Leica Erre

Che io non ami parlare e scrivere di Leica credo sia ormai abbastanza noto, come peraltro è noto il fatto che mi astenga dal farlo più per incompetenza che per snobismo.

Ci sono tuttavia alcuni temi che mi appassionano da sempre, tra questi vi è di certo quello della ricerca nella meccanica dei modelli di fotocamere presentati dopo la seconda metà degli anni ’20 e fino alla fine degli anni ’50, che siano a telemetro o reflex, delle caratteristiche progettuali che hanno reso intramontabili i modelli con innesto delle ottiche a vite realizzati dalla casa di Wetzlar.

Un secondo tema che mi appassiona molto è quello della svolta, iniziata a metà anni ’60 con la presentazione della Leicaflex, che vide l’affiancamento ai tradizionali modelli a telemetro della primo di una lunga e fortunata serie di apparecchi reflex.

Sono molto legato ad alcuni modelli Leica reflex e alle ottiche che ho scoperto, devo dire tardi, non potendomele permettere all’epoca nella quale erano in auge.

Trovo inoltre molto interessante, da cultore e appassionato della storia della Franke e Heidecke, quello che in Leitz realizzarono negli anni tra il 1965 ed il 1976, non solo per gli effetti che questo produsse garantendo all’azienda di attraversare il tempestoso mare che si trovarono ad affrontare i produttori europei, ma perché, con politiche apparentemente simili, in Leitz riuscirono a mantenere una visione ben più lucida della realtà e ad effettuare, conseguentemente, scelte più coerenti con essa.

Entrambe le aziende arrivarono ad inizio anni ’60 con un prodotto consolidato, grosso modo nato nella stessa epoca:. Per Leitz gli apparecchi a telemetro ad ottiche intercambiabili commercializzati nelle prima versione ad ottica fissa nel 1926, per la Franke e Heidecke le biottiche che avevano visto la luce nel 1929.

Per vicende profondamente diverse entrambe le aziende registrarono in quel periodo una flessione nel trend di vendita degli apparecchi tradizionali.

A proposito delle differenti vicende aziendali occorre ricordare che i due soci, produttori delle Rolleiflex, erano entrambi scomparsi senza lasciare un degno erede e con una azienda fondamentalmente monoprodotto. In Leitz vi era invece una continuità di gestione ed una differenziazione di produzione che andava ad esempio dalle fotocamere ai binocoli fino ai microscopi.

Già nella prima metà degli anni ’60 apparve abbastanza chiaro, pur con diverse sensibilità tra i produttori europei dell’industria fotografica, che gli apparecchi realizzati all’epoca avrebbero dovuto, presto o tardi, confrontarsi con un prodotto in rapido cambiamento e con nuove professionalità ben al difuori delle sole competenze nella meccanica di precisione possedute dalle aziende a quei tempi..

L’arrivo dal Giappone di modelli caratterizzati da un primo e più elementare uso di componenti elettronici, lo sviluppo nella seconda metà degli anni ’60 di fotocamere dotate di più avanzati sistemi di automatismo dell’esposizione e la realizzazione di apparecchi complessi a costo concorrenziale, crearono un gap che spinse alcune aziende, ne è un esempio la fondazione Zeiss con il marchio Zeiss Ikon, ad uscire dal mercato dei produttori.

otturatore della Konica Autoreflex T presentata nel 1968, prima fotocamera reflex 35mm con otturatore sul piano focale ad adottare l’automatismo di esposizione con sistema TTL che nel caso di questa fotocamera era a priorità di tempi

In questo scenario Leitz muove, già nei primissimi anni ’60, alcuni passi verso la realizzazione di una nuova fotocamera reflex 35mm, questo anche in ragione della flessione nelle vendite degli apparecchi a telemetro pur con una situazione di mercato che si stava avviando al regime di monopolio se consideriamo il ritiro di Zeiss Ikon e di Nikon della produzione di quel tipo di fotocamere.

