è pure l’aggravante dell’essere un appassionato del ferro, ovvero di provare gioia per la perfezione meccanica, la precisione, la nitidezza dei mirini, gli schemi ottici, la qualità delle pellicole, conservate in frigo mi raccomando, lo sviluppo, la stampa e chi più ne ha più ne metta.

Dall’altra parte abbiamo apparecchi imprecisi, ottiche di plastica, mirini attraverso i quali il soggetto manco si distingue, pellicole scadute, sviluppi a caso.

Avete mai letto il decalogo della Lomografia?

Lo riporto di seguito con il suggerimento di leggere tutta la pagina del sito che trovate nel link qui sopra:

  • Porta la tua fotocamera ovunque tu vada
  • Usala in qualsiasi momento, giorno e notte
  • La lomografia non è un’interferenza nella tua vita, ma parte di essa
  • Prova a scattare da una posizione diversa
  • Avvicinati il ​​più vicino possibile ai soggetti del tuo desiderio lomografico
  • Non pensare
  • Sii veloce
  • Non devi sapere in anticipo cosa hai catturato nel film
  • Non devi saperlo neanche dopo
  • Non preoccuparti delle regole

La filosofia, che sottende un’idea commerciale di grande successo, l’ho riscoperta non molto tempo fa e devo dire che anche in questo caso la mia opinione è maturata in un cauto apprezzamento, non foss’altro per il merito che bisogna attribuire a Lomography di aver sostenuto in questi anni l’attenzione sull’uso dell’analogico.

Lomography nasce quando la pellicola la faceva ancora da padrone ed è riuscita a sdoganarne l’utilizzo anche quando il digitale sembrava averne posto la parola fine.

Questo strabiliante risultato è da attribuire al valore del progetto fotografico nell’ambito del quale le fotocamere hanno semplicemente rappresentato il mezzo.

Fondata nel 1992 da un gruppo di studenti viennesi, la Lomographic Society International è, come viene definita sul sito, la figlia selvaggia della fotografia.

Ecco come prosegue la loro descrizione dell’esperienza di Lomography: “Alimentati dalla passione infuocata e dalla bruciante curiosità, abbiamo fatto esplodere il nostro movimento dallo spirito libero quando ci siamo imbattuti nella Lomo LC-A – la fotocamera russa più popolare degli anni ’80, ora famosa per la sua bizzarra estetica. Non abbiamo perso tempo e abbiamo creato le nostre dieci regole d’oro, e le abbiamo rispettosamente seguiti da allora. Oggi, con oltre un milione di membri creativi, Lomography è una licenza per scatenarsi, un invito ad accendere la tua ispirazione e una piattaforma per catapultare i tuoi scatti in tutto il mondo. Che tu sia un principiante o un professionista esperto, crediamo che tu sia in grado di sfruttare il ​​tuo potere di creare qualcosa di incredibile. Da pellicole impazzite che cambiano colore a obiettivi artistici a macchine fotografiche analogiche classiche, ci dedichiamo alla progettazione e produzione di tutti gli strumenti fotografici di cui hai bisogno”.

Tutto iniziò con una LOMO LC-A, modello del quale i ragazzi viennesi si approvvigionavano nei primi anni varcando i confini, zaini in spalla, recandosi direttamente in Russia per l’acquisto degli esemplari che poi rivendevano una volta rientrati a casa.

La serie Lomo Compact, da cui la sigla “LC”, è composto da cinque diversi modelli tra i quali la LC-A è senza di dubbio la fotocamera più conosciuta.

Da osservare peraltro che almeno tre delle altre fotocamere della serie non hanno di fatto mai varcato in modo significativo i confini e sono pressoché sconosciute alla comunità dei collezionisti e degli utilizzatori.

La LC-A, presentata nel 1983, è una copia della COSINA CX1 e CX2, ed è una fotocamera compatta 35mm con messa a fuoco su scala a soggetti, per intenderci con le icone di omino, alberi, montagne, e controllo automatico dell’esposizione a priorità di diaframmi

Nemmeno sulla scelta della sensibilità c’è tanta varietà essendo possibile solo impostare i principali valori in ASA: 25, 50, 100 e cosi via.

Diciamo comunque che perdere 1/3 di diaframma utilizzando la ILFORD FP4 sembrerebbe non rappresentare una tragedia nell’utilizzo pratico.

