Nella prima parte dell’articolo sono state esaminate le origini della produzione delle fotocamere 35mm ALPA nonché gli step che portarono ai primi prototipi assemblati tra il 1939 ed il 1941 classificati poi nella serie A di queste fotocamere.

Alla prima serie, costituita da 20 esemplari, ne seguì una seconda prodotta nel periodo tra il 1942 ed il 1946 costituita da 600 esemplari e denominata B.
Della prima produzione non vi sono grandi informazioni e ciò dipende dalla mancanza di documentazione dell’epoca e dai successivi rimaneggiamenti e modifiche degli esemplari, caratteristica che troviamo anche nei prodotti successivi.
Non va infatti dimenticato che queste fotocamere venivano realizzate con un approccio artigianale garantendo ai clienti la possibilità di applicare, sui modelli più datati, alcuni degli upgrade di quelli più recenti, cosa che accadeva anche per altri produttori pur con interventi limitati a precise modifiche.
Basti pensare alle trasformazioni tra modelli delle Leica a vite.
Contravvenendo ai canoni narrativi che vorrebbero, di norma, la storia illustrata in ordine cronologico, vedremo di seguito due particolari modelli che Pignon presentò nella seconda metà degli anni ’70, modelli di norma snobbati dai puristi del marchio che rappresentano invece un interessante tentativo di far fronte alla crescita del mercato delle reflex elettroniche, ambito ben al difuori delle competenze dell’azienda di Ballaigues.
Prima di affrontare la produzione della seconda metà degli anni ’40, faccio quindi un balzo in avanti di una trentina di anni, intervallo che racchiude pressoché tutta la produzione dei modelli ALPA che vedremo poi nel prosieguo.
Quello che infatti accade alla Photokina del 1976 è per la casa svizzera un evento straordinario, non molto differente da quanto stava in quegli anni accadendo ad altri produttori o catene di distribuzione che sfruttavano il loro marchio per brandizzare apparecchi di produzione giapponese.

Per la Pignon, probabilmente, la necessità di proporre un prodotto più competitivo sia in termini di prestazioni sia di prezzo, doveva aver fatto maturare la scelta di seguire una via analoga a quella sopra citata, via che anche in questo caso fu percorsa con uno stile differente da quello del resto dei produttori.
Alla Photokina del 1976 dunque fa la comparsa un apparecchio reflex ALPA che nulla ha a che vedere con la produzione classica dell’azienda, fatto che desta un certo scalpore oltre ad una visione come sempre divisa tra sostenitori e detrattori della nuova fotocamera.
La nuova ALPA, marchiata Si 2000, altro non è che una Chinon CE II Memotron con una estetica rivista in Svizzera e con il cuore realizzato in Giappone.

La Chinon Industries Inc., questa denominazione della ragione sociale viene adottata a valere dal 1973, è stata fondata da Chino Hiroshi nel settembre 1948 ed era originariamente conosciuta come Sanshin Seisakusho.
Acquisita a metà anni 2004 dalla Kodak Japan Limited e tutt’ora il produttore delle fotocamere digitali commercializzate con il marchio Kodak.
L’azienda ha sede a Nagano e nel corso della sua storia si è più volte distinta per aver lanciato prodotti innovativi e la serie CE, almeno nei primi modelli, è un’interessante tentativo di applicare al passo 42×1 un apparecchio dotato di numerose funzioni così da consentire l’utilizzo dello sconfinato parco di ottiche a vite disponibili.
Mantenutasi indipendente prima dell’acquisizione nel 2004, era specializzata nella produzione di cineprese 8mm e super8 detenendo alcuni primati tra i quali quello del primo apparecchio in grado di registrare audio sincronizzato.
Dal 1971 avvia la produzione di fotocamere 35mm ed anche in questo caso adotta uno stile distintivo che vedrà per l’appunto nella prima metà degli anni 70 la presentazione dei modelli della serie CE.
Queste caratteristiche indussero con buona probabilità la Pignon ad individuare nella Chinon CEII la base sulla quale sviluppare un prodotto con il loro marchio.
La ALPA Si 2000 mantiene meccanica ed elettronica della CEII, racchiusa in un’estetica ridisegnata ma soprattutto realizzata con criteri tipici della produzione ALPA quali ad esempio la calotta fresata dal pieno e non di ottone stampato come nell’originale.
Non sono certo se l’assemblaggio finale avvenisse a Ballaigues ma credo fosse molto probabile, anche in relazione alle varianti applicate al modello standard, tipiche delle competenze della Pignon e del fatto che l’azienda garantiva un accurato controllo degli apparecchi prima della commercializzazione.
Ne risulta così una fotocamera decisamente più pesante con caratteristiche di robustezza in linea con la produzione ALPA.
La Si 2000 mantiene il passo a vite 42×1 della Chinon CEII con una serie di ottiche dedicate marchiate AUTO ALPA che possono essere montate sugli apparecchi della serie tradizionale attraverso un anello adattatore già disponibile da tempo per le fotocamere svizzere.