Resisteva solo Canon che presenterà nel 1961 il modello 7 che per la prima volta, non me ne vogliano gli appassionati di questi apparecchi della casa giapponese, avrebbe, forse, potuto insidiare il calcagno di Leitz.

A Wetzlar viene quindi messo in cantiere il modello reflex che nel progetto iniziale avrebbe dovuto disporre di mirini intercambiabili e di un motore per il trascinamento de film.

estratto dalla brochure della prima versione Leicaflex

La versione che vede la luce a metà anni ’60 è più semplificata, perde l’intercambiabilità dei mirini e guadagna un esposimetro incorporato ed accoppiato non TTL con la cellula di lettura posta sul frontale del prisma.

La Leicaflex ha il tempo di otturazione più veloce a 1/2000 di secondo e il sincro flash a 1/100 di secondo.

per anni alcuni produttori di apparecchi reflex 35mm cercarono di rendere la visione il più possibile simile a quella degli apparecchi a telemetro di qualità, adottando lenti di Fresnel che garantivano una brillante visione ed una nitidezza complessiva che rendeva necessaria l’adozione del sistema ad immagine spezzata o a microprismi per regolare il fuoco

La Leicaflex, così viene battezzata, dispone di un primo corredo ottico di quattro focali: un Elmarit 35mm 2.8, il Summicron 50mm 2, i due Elmarit 90 e 135mm entrambi 2.8.

illustrazioni delle parti della Leicaflex del 1964

Le vendite della Leicaflex, per la quale nel frattempo era stato ampliato il parco delle ottiche, compensò nella seconda metà degli anni ’60 la flessione delle vendite degli apparecchi a telemetro e convinse Leitz ad uscire nel 1968 con il nuovo modello SL dotato di sistema di esposizione TTL.

copertina della brochure della Leicaflex SL; sulla fotocamera compare il classico coperchio sul frontale del prisma sotto il quale sono facilmente accessibili i trimmer per la taratura del sistema esposimetrico

La SL è stato il modello più longevo tra le Leicaflex restando in produzione sino al 1974 anno di uscita della SL2 e prodotto in circa settantamila esemplari dei quali mille in versione motorizzabile.

estratto dalla brochure della Leicaflex SL2 nella versione MOT prodotta in circa mille esemplari rispetto ai venticinquemila complessivi; il dispositivo di trascinamento del film è di dimensioni piuttosto generose; la SL2 dispone di ben cinque trimmer di taratura del sistema esposimetrico

Coloro che proseguirono, per scelta o per necessità di business, si trovarono dunque a dover compiere passi verso l’acquisizione di competenze che esulavano dal piano della progettazione, o della realizzazione tecnica, sui quali, è utile ricordarlo, i tedeschi avevano da sempre un buon vantaggio competitivo.

La frontiera dell’utilizzo di nuove tecnologie, e la produzione industriale che mantenesse adeguati margini di profitto divennero le reali sfide di inizio anni ’70.

Senza entrare troppo in dettagli che potrebbero ai più risultare noiosi, la produzione delle maggiori aziende europee del settore si sviluppò in quegli anni attorno a due filosofie alternative.

La prima, seguita prevalentemente da Hasselblad e da Leitz, riguardava il mantenimento di livelli produttivi contingentati che consentissero il consolidamento di un elevato livello qualitativo nella produzione senza espandere eccessivamente gli impianti, favorendo anche l’esercizio di una politica di prezzo di target elevato.

La seconda, che portò Rollei Werke allo sviluppo del progetto di Singapore, basata sulla produzione di massa e su una politica di prezzo fluttuante a seconda dei livelli delle vendite nei diversi mercati.

Mentre Hasselblad mantenne in patria la produzione, Leitz e Rollei Werke, implementarono accordi con l’oriente con modalità, contenuti e fortune molto diversi.

