Leica, Minox e la fotografia 3D

La prima serata che ebbi occasione di tenere da NOC risale a circa due anni e mezzo e fu dedicata alla fotografia 3D.

Qualche tempo prima, in occasione di uno dei tanti momenti di incontro in negozio, Ryu mi aveva buttato lì l’idea di organizzare un incontro serale lasciandomi libero di scegliere il tema che più avessi preferito trattare.

Non mi balenava all’epoca nemmeno lontanamente l’idea di parlare della storia dei marchi fotografici.

Benché la questione sia sempre stata di mio interesse volevo invece raccontare quanto la fotografia, al di là dei risultati, sia sempre stata per me una grande fonte di svago e divertimento e soprattutto quanto mi avesse sempre appassionato trafficare con pellicole, carte, ingranditori e apparecchi fotografici di ogni genere e tipo.

Ricordo che da ragazzino attendevo con trepidazione l’uscita della rivista “Fotografare” sulla quale venivano spesso pubblicati articoli che riportavano esperienze di lettori intenti a compiere ogni genere di esperimento, dentro e fuori la camera oscura,realizzati con pochi mezzi e risultati eccellenti.

Ecco dunque l’anima in cartone di un rotolo di Scottex trasformarsi in un tubo di prolunga per macro, piuttosto che un cavo flash spelato ed accuratamente avvolto sulla filettatura di una lampadina diventare un magico strumento in grado di poter ritrarre il momento di esplosione della lampadina stessa colpita da un piombino tirato con la fionda.

Per non parlare del sistema per misurare i tempi di otturazione della fotocamera riprendendo, a diverse velocità di scatto, il piatto del giradischi sul quale era stata preventivamente fissata una striscia di carta bianca.

Insomma, risorse scarse, grande ingegno e divertimento assicurato.

Con il crescere dell’età anagrafica, quella mentale è ferma ad allora, scoprii tramite un mio caro amico fotografo e collezionista, la fotografia stereo e me ne appassionai.

Forse perché mi ricordava quando da piccolo nei grigi pomeriggi milanesi, partivo per fare il giro del mondo impugnando un visore Viewmaster.

Il primo sistema che ebbi occasione di provare, facendo non poca fatica a reperire tutto il corredo, fu proprio quello della famosa casa dell’Oregon.

Ho sempre viaggiato per lavoro e ricordo che all’epoca non partivo quasi mai senza avere al seguito la mia Stereo Personal Camera.

Un po’ come il commesso viaggiatore di Gianni Rodari in “Favole al telefono” che, lontano da casa, racconta ai propri figli brevi filastrocche recitandole loro la sera all’apparecchio telefonico, anche io tornavo a casa e preparavo per i miei figli, allora ancora piccoli, i dischetti bianchi che parlavano dei mezzi di trasporto che avevo usato, piuttosto che dei luoghi dove ero stato.

 

mia figlia Caterina con il visore Viewmaster

 

Quei dischetti li conservo ancora.

Dopo il sistema Viewmaster, del quale ho parlato in questo articolo, ho avuto modo di possedere e usare quello della Kodak Stereo camera, quello dell’italianissima ISO Duplex per passare poi alla francese Verascope F40 e alle tedesche Voigtlander e Rollei dei primi anni ’20 del ‘900.

Tornando ancora più indietro nel tempo ho poi scoperto che il sistema di visione stereo è ben più antico della fotografia e se avete visitato il Museo del Cinema di Torino vi sarà senz’altro capitato di vedere, nella sezione al piano interrato, una nutrita raccolta di stereoscopi e di minuziosi diorami, contenuti in decoratissime scatole di legno, il cui interno è visibile attraverso una coppia di oculari che consentono di visualizzarne il contenuto con una profondità e un realismo incredibili.

 

Giandomenco Tiepolo 1727-1804, Il mondo nuovo

 

L’affresco qui sopra è di Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista e ritrae due “casotti” costruiti a Venezia, vicino a Piazza San Marco, dove si mostrano le più varie attrazioni: cavadenti, animali esotici e uno svago che incontrò, da subito, un enorme successo: il “Mondo nuovo”.