Ereditando poi le caratteristiche di versatilità del modello Chinon, è in grado di utilizzare con pochissime limitazioni del sistema esposimetrico, qualsiasi ottica 42×1 a partire dai primi esemplari per Contax S o per Praktiflex.
Nonostante queste interessanti prerogative, il modello non ebbe grande successo e non consentì alla Pignon di sviluppare la propria presenza nel segmento delle reflex 35mm con un prodotto di fattura meno artigianale rispetto alla produzione tradizionale.
Va inoltre ribadito che, a torto o a ragione, la Si 2000 non viene di norma considerata nel novero degli apparecchi ALPA dai puristi del marchio svizzero.
Sorte peggiore toccò al successivo modello, la Si 3000, presentata alla Photokina del 1980, sviluppata sempre su un analogo modello Chinon, la CE4, che tuttavia aveva abbandonato l’innesto delle ottiche a vite 42×1 per adottare la baionetta Pentax K.

Il modello rimase nel listino della Pignon per un arco temporale molto limitato e già nel 1983 non era più disponibile per la commercializzazione.
Il limitato periodo di disponibilità di questi modelli e lo scarso successo, li rendono oggi abbastanza rari con quotazioni almeno dal mio punto di vista non del tutto giustificate. Nemmeno le ottiche, marchiate AUTO ALPA sia nella versione 42×1 sia in quella a baionetta K, sono così interessanti giacché si tratta spesso di produzioni giapponesi che pur di buona qualità si trovano nei marchi originali a prezzi più accessibili.
Nulla a che vedere con caratteristiche, resa e fascino degli Switar e dei Macro Switar prodotti in esclusiva dalla Kern per le reflex di Ballaigues.
L’evocazione degli Switar ci fa tornare indietro nel tempo dove la nostra storia si era interrotta per far posto alla parentesi nipponica degli anni ’70.

La produzione del dopoguerra prosegue per qualche anno sulla falsa riga del concept ideato da Bogopolsky.
Si sviluppano quindi i modelli successivi alla serie B tra i quali troviamo esemplari nel 1947 commercializzati negli stati Uniti con il marchio Bolsey.

Per le vicende e le scelte della Bolsey Corporation of America, la commercializzazione delle ALPA dovette interrompersi ben presto e comunque non varcò la soglia degli anni ’50.
Da qui potrebbe partire una lunga elencazione dei modelli e delle varianti che complessivamente rappresentano l’approccio di miglioramento continuo dei primi anni di produzione e successivamente l’intento di offrire prodotti differenziati che andassero il più possibile incontro alle specifiche esigenze degli acquirenti.
Per avere una panoramica della produzione della Pignon che va dalla fine degli anni ’40 ad inizio anni ’80, è sufficiente, probabilmente con un approccio un po’ semplicistico, classificare i modelli di reflex Alpa 35mm in tre macro categorie.
La prima è costituita dal gruppo eterogeneo dei modelli prodotti sino all’inizio degli anni ’50 che mantengono una forte ispirazione alla BOLCA e sono realizzati facendo ricorso a lamierini sagomati anziché a strutture in pressofusione. Questi modelli, a parte le due pre serie sono classificati a seconda delle caratteristiche con i numeri romani I, II e III.
Il secondo gruppo di fotocamere è costituito dai modelli prodotti dal 1952, che conservano il doppio mirino e hanno la presenza o meno del telemetro, dell’autoscatto e delle cornici per le diverse ottiche utilizzate. da qui in poi la classificazione utilizzerà numeri arabi partendo dal modello 4.

