Le leggendarie reflex ALPA – prima parte

Ad inizio anni ’80, tra i ricordi che ho delle prime edizioni del SICOF alle quali ebbi modo di partecipare, vi è il passaggio dagli stand che in tono minore rispetto ai grandi marchi, presentavano prodotti poco noti a coloro che come me si accostavano al mondo della fotografia.

Tra questi ho ben memoria di due aziende che all’epoca mi colpirono particolarmente, aziende che forse nel tempo ho un po’ mitizzato ma che ancora oggi mi trasmettono molte sensazioni dei primi anni nei quali iniziai a coltivare la passione.

Permettetemi una breve digressione sulla prima, alla seconda ci arriverò a breve parlando delle reflex ALPA

La prima si riferisce allo stand della Chimifoto Ornano la cui sede di allora era ubicata a Milano in Via Bolzano 29, lungo la linea ferroviaria, nei pressi della stazione di Lambrate, punto dal quale transitavo tutte le mattine con il treno che mi portava a scuola fuori città.

l’azienda fu fondata nel 1946 da Silvio Ornano fratello di Alfredo più famoso per libri e articoli sulle tecniche fotografiche che fu anche tra i curatori della rivista Ferrania dal cui numero del dicembre 1964 è tratta questa pagina pubblicitaria della Chimifoto Ornano

Siamo nel 1981 e poche cose avevo imparato l’estate precedente da un caro amico di mio padre: fotografare con una Petri TTL, sviluppare il negativo con una tank Paterson usando il Normaton ST18 ed il Presto F90, stampare con un Durst M301 utilizzando carta Agfa Brovira scadutissima che mi aveva regalato un fotografo di Gavirate che aveva anni prima chiuso lo studio.

I frequentatori del SICOF di allora ricorderanno che in quel periodo presso lo stand della Ornano stazionava un simpatico ed affabile personaggio, del quale non ho mai saputo né il nome né la qualifica, che se ne stava in giacca e cravatta seduto su un trespolo dietro il bancone ed il cui ruolo era quello di rispondere alle domande dei visitatori, fornendo consigli ed incoraggiamenti, anche agli sbarbati che come me chiedevano cose banali che in altri stand, ben più noti e blasonati, non sarebbero nemmeno state ascoltate.

Nell’era dei social e dei gruppi tematici questa è la categoria di utenti che viene di norma presa a male parole quando pone un quesito.

Nella successive edizioni del salone, mi preparai per tempo le domande da porre, aspettando paziente in fila il mio turno e ricevendo sempre dal medesimo soggetto la considerazione che si dedicava al cliente più importante. Che avessero saputo che meritassi attenzione perché tutte le mattine li salutavo dal finestrino del treno non ve lo so dire, sta di fatto che questo approccio è sempre stato per me il modello di una illuminata gestione dei propri clienti.

Il secondo ricordo è legato allo stand delle fotocamere ALPA nel quale erano esposti apparecchi che, a dispetto dell’immagine conservativa che forniva questa azienda Svizzera, erano ancora in commercio all’inizio degli anni ’80.

E lo sarebbero ancora stati per buona parte del decennio.

i tre modelli ALPA in produzione ad inizio anni ’80

Nell’edizione del 1981 o del 1983 avrò senz’altro visitato gli stand di Leica, Nikon e Canon ma di questi non ricordo nulla.

Ricordo solo quella strana reflex con la leva di ricarica che si azionava al contrario e di uno stand sobrio, popolato da soggetti di altri tempi.

Avrei appurato tempo dopo avvicinandomi al collezionismo, che il grande cataclisma che aveva sconvolto il mondo dei produttori europei di fotocamere aveva per un certo periodo di tempo risparmiato ALPA che poteva quindi vantare di essere sopravvissuta con i propri apparecchi meccanici a più note aziende europee del settore.

Ho trovato qualche tempo fa una lettera spedita nel maggio del 1983 da Ballaigues, sede della ALPA Pignon SA, ad un visitatore del loro stand al SICOF di quell’anno, lettera contenente una offerta commerciale per fotocamere, ottiche e accessori.

lettera inviata ad un visitatore italiano del SICOF 1983 che aveva con buona probabilità chiesto come poter acquistare una fotocamera ALPA in Italia

Dal tono e dal contenuto dello scritto emerge chiaramente la situazione di inizio anni ’80 nella quale, almeno in Italia, non vi era più un importatore ufficiale.

Ci sono tre passaggi che riporto testualmente, la cui lettura da bene la percezione del momento vissuto in quegli anni dall’azienda, mettendo inoltre in risalto lo stile fuori dal tempo che lega al mio immaginario questa marca svizzera.

Chi introdurrebbe mai una offerta commerciale con una sequenza di scuse e giustificazioni?

Facendo seguito alla richiesta di prospetti illustrativi e dei relativi listini della nostra reflex ALPA 11 si, Vi inviamo il materiale allegato purtroppo non tradotto, con la speranza che almeno le caratteristiche tecniche siano di facile comprensione.

il listino allegato è in francese, tedesco e inglese e la considerazione fatta nel primo capoverso della lettera accompagnatoria, circa la speranza che il potenziale cliente possa comprendere le principali caratteristiche tecniche almeno in una delle tre lingue, è davvero singolare ed oggi, ma probabilmente anche all’epoca, sarebbe considerata un’apertura suicida

La lettera poi prosegue.