Il Mondo nuovo era cosmorama, simile a quelli sopra citati ed esposti a Torino, dove si potevano vedere immagini esotiche di terre lontane. Al “Mondo nuovo” furono dedicati articoli e poesie. Era uno spettacolo suggestivo che lasciava spazio alla fantasia e all’evasione di cui molti nella Venezia di fine ‘700 avevano bisogno.

Siamo infatti in un periodo storico dove la città sembra oscillare tra due anime, quella del gioco e delle avventure di Giacomo Casanova e quella critica e realistica di Carlo Goldoni,

Siamo in un’epoca nella quale la dolcezza del vivere è al suo culmine.

Di lì a poco la fotografia avrebbe offerto il gancio per passare da plastici in miniatura o sofisticate rappresentazioni dipinte a mano in coppie di disegni, a riprese istantanee, benché il termine fosse all’epoca un po’ forzato, con visione 3D.

La visione stereo, se vogliamo, è stata il primo modo di espressione di quella che oggi chiamiamo realtà aumentata.

Nel 1838 Charles Wheatstone, inventa lo stereoscopio, uno strumento ottico per visualizzare immagini tridimensionali e nel 1841 sempre Wheatstone realizza la prima stereografia.

 

 

In quella prima serata da NOC parlai dunque delle origini della foto 3D e degli sviluppi che ebbero, nel primi decenni del ‘900 e negli anni ’50, i punti di massimo interesse da parte del pubblico.

Prova ne è che nel 1920 quando Paul Franke e Reinhold Heidecke fondarono l’omonima azienda a Braunschweig, iniziarono col produrre la Heidoscop che altro non ora che una copia, migliorata, della Stereflektoscop delle Voigtlander.

Sarà poi dalla Rolleidoscop, versione della Heidoscop che montava dorsi a rullo, che nel 1928 deriverà la famosa biottica.

Negli anni ’50 invece saranno aziende americane, come per l’appunto Viewmaster o la Realist di David White, a riaccendere l’interesse e la passione per la foto stereo che sempre in quegli anni influenzerà anche l’industria del cinema con la comparsa dei primi lungometraggi in 3D.

Ma torniamo ai nostri esperimenti.

La foto 3D, ancora oggi, è un interessante sbocco per gli appassionati dell’analogico e consente di ottenere risultati di notevole effetto.

Uno degli ostacoli che spesso scoraggia coloro che si avvicinano a questo mondo è quello del corredo.

Difficile da trovare completo, un corredo 3D rischia di costare caro se non si calcola bene la difficoltà di reperire alcune parti.

Ormai le più facili da trovare sono le fotocamere, ma occorre poi reperire i visori che per alcune marche sono veri e propri pezzi da collezione. Dopo i visori occorre poi trovare i telaietti sui quali montare le pellicole e perché no, anche recuperare le pellicole invertibili a colori e oggi non è uno scherzo.

Molti sistemi hanno anche speciali taglierine, indispensabili per ridurre la pellicola a dimensioni e forma tale da poter essere inserita nei supporti di visione.

In base a queste caratteristiche, i sistemi per la fotografia 3D sono raggruppatili essenzialmente in cinque tipologie.

Per alcune di queste trovate illustrato di seguito anche il sistema di funzionamento:

  • quelli che sfruttano un comune fotogramma 35 mm attraverso un aggiuntivo ottico posizionato davanti all’obiettivo che consente di ottenere, su un comune fotogramma 24×36, due immagini verticali appaiate di formato 24×18;

 

 

  • quelli che realizzano, su pellicole 35 mm o 120 una coppia di fotogrammi 24×24 o 24×30; ne sono un esempio la Kodak Stereo, la Stereo Realist, la Verascope F40,

 

 
piuttosto che la ISO Duplex

 

 

  • quelli che utilizzano pellicola 35 mm o 16 mm per ottenere coppie di piccoli fotogrammi che vengono poi montati in appositi dischetti; ne sono un esempio la Viewmaster e la Stereo Microma della Meopta;

 

 

  • quelli che utilizzano lastre 6×13 o i rari dorsi per pellicola 120 per ottenere coppie di fotogrammi 6×6, ne sono un esempio la Stereflektoscop, la Rolleidoscop o la francese Monobloc;

     

  • quelli che impiegano due fotocamere identiche, con ottica della stessa focale, appaiate durante lo scatto. Questo sistema, a differenza degli altri, presuppone l’utilizzo di un treppiedi e di una staffa alla quale assicurare le fotocamere ma consente di regolare la distanza tra gli apparecchi in modo adeguato rispetto alla distanza del soggetto da riprendere.

