Se vi chiedessi in quale nazione venivano prodotte le reflex Edixa, non ho dubbi sul fatto che in molti risponderebbero, senza esitare, indicando la ex Germania Est.
Nulla di più sbagliato, giacché la sede della Wirgin era a Wiesbaden ma del resto niente di più sensato giacché queste reflex si ispirarono a quelle prodotte a Dresda nel secondo dopoguerra.

Un secondo aspetto errato percepito dai più, è lo scarso successo commerciale di questi apparecchi che non ebbero almeno in Italia grande notorietà e diffusione ma furono invece prodotti ed esportati anche oltre oceano in un buon numero di esemplari e costituirono, a torto o a ragione, le uniche reflex modulari con otturatore a tendina prodotte in Germania Ovest, almeno sino alla metà degli anni ’60.
Questo alone di scarsa diffusione e per certi versi di scarsa qualità, a fronte invece dell’originalità di questi apparecchi, mi ha molto incuriosito e mi ha spinto qualche mese fa ad approfondire le notizie sul marchio.
Parto dall’osservare che la scuola tedesca di progettazione e costruzione di ottiche e fotocamere, che aveva rappresentato fino al secondo conflitto un punto di riferimento a livello mondiale nel mondo dei produttori, esce dal periodo bellico profondamente devastata e ridimensionata, fattori questi che si consolideranno negli anni successivi per via della ripresa in altro luogo per alcune realtà produttive e per via del processo di statalizzazione delle imprese che coinvolse la DDR con i famosi Volkseigener Betrieb, meglio conosciuti con la sigla VEB.
Tuttavia il seme dell’ingegno e del progresso presente nelle aziende collocate nei territori della Germania Est, non tardò a germogliare attraverso nuovi prodotti o tramite la riproposizione, previo aggiornamento, dei modelli prebellici, fattori questi che caratterizzarono l’ultimo scorcio degli anni quaranta e la prima metà degli anni ’50.

Come ho avuto modo di raccontare negli articoli sulle Reflex di Dresda, è nelle Contax reflex, nelle Exakta o nelle Praktika e Praktina che troviamo i segni della modernità che verranno poi reinterpretati dai produttori giapponesi, in particolare da Nippon Kogaku, alla fine degli anni ’50.
Non certo nelle reflex Zeiss Ikon o Voigtlander presentate negli anni ’50, Contarex compresa.

La prova provata di questa affermazione sta nel fatto che i sistemi di innesto delle ottiche o alcune soluzioni adottate dai costruttori rimasti in Germania Est finirono per essere presi a riferimento dalla seconda metà degli anni ‘50 dal nascente mercato nipponico prima che questo si affrancasse definitivamente dagli schemi europei alla fine degli anni ’60.
Un esempio è rappresentato dall’adozione per le fotocamere Topcon dell’innesto per le ottiche Exakta piuttosto che di quello a vite 42×1 da parte della Asahi Pentax.

Non vi è dunque da stupirsi se nella parte occidentale della Germania nel 1953, in una azienda che dagli anni 20 produceva fotocamere, fosse nata l’idea di distinguersi dal coro, proponendo un modello di reflex dal quale le altre aziende della Repubblica Federale cercavano invece di prendere le distanze.
Se escludiamo Leitz, Franke e Heidecke o Robot, che disponevano già di un modello consolidato da sviluppare, rispettivamente nelle fotocamere a telemetro, nelle biottiche e negli apparecchi con avanzamento motorizzato, il resto della produzione nacque vecchio con la vana pretesa di rappresentare invece la modernità.
Non è un caso se il modello di reflex che si affermerà negli anni ’60 sarà più simile ad una Praktina che ad una Contaflex piuttosto che ad una Parktica rispetto ad una Kodak Retina Reflex.

Ed in questo in Wirgin ebbero una buona visione che appagò per anni gli sforzi fatti.
La storia dei Fratelli Wirgin, della quale ho brevemente fatto cenno nell’articolo sulla Rollei 35, prende il via negli anni ’20 quando Wolf, Joseph, Heinrich e Max Wirgin si mossero da Radom, in Polonia, verso la Germania e la Svizzera.
Sempre in quel decennio avviarono una fabbrica di fotocamere a Wiesbaden producendo fotocamere folding nello stile dell’epoca i cui nomi sono ai più poco noti come del resto è poco noto il microcosmo di produttori di questa tipologia di fotocamere che per semplicità costruttiva e utilizzo di componenti di altri produttori specializzati potevano rimanere in attività anche con un approccio artigianale e un limitato numero di pezzi prodotti.

I nomi di questi apparecchi sono Philos, Presto, Westex, e Gewir dotati di ottorutari Compur o Prontor e con lenti Steinheil o Schneider a seconda della livello di prezzo.
Qualche anno dopo in Virgin svilupparono anche una apparecchio 35 mm con ottica telescopica che verrà commercializzato con il nome Edinex.