Ci rammarichiamo inoltre del fatto che, facendosi le ottiche continentali sempre più rare, sia stato necessario colmare alcuni vuoti prodottisi nella gamma con obbiettivi di produzione nipponica, di eccellente qualità e controllati singolarmente, marcati Auto-Alpa.

elenco delle ottiche disponibili per le ALPA ad inizio anni ’80 tra le quali fanno la comparsa i Takumar dei quali tuttavia non ho mai trovato esemplari marchiati ALPA; può invece capitare di trovare vecchi Takumar o Super Takumar 42×1 montati su anello adattatore ALPA

Il terzo capoverso recita poi:

Avremmo desiderato poi formare a tempi brevi una rete di distributiva capace di coprire le principali città italiane, in modo da indicarVi il negoziante autorizzato più vicino alla Vostra residenza, non essendo però stato ciò finora possibile siamo costretti a formulare una offerta diretta, che resterà valida sino al ristabilimento della distribuzione ordinaria.

Ricordo bene che all’epoca allo stand ALPA non erano disponibili brochure o materiale informativo da banco e che, al pari di Leica, il personale della casa madre presente non parlava italiano.

Nella presentazione dei propri modelli l’azienda svizzera da sempre asseriva che L’ALPA non era prodotta in grandi serie e quindi non era economica, ogni esemplare veniva realizzato come se fosse un pezzo unico, poteva essere utilizzato per tutte le attività possibili in tutte le aree della fotografia e con la sua comprovata robustezza, non temeva alcun maltrattamento.

Peraltro sulla questione del prezzo occorre ricordare che ad inizio anni ’80 una ALPA costava quanto una Leicaflex e che, dal punto di vista costruttivo, tra una Leicaflex SL2 ed una ALPA 9d vi era una differenza assolutamente a sfavore della reflex di Wetzlar.

da Almanacco di Fotografare del 1981

Nell’offerta economica allegata alla lettera vista sopra, il modello 11si veniva proposto a 2.561 Franchi svizzeri che al cambio del maggio 1983 corrispondevano a 1.814.648 lire. A queste occorreva aggiungere gli oneri di importazione.

Approfondendo poi la storia di questa serie di fotocamere, emerge con chiarezza che a fianco delle caratteristiche di accoratezza costruttiva, precisione e robustezza, vi è sicuramente anche quella dell’innovazione.

Le ALPA infatti nella loro essenzialità detengono alcuni primati che avremo modo di vedere in seguito e che non furono mai sfruttati ai fini dello sviluppo della commercializzazione del prodotto al quale, probabilmente l’azienda non fu mai realmente interessata.

L’ALPA non è prodotta in grandi serie e quindi non è economica, ogni esemplare viene realizzato come se fosse un pezzo unico.

In ossequio alle fotocamere svizzere, iniziai la mia collaborazione con SENSEI con tre articoli dedicati alla figura di Jacques Bogopolsky che delle ALPA, e non solo, fu l’ideatore.

Bogopolsky appartiene a quella categoria di imprenditori che alla fine degli anni ’30 si trova per questioni razziali in posizione di pericolo rispetto agli accadimenti di quel periodo. Accanto a questi imprenditori prenderanno posto poi coloro che alla fine della guerra vedranno le loro attività coinvolte nel piano di statalizzazione condotto nel territorio della Germania sotto il controllo sovietico.

Alcune di queste storie sono contenute negli articoli sulle reflex di Dresda.

La figura e la storia di Bogopolsky sono tuttavia particolari sia per la tipicità del personaggio sia per le vicende che lo portarono negli Stati Uniti poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Riprendo quindi per sommi capi quanto ho già scritto negli articoli prima citati.

Nato a Kiew nel 1896 da una famiglia di origine ebraica, Jacques Bogopolsky si trasferisce in Svizzera nel 1912 per studiare medicina a Ginevra e una volta scoppiata la rivoluzione d’ottobre perde, come da lui stesso più volte affermato, ogni contatto con la famiglia di origine.

Benché le notizie di quegli anni siano molto poche, si sa che Jacques lavorò in Svizzera, probabilmente per pagarsi gli studi, anche come ritrattista mentre frequentava la scuola di medicina che non risulta abbia mai terminato.

Ginevra è storicamente il fulcro nella regione svizzera nota per la costruzione di orologi che già dall’inizio del XX secolo vive un particolare periodo di fermento e di rinnovamento nel tentativo di ristabilire la concorrenzialità persa a vantaggio dell’industria inglese e americana.

In questo clima e in una regione ricca di competenze di meccanica di precisione, Bogopolsky sviluppa una serie di apparecchi, il cui capostipite, che risale al 1923, è la Cinegraphe BOL una cinepresa 35 mm che poteva effettuare anche scatti singoli od essere utilizzata all’occorrenza come proiettore o ingranditore per la stampa.