Di Rollei già ho parlato e scritto a lungo: l’azienda, uscita dalla pesante ristrutturazione voluta da Enrich Peesel nella seconda metà degli anni ’60, avviò la realizzazione del progetto della delocalizzazione della produzione a Singapore impiantando una fabbrica che occupava oltre quattromila dipendenti.

L’impianto era stato pensato con l’obiettivo di realizzare consistenti livelli produttivi avvantaggiandosi degli incentivi governativi e del basso costo della manodopera locale che tuttavia aveva un ridottissimo livello di competenze, fatto questo che determinò la necessità di impiantare un importante centro di formazione per le maestranze.

Il progetto di Singapore ebbe inoltre altri due limiti.

Il livello produttivo, per quanto elevato, non raggiunse mai una dimensione tale da sfruttare appieno le potenzialità dell’impianto, trasformando di conseguenza la fabbrica in un generatore di costi anziché di profitti.

Parte della componentistica, otturatori e ottiche in particolare, continuò per qualche tempo ad essere realizzata dagli storici partner europei e poi inviata, attraverso un lungo tragitto, nel punto di assemblaggio.

L’abbaglio che i bassi costi di manodopera potessero compensare le inefficienze economiche della filiera produttiva, finì per far chiudere malamente l’esperienza orientale della azienda di Braunschweig che, come noto, già ampiamente indebitata a metà degli anni ’70, fallì alla fine del decennio.

Alle luce di queste considerazioni appare dal mio punto di vista molto interessante quanto realizzato da Leitz prima attraverso la collaborazione con Minolta e subito dopo con la realizzazione dell’impianto produttivo in Portogallo.

fotografia dello stabilimento di Vila Nova de Famalicão a nord del Portogallo tratto dall’articolo di Gianni Rogliatti apparso sul numero 2/1984 della rivista La Leica

Anche in Leitz ad inizio anni ’70 si dovette affrontare il problema della manodopera sia in termini di aumento dei costi sia in termini di scarsità di personale.

Inoltre la collaborazione con Minolta che aveva portato alla realizzazione della Leica CL prodotta in Giappone, proponeva, nella prospettiva auspicata dall’azienda di portare in Germania l’assemblaggio di fotocamere a brand Leica, il problema del potenziamento degli impianti produttivi e della necessità di differenziare i livelli di manodopera in ragione delle nuove competenze introdotte dall’uso delle nuove tecnologie.

modulo otturatore della Minolta CLE, evoluzione del progetto CL che fu prodotta solo a marchio Minolta; l’otturatore era realizzato da Copal

Qui vi è una prima ed interessante differenza rispetto a Rollei: Leitz sviluppò una sinergia con Minolta che permise di sfruttare il kow how orientale per mantenere i nuovi prodotti al passo con l’evoluzione del mercato.

Quando nel 1976 venne presentata la Leica R3, Leitz fu la sola realtà europea ad avere nel proprio listino di fotocamere 35mm un modello concorrenziale alle realizzazioni di reflex automatiche giapponesi dell’epoca quali ad esempio Contax RTS, Canon AE1 e Olympus OM2.

Riuscì inoltre a vendere la R3 ad un prezzo sensibilmente più elevato rispetto al modello analogo XE-1, commercializzato da Minolta già nel 1975, portando nel contempo le realizzazioni a proprio marchio in ambito europeo.

Leica R3 e Minolta Xe-5 a confronto; la XE-5 è il modello semplificato rispetto alla XE-1 che ha caratteristiche analoghe alla R3

Occorre a questo proposito ricordare che anche Rollei nel 1976 presentò il proprio rivoluzionario modello di reflex 35mm automatica con la SL2000, modello che tuttavia vedrà la luce solo cinque anni dopo tassato di molte delle innovative caratteristiche della versione originale.