Anche per i fratelli Wirgin si apri negli ultimi anni prima della seconda guerra mondiale un periodo di difficoltà legato alla loro origine ebraica che li costrinse a lasciare la Germania intorno al 1938 prima alla volta della Svizzera e da lì verso gli Stati Uniti.
L’azienda fu rilevata dalla società tedesca Fotowerke Dr. C. Schleussner GmbH proprietaria del marchio ADOX, che poté così inaugurare la produzione di fotocamere rimarchiando il modello Edinex con il nome di ADOX Adrette.

La Fotowerke Dr. C. Schleussner fu fondata a Francoforte sul Meno nel 1860 e fu il primo produttore al mondo di materiali fotografici sviluppando nei primi anni di vita dell’azienda la produzione dei componenti per il processo al collodio umido.

Schleussner collaborò anche con il fisico Wilhelm Röntgen nello sviluppo della tecnica dei raggi X, affermandosi come primo produttore di lastre radiografiche.
A differenza dei proprietari delle aziende che gravitavano nei territori della Germania finiti sotto l’influenza sovietica, cito ad esempio i casi di Steenbergen, o di Noble che non riuscirono ad rientrare in possesso delle loro aziende, Heinrich Wirgin tornato dopo la guerra riuscì a riacquisire la proprietà del marchio, benché l’impianto produttivo di Wiesbaden rilevato nel 1938 dalla Fotowerke Dr. C. Schleussner, continuò sotto il marchio ADOX la produzione di fotocamere.
Tra le interessanti fotocamere prodotte successivamente a marchio ADOX vi è sicuramente il modello 300 con dorsi per pellicola 35mm intercambiabili.

Heinrich Wirgin riprese a sviluppare il modello Edinex attraverso il lancio di un nuovo modello, la Edina.
Il nome “Edina” aveva tuttavia una forte assonanza con quello del modello “Retina” prodotto dalla Kodak a Stoccarda. In ragione di ciò la fotocamera cambio il nome in Edixa.
Questo fatto di attribuire nomi ai propri apparecchi, salvo poi doverli cambiare sotto la spinta dell’opposizione di altre aziende concorrenti, si manifesterà anche nel 1953 quando verrà presentata la prima reflex che uscì con il nome “Komet”, cambiato poi in “Edixa Reflex” ma su questo aspetto ritornerò a breve.
Nel 1950 approdò alla Fratelli Wirgin un giovane tecnico che proveniva da Telefunken di nome Heinz Waaske del quale ho già ampliamente parlato nell’articolo sulla Rollei 35.

Waaske, che si rivelò nella sua carriera un prolifico ed originale creatore di nuovi standard di fotocamere, esordì proprio con il progetto della nuova Edixa Reflex.
Siamo nel 1953 ed Heinrich Wirgin, il cui nome di battesimo era stato nel frattempo trasformato in Henry, fu da subito entusiasta dell’idea, ben consapevole che nella Germania occidentale di allora mancava un concorrente per IHAGEE e KW.

La nuova fotocamera, che dicevo fu inizialmente denominata “Komet”, finì quindi per ispirarsi proprio ai modelli di queste due aziende, adottando ad esempio l’innesto delle ottiche a vite 42×1, la stessa impostazione costruttiva dell’otturatore che, in pieno stile Leica, provocava la rotazione del selettore dei tempi durante le operazioni di scatto/ricarica e da ultimo il posizionamento del pulsante di scatto sulla parte frontale della fotocamera anziché sulla calotta.

Questo progetto fu condizionato anche dalla presenza in Wirgin di Otto Helfricht, che faceva parte del team che negli anni Trenta, insieme a Carl Nüchterlein, aveva sviluppato la Kine Exakta presso la IHAGEE Dresda.
Apro solo una piccola parentesi sul posizionamento del pulsante di scatto.
Quello che potrebbe apparire esclusivamente come una scelta di design o di maggiore ergonomia della fotocamera, fu invece adottata su alcune reflex principalmente per due ragioni.
La prima motivata dal fatto di non interferire, premendo il pulsante,, con la rotazione del selettore dei tempi, pena il rallentamento o il blocco delle tendine durante l’apertura con conseguente perdita del fotogramma. Fanno eccezione le Praktina che hanno il selettore dei tempi fisso pur avendo il pulsante frontale.
Questo problema è meno evidente sulle Leica a vite che hanno il selettore dei tempi e il pulsante di scatto in posizione tale da non creare grandi interferenze durante l’utilizzo, impostazione certamente favorita dall’assenza del mirino reflex.

La seconda, che portò su alcuni modelli a sistemare il pulsante in posizione perpendicolare rispetto alla parte frontale della fotocamera, fu dettata dalla necessità di posizionare il comando di chiusura del diaframma dell’obiettivo attraverso un secondo pulsante montato su un braccetto sporgente dall’ottica che, sovrapponendosi al pulsante di scatto, consente la chiusura del diaframma al valore di lavoro e l’effettuazione della posa in una sola operazione.
Il sistema è illustrato in questa immagine tratta da una brochure Edixa di uno dei primi modelli reflex.