L’uscita di questa nuova tipologia di fotocamere, corrisponde da un lato ad una profonda revisione della meccanica, che introduce ad esempio la rotazione contraria della manopola di ricarica, e dall’altro ad un rilancio di immagine che l’azienda di Ballaigues mette in atto con grande attenzione al mercato americano.
Nell’ambito di quest’ultimo aspetto, viene rivisto anche il marchio che acquisisce il suffisso ALNEA derivante dalla contrazione delle parole inglesi all near che tradotto letteralmente significa tutto vicino ma che secondo le intenzioni della casa svizzere avrebbe dovuto esprimere il concetto del tutto a portata di mano a rappresentare la grande versatilità dei nuovi apparecchi.
A questa differente interpretazione che nell’accezione del tutto vicino dava l’idea dell’uso della fotocamera con ottiche di lunga focale, fu posto rimedio qualche anno dopo con il ritorno al marchio ALPA REFLEX.


Questa serie di modelli adotta il pentaprisma non intercambiabile con la classica forma bombata, con il mirino posizionato a 45 gradi.
Ha la struttura del corpo in pressofusione, una parte della calotta e del fondello sono rifinite con una una delicata laccatura grigia e ha la sigla del modello riportata sulla targhetta posizionata tra il prisma ed il bocchettone delle ottiche, accanto al numero di matricola.

Su queste fotocamere non fa ancora la comparsa, se non negli ultimi modelli 7 e 8, e per alcune versioni del modello 6, la leva di carica che si aziona al contrario rispetto ai tradizionali apparecchi reflex 35mm.
La questione della leva di carica al posto della manopola non ha tuttavia un riferimento temporale certo rispetto ai modelli e rientra con buona probabilità tra le modifiche after market viste sopra per la precedente serie.
Sulle prime versioni è presente il generoso bottone di ricarica che permette anche la selezione dei tempi di otturazione, bottone che ruota in fase di scatto, richiedendo una certa attenzione quando si impugna la fotocamera nel non bloccare con le dita il movimento, blocco che andrebbe a discapito della corretta esecuzione del tempo impostato.
Il terzo gruppo, mantiene una forma del corpo simile ai precedenti modelli pur con modanature più squadrate, perde il doppio mirino a favore della sola visione reflex ed introduce nel modello 6c un sistema esposimetrico non accoppiato con cellula al selenio, ed un sistema TTL non accoppiato ai tempi nel modello 9d.


Come è possibile vedere vi è una intersezione tra i due gruppi nella progressione numerica dei modelli che rende impossibile attribuire un criterio generale per identificare sulla base dell’intervallo numerico, la tipologia di fotocamera.
Vi è tuttavia da dire che, a parte le primissime versioni, è disponibile la sequenza delle matricole con l’esatta indicazione del modello alle quali si riferiscono e dell’anno di produzione.
Il terzo gruppo di fotocamere ALPA va dalla 9d alla 11si coprendo quindi l’arco temporale più ampio.
Si tratta dal mio punto di vista delle fotocamere più riuscite e più usabili, ispirate ad un criterio di essenzialità e robustezza che rendono ancora aggi possibile il loro utilizzo con ottimi risultati.
Si tratta anche dei modelli in assoluto più costosi.
Del resto, se si è disposti a sborsare qualche migliaio di euro per una Leica a telemetro con un 50mm 2 Summicron, perché non spenderli per una Alpa 11si con il 50mm 1,9 Macro Switar?
Chiaro che le diverse scuole di pensiero potrebbero avvalorare o confutare questa domanda così come è evidente che l’usabilità di una vecchia M2 o M4, giusto per citare modelli più datati, è tutt’aggi insuperata a differenza della visione reflex di un’ALPA che, diciamolo, non è esattamente il massimo come non lo era all’epoca anche in ragione del sistema di lettura Stop Down.

Per esperienza personale trovo che il miglior compromesso tra prezzo e possibilità di utilizzo è nel modello 9d corredato dal Macro Switar 1.8.

Questo modello, che ricordavo sopra, fu tra le prime reflex 35mm ad adottare un esposimetro TTL con le cellule in CdS posizionate dietro al prisma, ha tutto ciò che può servire per un utilizzo versatile, ivi compresa la possibilità di montare ottiche a vite 42×1 tramite l’apposito adattatore ALPA.

La casa svizzera peraltro aveva messo in commercio una serie di anelli adattatori per altri innesti che sfruttavano il minore tiraggio dei loro copri macchina, consentendo quindi di poter utilizzare un vasto numero di obiettivi.
Il più comune, e anche il meno caro, di questi adattatori è quello per il passo 42×1 che consente ad esempio di utilizzare lo Schneider 50mm Xenon per Edixa anziché acquistare quello marchiato ALPA decisamente più raro e costoso.