     

     

    Nella visione binoculare infatti più il soggetto è vicino minore è la distanza inetrpupillare: ne è una dimostrazione il fatto che se cerchiamo di osservare un oggetto molto vicino a noi, i nostri occhi si avvicineranno l’uno all’arto.

    Tutte le fotocamere stereo hanno invece la distanza tra gli obiettivi fissa, ecco dunque che l’effetto 3D renderà meglio non oltre una certa lontananza del soggetto dal punto di ripresa.

    Il che suggerisce ad esempio di non fotografare semplici panorami ma soggetti in primo piano che risalteranno molto, nella foto 3D, rispetto allo sfondo.

    Tra i cinque sistemi sopra citati, il primo di certo è quello più alla portata.

    Ed ecco che in questi giorni mi è capitata tra le mani una fotocamera che riassume in sé la passione che ho per la foto 3D e la grande ammirazione che nutro per gli sperimentatori che riescono a realizzare con le proprie mani strumenti artigianali di notevole qualità e inventiva.

    E’ il caso di questa Leica M3 con ottica stereo Minox.

     

     

    Arrivati a questo punto spero che i puristi della rossa di Wetzlar non inorridiscano: alla M3 è stato tolto il telemetro compresa la camma di accoppiamento all’ottica.

    Vi è da supporre tuttavia, conoscendo per interposta persona il grande ingegno del realizzatore di questa strana accoppiata, che la fotocamera sia stata “convertita” nell’impossibilità o nella scarsa convenienza economica all’epoca di riparare una probabile rottura del sofisticato sistema di messa a fuoco.

    Ma il pezzo forte, per essere di produzione artigianale, è l’ottica, costituita da una coppia di Color Minotar derivanti da due Minox 35.

    Qui inutile scandalizzarsi, queste macchine soffrivano e soffrono di morte bianca che spesso, nell’impossibilità di ripararle, induce al recupero della parte più preziosa, ovvero l’obiettivo.

    Non è oggi infrequente trovare in vendita queste splendide ottiche montate su anelli con la baionetta delle più comuni digitali mirrorless.

    Le due ottiche della nostra M3 sono invece montate su una piastra con attacco a baionetta M, realizzata con una precisione e una attenzione ai dettagli veramente notevole.

    Osservando con un vetro smerigliato l’immagine dal dorso della M3, emerge una resa eccellente con una focheggiatura all’infinito perfetta ed una perfetta ripartizione del fotogramma nelle due porzioni 24×18.

    A questo punto non resta che inserire una delle nuove Kokak E100 e scattare.

    Concludo questo racconto con una citazione: “Finché dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò, una luce così brillante e portentosa eppure così semplice: cambiare i poli da positivo a negativo e da negativo a positivo… io solo sono riuscito a scoprire il segreto di infondere la vita, macchè, anche di più: io, proprio io sono divenuto capace di rianimare nuovamente la materia inanimata! …SI… PUÒ…FARE!”

    Buon divertimento a tutti!

    Massimiliano Terzi
    maxterzi64@gmail.com

    Bibliografia e sitografia:
    Leica M3 con ottica Minox per cortesia di Sandro Giorgetti
    materiale dall’incontro NOC del 20/10/2017 “la fotografia 3D tra passato, presente e futuro”
    per la citazione di Tiepolo – http://senzadedica.blogspot.com/2012/02/il-mondo-nuovo.html
    per la citazione in chiusura – Frankenstein Junior, film del 1974 diretto da Mel Brooks

     

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