Leica R3 cromata Germany ancora ben funzionante con il 50mm Summicron R dummy che tengo per esposizione

spaccato della Leica R3 MOT tratto dalla brochure del periodo

In vista della produzione della nuova reflex che avrebbe dovuto sostituire le Leicaflex meccaniche, fu realizzato l’impianto di Vila Nova de Famalicão, comune portoghese che attualmente conta circa centotrentamila abitanti situato nel distretto di Braga ad una ventina di km da Porto, in una zona collinosa a vocazione vitivinicola.

fotografia dell’interno dello stabilimento di Vila Nova de Famalicão a nord del Portogallo tratto dall’articolo di Gianni Rogliatti apparso sul numero 2/1984 della rivista La Leica

La scelta della location, descritta da Gianni Rogliatti in un articolo del 1984 sulla rivista La Leica, era maturata attorno ad alcuni aspetti caratteristici di quel territorio ovvero le facilitazioni economiche da parte degli organismi di governo, la possibilità di reperire manodopera con una propensione ad un lavoro di precisione, nella zona era operativa una fabbrica di orologi, e da ultimo il costo della manodopera che nel 1973 era grossomodo un quarto di quello della Germania Ovest.

fotografia dell’interno dello stabilimento di Vila Nova de Famalicão a nord del Portogallo tratto dall’articolo di Gianni Rogliatti apparso sul numero 2/1984 della rivista La Leica

Il costo del lavoro è un concetto diverso da quello della remunerazione del personale del quale, quest’ultimo, costituisce solo una parte. Sul costo del lavoro gravano anche gli oneri sociali a carico dell’azienda, eventuali benefit di carattere contrattuale, oltre agli accantonamenti di legge relativi, ad esempio, a ferie e al trattamento di fine rapporto.

Inoltro essendo questa voce espressa in termini di importo orario conta anche il numero di ore previsto nell’ambito della contrattazione collettiva del settore o dagli accordi individuali in assenza di questa.

L’impianto portoghese consentì di mantenere una relazione diretta con Wetzlar rendendo possibile la produzione anche di singole componenti con assemblaggio poi effettuato in Germania.

La nuova fabbrica che occupa inizialmente 400 dipendenti viene avviata nel 1974 sotto la direzione dell’Ing. Koch con la collaborazione di una dozzina di altri tecnici tedeschi ed è suddivisa in tre settori, quello per le lavorazioni meccaniche, quello per le lavorazioni ottiche e quello per il montaggio finale.

Nel marzo 2013 la struttura, interamente rinnovata, ha una superficie di 52.000 m² ed occupa 700 dipendenti.

fotografia dell’interno dello stabilimento di Vila Nova de Famalicão a nord del Portogallo nel 2017

Negli anni ’70, Leica Portugal realizzava principalmente, fotocamere, binocoli e alcuni obiettivi attraverso la gestione in loco dell’intera filiera produttiva.

Nei cinquant’anni di vita dell’impianto la produzione si è via via ampliata e differenziata attraverso la realizzazione di componentistiche per fotocamere e obiettivi poi inviati a Wetzlar per l’assemblaggio finale ed il controllo di qualità.

Questo costituisce un altro interessante aspetto che ha contribuito al mantenimento negli anni dell’impianto di Vila Nova de Famalicão.

Torniamo alla descrizione fatta da Rogliatti nel 1984 della realtà produttiva portoghese.

L’articolo fu pubblicato con traduzione in inglese e tedesco, oltre che in italiano che era la lingua ufficiale della rivista, ed anche questo è un fatto curioso che sottolinea quanto fossero interessanti e rilevanti le notizie in esso contenuto.