Si tratta in fondo esattamente della stessa ottica sia in termini costruttivi sia estetici, salvo la diversa scritta che mi rendo conto possa generare imbarazzo – comunque mai quanto il montare gli Jupiter sulle Leica a telemetro.

Il pezzo forte è invece l’ottica Kern Switar, normale o macro, 50mm 1.8.

Delle ottiche Kern che siamo di norma abituati a vedere montate sulle cineprese Bolex 8 e 16mm, ho già parlato in questo articolo.
La casa di Aarau produsse per ALPA solo la focale standard e questo rappresenta un mistero visto che per Bolex venivano prodotte le più svariate focali.

Probabilmente la scelta della Pignon fu quella di rendere disponibile, almeno dagli anni ’50 in poi, un parco ottiche costituito da assolute eccellenze, il che portò a selezionare Angenieux per quelle grandangolari, basti pensare ai retrofucos, Kern per le focali 50mm normali e macro, Kilfitt per macro e tele, giusto per fare degli esempi.
Schneider invece copriva le focali da 35 a 135mm facendo sì che a listino fossero disponibili ottiche dal costo più abbordabile così come anche oggi accade nelle quotazioni dell’usato.
Questo teoria è tuttavia smentita dalla comparsa ad esempio di tele prodotti da Angenieux e dimostra, anche in questo caso, la variabilità dei listini che risentivano, un po’ come successe per la Rectaflex, del tipo di accordo stipulato con i singoli produttori.
Mentre tutte le ottiche sopra elencate furono prodotte anche per altri apparecchi reflex 35mm, la caratteristica dei Kern per ALPA è di essere stati realizzati solo per queste fotocamere e di rappresentare quindi una rarità nella rarità che ne aumenta il fascino ed in alcuni casi anche l’eccessiva mitizzazione.
Visto che stiamo parlando del modello 9d rimaniamo nella versione degli Switar con apertura 1.8. Vi è poi il restiling del modello macro con apertura 1.9 realizzato per i modelli più recenti che ha una quotazione decisamente superiore e per certi versi non giustificata.
Dello Switar 50mm 1.8 esiste la prima versione in finitura laccata argento simile a quella delle fotocamere che ha una messa a fuoco minima a 56 cm, ottica che sebbene disponibile anche per il modello 9d è normalmente montata sui precedenti modelli 4,5 6 e 7.
Con lo stesso schema ottico a sette lenti vi è poi la versione macro in finitura nera con ghiera di innesto laccata argento che riprende il family feeling delle ottiche per Bolex.

La versione macro ha una messa a fuoco minima di 28 cm.
Tra le due versioni vi sono minime differenze e se raffrontiamo un esemplare degli anni ’50 della prima, troveremo probabilmente solo una differenza nella colorazione del trattamento antiriflesso.
Il Macro Switar consenti ad ALPA di rafforzare la propria presenza nell’ambito tecnico scientifico di impiego dei propri apparecchi, ambito questo che vede la casa svizzera pubblicare già negli anni ’50 materiale divulgativo sulle possibilità di applicazione della produzione dell’epoca.

Occorre poi dire che un’ottica standard così luminosa in versione macro è realmente una eccezione anche in ragione della necessità di avere alla distanze più ravvicinate un minimo di profondità di campo anche a diaframma non completamente chiuso.
Da questo punto di vista occorre dire che i risultati del Kern Macro Switar sono veramente eccellenti.
Per il resto si tratta, sia nella versione macro sia nella versione normale, di due ottiche molto divertenti da usare e con un interessante risultato arrivando anche a sottoesporre di due stop.
Mito o realtà non hanno un confine se non in alcune caratteristiche oggettive che contribuiscono anch’esse ad ammantare di fascino queste fotocamere.


Prima di terminare, ritengo sia necessario fare un cenno all’ultimo modello della linea tradizionale ALPA ovvero la 11si di norma corredato dal nuovo Kern Macro Switar 50mm 1.9.

La 11si è il punto di arrivo di un percorso evolutivo che ha mantenuto forme e principali caratteristiche dei primi modelli 6c e 9d evolvendo ad esempio il sistema di lettura esposimetrico la cui taratura è possibile senza smontare la fotocamera.

Max Terzi maxterzi64@gmail.com

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