Probabilmente per la allora limitata esperienza di Waaske, per lo stratificarsi di contributi condizionati da pregresse esperienze o per l’influenza di Henry Wirgin, che si comportò sempre da direttore della produzione più che da proprietario dell’azienda, quello che ne uscì fu di certo un progetto originale ma con soluzioni meccaniche scombiccherate e spesso stratificate fino a determinare un nutrito numero di modelli non sempre all’altezza dei concorrenti soprattutto in termini di affidabilità meccanica.
Complessivamente la Edixa Reflex usci in circa 80 modelli e varianti talvolta distinguibili solo dalla differente sigla o da piccoli particolari.
Direi un record assoluto.

Anche il corredo ottico di queste fotocamere fu di rilievo ma questo lo vedremo nella seconda parte dell’articolo.

Se escludiamo il primo modello, commercializzato nel 1954 e successivamente evoluto nelle varianti II e IIa, la produzione di Edixa Reflex può essere raggruppata in tre macro famiglie:
La prima con modelli denominati A, B, C e D presentati dal 1957 nei quali furono introdotte alcune caratteristiche distintive con la comune prerogativa di non avere lo specchio a ritorno istantaneo.

- nel modello A, più economico, la massima semplificazione escludeva anche il comando di chiusura del diaframma in fase di scatto; su questo modello potevano quindi essere utilizzati solo gli obiettivi con comando del disframma esterno;
- nel modello B le caratteristiche erano identiche al modello A con l’introduzione del comando automatico del diaframma in fase di scatto;
- nel modello C, si ha l’aggiunta dell’esposimetro esterno posizionato sotto la manopola di riavvolgimento;
- nel modello D, al posto dell’esposimetro è montato l’autoscatto che funge anche da temporizzatore per le pose da 2 a 9 secondi.

Per questa famiglia di fotocamere vengono prodotte ottiche con comando del diaframma semi automatico generalmente in finitura cromata.
La seconda famiglia, che acquisisce il suffisso “Mat”, viene presentata nel 1960 e si compone di tre modelli denominati B, C e D con caratteristiche analoghe ai modelli della prima serie che verranno poi accompagnati dal suffisso “L” divenento B-L, C-L e D-L.

Da notare che su questi modelli il selettore dei tempi ruota in fase di caricamento ma non in fase di scatto.

Nella serie Mat viene introdotto il ritorno istantaneo dello specchio nonché la finitura nera del disco contapose e del selettore dei tempi.

Per questa serie viene prodotta una nuova generazione di obiettivi, normalmente in finitura nera, con il diaframma automatico.

In questa serie il modello semplificato viene denominato “Kadett” ed a differenza del modello A della prima generazione ha una più limitata gamma di tempi che vanno da 1/30 a 1/500 di secondo.

Le prime due famiglie, nonché il modello originale, hanno l’intercambiabilità dei mirini e degli schermi di messa a fuoco, potendo scegliere, per i primi, tra un prisma normale e un originale mirino a pozzetto con una apertura a due ante.

I prismi della prima serie sono interamente silver mentre quelli della seconda sono rivestiti in finta pelle nera identica a quella utilizzata sulla fotocamera.
Vi è poi la terza famiglia riferita ai modelli prodotti nella seconda metà degli anni ’60 che persero, nei più recenti, l’intercambiabilità dei mirini e degli schermi di messa a fuoco guadagnando una cornice in plastica nera sotto il prisma sulla quale è riportato il nome del modello.

Sono ad esempio la Edixa Prismaflex, Prismat e Flex nelle diverse varianti.

È questa, dal mio punto di vista, la serie meno interessante che avvia peraltro l’azienda verso il declino segnato dall’uscita di scena di Henry Virgin nel 1968 e la successiva chiusura delle attività ad inizio anni ’70 dopo aver tentato il lancio di un nuovo modello Reflex – l’Edixa TL – che tuttavia ebbe scarso successo e diffusione.
Una interessante parentesi di inizio anni ’60 fu costituita dall’Edixa Electronica voluta e progettata da Heinz Waaske che tuttavia si rivelò un flop commerciale anche per i tentennamenti e la conseguente intempestiva commercializzazione che ne decretò il fiasco.

Interessante notare che l’Electronica, della quale parlo più compiutamente nell’articolo sulla Rollei 35, rappresenta un interessante quanto intempestivo caso di realizzazione di una macchina ad otturatore centrale in anni nei quali questo otturatore scomparirà gradualmente nelle reflex 35 mm.
prosegue nella seconda parte
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
Una interessante testimonianza sulla storia della Virgin, che consiglio di leggere, è contenuta in questa pagina dalla quale sono tratte alcune immagini e informazioni contenute nell’articolo
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