Siamo ormai nel periodo della produzione delle Leica R4 ed R4s: Leica propone ora al pari di Minolta due versioni del modello, una completa e l’altra semplificata. Di seguito uno stralcio dello scritto

A questo punto ci vuole una precisazione: montaggio non significa semplicemente mettere insieme pochi gruppi prefabbricati altrove: la stessa elevata quantità di mano d’opera impiegata mostra chiaramente che il montaggio della Leica R4 è in realtà la fabbricazione integrale dell’apparecchio partendo da singoli elementi staccati come le pressofusioni che compongono l’intelaiatura e l’otturatore (che sono gli unici pezzi giapponesi) i componenti elettronici, che provengono dai migliori fornitori mondiali (come la Ferranti inglese), alcuni componenti meccanici ed ottici che vengono da Wetzlar (ad esempio lo specialissimo specchio semitrasparente ed i due coperchi, superiori ed inferiore, il cui trattamento galvanico è famoso per la caratteristica finitura cromata, bianca o nera). Ma ad esempio il pentaprisma è lavorato in loco con metodi a dir poco fantascientifici.

Anche nel caso della R4, Leica si presenterà nel 1980 con un nuovo apparecchio a proprio marchio pienamente al passo con i tempi, dotato di modalità di esposizione Program e, per la prima volta su un apparecchio reflex 35mm a proprio brand, con i vetrini di messa a fuoco intercambiabili.

Anche per la R4 come era stato per la R3 il design è differente dall’omologo apparecchio Minolta ed il prezzo di vendita ben più elevato.

Nel caso della R4 tuttavia le differenze di componentistica e funzioni si differenziano sostanzialmente dal modello XD-7 a marchio Minolta e sono ben maggiori di quanto si era verificato tra Leica R3 e Minolta XE-1.

Nel 1985 esce la R4s model 2 migliorata soprattutto nell’eliminazione di alcuni difetti di elettronica che caratterizzavano le versioni precedenti.

Leica R4s model 2 ancora perfettamente funzionante

Attualmente questa versione ha ancora gran parte degli esemplari ben funzionanti e per questa ragione ha quotazioni più elevati nel mercato dell’usato, quotazioni giustificate anche dal limitato numero di esemplari prodotti, circa cinquemila unità.

La serie R, sia per le fotocamere sia per le ottiche, ha vissuto negli anni scorsi una forte penalizzazione nelle quotazioni di mercato, fenomeno che sta registrando ultimamente dati in controtendenza soprattutto per gli obiettivi.

Questo con buona probabilità grazie alla possibilità di utilizzo degli obiettivi sulle fotocamere digitali mirrorless senza grandi preoccupazioni rispetto al numero delle camme o alle versioni ROM.

Vi è anche una certa riscoperta nell’analogico nell’utilizzo dei corpi R, sia nelle versioni Leicaflex sia nella R6, interamente meccanica, ed R8.

Tra le versioni più utilizzabili dal mio punto di vista vi è certamente la Leicaflex SL2 il cui esposimetro è in grado di funzionare a prescindere dal numero di camme dell’ottica, e la R8 che ha un buon rapporto prezzo prestazioni anche con vecchie ottiche, a patto di utilizzare gli accorgimenti riportati nel manuale d’uso. Questo se non si vuole investire somme ormai consistenti nelle più recenti ottiche ROM.

Per i dettagli sui modelli, le versioni ed i numeri della produzione, suggerisco la lettura degli articoli di Pierpaolo Ghisetti su Wetzlar Historica Italia.

L’abbondono della produzione di corpi e ottiche R da parte di Leica ha per qualche tempo fatto cadere nell’oblio questa articolata e fortunata serie, senza la quale, con buona probabilità, celebreremmo ora il marchio tra quelli appartenuti ad un pur glorioso passato.

Max Terzi
maxterzi64@gmail.com

Cinqueterre, Riomaggiore – Leicaflex SL2 – Summicron 90mm 2 primo tipo – Rollei Superpan 200 sviluppata con Rollei Supergrain

Milano Galleria Vittorio Emanuele – raduno Alpini 2019 – Leica R8 Schneider Super Angulon R 21mm 4 – Rollei Superpan 200 sviluppata con Rollei Supergrain

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