Questo tipo di apparecchio multiuso non è in quel periodo unico nel suo genere, la Cinegraphe è tuttavia il più compatto e versatile, con un peso di soli 1,7 kg poteva ospitare fino a 10 metri di pellicola 35 mm a differenza dei 5 metri di apparecchi simili.

pagina illustrativa delle caratteristiche della Cinegraphe Bolt

Per questo apparecchio Bogopolsky ottenne il brevetto in Germania il 24 marzo 1924.

Sempre nel 1923 Kodak presenta il nuovo formato cine 16mm e tre anni dopo, nel 1926, sempre Bogopolsky realizzerà per questo formato la cinepresa Bolex il cui progetto verrà in seguito acquisito dalla svizzera Paillard.

la cinepresa Bolex prima dell’acquisizione da parte della Paillard

La Paillard, con sede a Saint Croix, comune nel distretto di Jura-Nord Vaudois nel cantone di Vaud in Svizzera, produceva all’epoca grammofoni, macchine da scrivere e deve parte della sua fortuna allo sviluppo degli apparecchi 16 e 8mm sulla base del primo modello Bolex.

Come Bogopolsky possa essersi avvicinato al mondo delle fotocamere 35mm resta un punto interrogativo.

Alcune fonti attribuiscono alla Pignon di Ballaigues, comune anch’esso dislocato nel distretto di Jura-Nord Vaudois nel cantone di Vaud in Svizzera, azienda fondata nel 1918 e specializzata nella produzione di minuteria meccanica per orologi, la prerogativa di averlo ingaggiato ad inizio anni ’30 per lo sviluppo di una fotocamera.

Dobbiamo tuttavia immaginare il contesto delle aziende impiegate nell’industria orologiaia di quell’epoca come non sempre in grado di avere una così ampia visione sulle produzioni alternative o comunque non a sufficienza per dare il via, all’inizio degli anni ’30, allo studio di un apparecchio reflex 35mm.

È invero molto più probabile che Bogopolsky cercasse un fornitore di meccanica di precisione per realizzare il suo nuovo progetto che, per quanto innovativo, vedeva già a Dresda alcune aziende all’opera per la realizzazione di prodotti analoghi.

Senza considerare quanto la sovietica GOMZ – LOMO stava sviluppando o, secondo alcune fonti, aveva già sviluppato con la Sport Gelveta.

Quello che è certo è che siamo in un periodo di grande interesse attorno alla visione reflex applicata a fotocamere 35mm, ma occorrerà attendere sino al 1936 perché la JHAGEE presenti la Kine Exkta e qualche anno più tardi perché la Pignon produca la prime versioni di quelle che poi sarebbero diventate le Reflex ALPA.

Bogopolsky nel frattempo progetta e realizza la BOLCA, fotocamera reflex monobiettivo dotata di un secondo mirino galileiano e di un doppio sistema di messa a fuoco, reflex e telemetro.

esemplare di BOLCA esposto al Musée suisse de l’appareil photographique, Grande Place 99
1800 Vevey – CH

Il progetto di questa fotocamera resta, o viene ceduto da Bogopolsky alla Pignon, a seconda di come vogliamo immaginare la vicenda, e l’azienda svizzera realizza dal 1939 al 1941 una pre serie di venti esemplari principalmente per testare i materiali.

Nel frattempo Bogopolsky emigra negli Stati Uniti dove cambia il cognome in Bolsey e fonda la Bolsey Corporation of America produttore di fotocamere a telemetro 35mm.

Bogopolsky al secolo Bolsey in una immagine degli anni ’50

Le storie della Pignon in Svizzera e della Bolsey negli USA, proseguono quindi con target di prodotto, volumi e potenzialità di mercato differenti.

Negli Stati Uniti Bolsey si dedicherà alla produzione di apparecchi di fascia economica dotati di ottica ed otturatore Vollensack che comprendono anche un modello di biottica per pellicola 35mm, identificato nella serie C e una curiosa cinepresa 8mm delle dimensioni di un pacchetto di sigarette che manterrà il primato di apparecchio cine più compatto mai prodotto.

Il dettaglio dei modelli prodotti dalla Bolsey è riportato in questo articolo.

In Svizzera la Pignon svilupperà con il marchio ALPA, ufficialmente presentato nel 1944, tre generazioni di fotocamere acquisendo, come facevo cenno prima, alcuni primati, per le innovazioni introdotte.

Tra le principali ed innovative caratteristiche, anticipo in chiusura della prima parte, quella risalente al 1949 riferita all’adozione di un pentaprisma per la visione, primato conteso con Rectaflex e Contax S, e quella dell’introduzione della lettura esposimetrica TTL nel 1964 con l’uscita del modello 9d.

dalla brochure del 1964 dell’ALPA 9d

Delle famiglie di modelli, delle loro peculiarità e delle ottiche che accompagnano il marchio ALPA parlerò in modo più dettagliato nella seconda parte dell’articolo.

Max Terzi
maxterzi64@gmail.com

prosegue nella seconda parte

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