La LC-A ha un obiettivo da 32 mm di focale, dunque leggermente più corto rispetto alla maggior parte delle ottiche montate sugli altri apparecchi compatti 35 mm, ed ha un’ottica non collassabile come ho scritto nell’articolo sulla Olympus XA e in quello sulla Minox GT.

La fabbrica di strumenti ottici la cui denominazione fu inizialmente GOZ per poi passare a GOMZ all’inizio degli anni ‘30 e a metà degli anni ‘60 a LOMO, è stata fondata nel 1914 a San Pietroburgo, attualmente seconda città della Russia per popolazione, con circa cinque milioni di abitanti.

La città, fondata dallo Zar Pietro il Grande, fu a lungo capitale dell’Impero russo, ed è considerata la capitale culturale dell’attuale Russia.

Per volere dello Zar Nicola II fu nel 1914 rinominata Pietrogrado. Mantenne questo nome fino al gennaio 1924 quando a seguito della morte di Lenin prese il nome di Leningrado che mantenne fino al 6 settembre 1991.

La produzione della GOMZ LOMO è stata vastissima, come testimoniato dall’immagine qui sotto tratta dal sito Soviet Cameras, ed ha spaziato dalle fotocamere folding “Fotokor”, alla reflex 35 mm prebellica “Sport”, alle biottiche “Lubitel”, alla serie delle compatte 35 “Smena” alle reflex della serie “Almaz” prodotte negli anni ‘80 ed ispirate alla Nikon F2.

Giusto per citarne alcune.

Complice anche la diffusione indotta dal fenomeno Lomograhy, la LC-A è stata una fotocamera di grande successo e diffusione, probabilmente perché la progettazione non fu totalmente farina del sacco LOMO.

Qui non me ne vogliano gli appassionati del marchio russo.

Mi ha molto incuriosito, benché non sia riuscìto a trovare un granché al riguardo, la relazione commerciale, se mai vi sia stata, tra Cosina e LOMO.

Sta di fatto che l’importatore italiano della LC-A negli anni’80 fu proprio Cosina Italia che in quel periodo importò anche fotocamere prodotte da KMZ di Krasnogorsk, come ad esempio le Zenit E.

Quando nel 2005 LOMO decise di interrompere la produzione della LC-A, Lomograpghy riorganizzò l’approvvigionamento facendo essa stessa produrre la fotocamera in oriente, ampliando anche nel tempo la gamma di modelli disponibili, sino alla LOMO LC Wide o alla LC-A 120 in edizione speciale per i 25 anni dalla nascita della società viennese.

Lomography ha, tra l’altro, rimesso in produzione una famosa toy camera, la Diana F della quale qui sotto è mostrato un esemplare che i miei coetanei ricorderanno bene, esposto nelle bancarelle di giocattoli nei mercati rionali in un kit che comprendeva macchina fotografica, flash e pellicola 120.

Suggerimento personale: se vi coglie il desiderio di usare una Diana F, fatevelo passare usando una Ferrania Eura i cui risultati vi sorprenderanno positivamente, benché l’ottica di questa macchina, composta da una sola lente, abbia il grave difetto di non vignettare, come osservato da più di un utente nel blog di Lomography.

Tornando invece alla nostra compatta Russa, come accennavo prima, qualche mese fa sono entrato in possesso di un esemplare di LOMO LC-A del 1987 praticamente inusato e subito è scattato il desiderio di provarla.

Le immagini che riporto sono riferite al primo viaggio in treno dopo la riapertura delle regioni ad inizio giugno.

LOMO LC-A, Ilford FP4, Rollei Supergrain 1+12, tempo di sviluppo 5’ con Agfa Rondinax in rotazione continua.

Qui invece qualche scatto a Milano sempre in uno dei primi weekend di giugno.

LOMO LC-A, Ilford FP4, Rollei Supergrain 1+12, tempo di sviluppo 5’ con Agfa Rondinax in rotazione continua.

Ebbene, per quanto questa fotocamera sia imprecisa, abbia un’ottica scandalosa che vignetta e distorce, il risultato finale ha dal mio punto di vista un certo fascino.

Mi vedrete a breve usare una LOMO FISHEYE?

Forse no, ma almeno un altro piccolo pregiudizio è stato rimosso.

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

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