Le fotocamere Robot – prima parte

Nella panoramica dei produttori tedeschi di fotocamere 35 mm del periodo precedente all’avvio del secondo conflitto mondiale, occupa da sempre un ruolo minore, tra la notorietà di “big” come Leica, Contax o Exakta, la serie di fotocamere Robot.

Nate dall’idea e dal coraggio imprenditoriale di un giovane industriale e di un geniale tecnico, di Robot non esiste una grande varietà di materiale sulla storia dell’azienda, mentre è più nutrito il repertorio di informazioni tecniche sui modelli di serie.

Quasi impossibile è invece ricostruire le innumerevoli versioni prodotte direttamente dalla Otto Berning, o adattate da produttori terzi, per le più svariate applicazioni in campo scientifico, industriale o militare, ambiti nei quali queste fotocamere ebbero un indiscusso successo ed una notevole diffusione.

 

 

Ne è una dimostrazione il fatto che quando nel maggio del 1962 l’astronauta americano Scott Carpenter scattò le prime foto della Terra o quando nella primavera del 1981 un sottomarino senza pilota fotografava i resti di un’antica nave da guerra russa nell’Oceano Artico, una Robot era presente tra le fotocamere utilizzate.

 

tratto da una brochure Robot del 1939

 

 

La vasta gamma di fotocamere prodotte dalla Robot nasce dunque da un’idea innovativa concepita negli anni ‘30 da Hans Heinrich Berning, un uomo d’affari di Schwelm, una piccola città della Renania Settentrionale-Vestfalia, e dal progettista Heinz Kilfitt, riguardo al concetto di fotocamera completamente automatica.

Per comprendere la portata innovativa della Robot, occorre fare riferimento al significato che il termine “automatico” aveva all’epoca, rispetto ai nostri giorni.

 

Heinz Kilfitt

 

 

Dopo qualche anno di intenso sviluppo, il primo apparecchio fece il suo debutto alla mostra di Lipsia nella primavera del 1934 e da lì intraprese un rapido sviluppo.

 

 

Quando si formò la “Divisione Robot” presso Otto Berning & Co. a Schwelm nel 1933, il concept della fotocamera era già noto alcuni anni prima.

Esattamente sette anni prima ad opera di un giovane tecnico la cui inventiva divenne poi famosa anche negli anni a venire: Heinz Kilfitt.

Nato nel 1898 a Höntrop, distretto della città di Bochum nella regione della Ruhr nel Nord Reno-Westfalia, e qualificato come orologiaio e produttore di strumenti di precisione, Kilfitt iniziò la sua carriera nel settore fotografico come capo dipartimento presso l’Istituto ottico Neumann di Berlino, dopo la fine della Prima guerra mondiale, più precisamente poco dopo la presentazione da parte di Leitz, nel 1925, della fotocamera Leica che sappiamo portò, per quel tempo, un sensazionale nuovo sviluppo nel mercato delle fotocamere.

Uomo dalla grande inventiva, capì ben presto come migliorare ulteriormente questo tipo di fotocamera, miglioramento da realizzare soprattutto attraverso un funzionamento più semplice, il più possibile veloce ed accessibile anche ad utilizzatori meno esperti, da proporre al mercato con una fascia di prezzo maggiormente accessibile rispetto a quella delle più blasonate fotocamere 35 mm all’epoca esistenti.

È particolare il fatto che questa fotocamera, nata principalmente con l’obiettivo di fornire al vasto pubblico di fotografi dilettanti che si stava formando, un apparecchio di semplice uso, finì per diventare nel tempo anche un mezzo ampiamente diffuso nelle applicazioni scientifiche o in campo militare.

A quest’ultimo aspetto si deve peraltro il successo e la longevità del progetto di Berning e Kilfitt.

 

 

La fotocamera non fu mai invece adottata in modo significativo dai fotografi professionisti, probabilmente per il limitato formato del fotogramma, ciò comunque coerentemente con quanto previsto dal suo ideatore.

Quest’ultimo, dopo quasi cinque anni di progettazione, fu in grado nel 1931 di presentare il prototipo di una fotocamera che in seguito sarebbe diventata la Robot.

Tra le caratteristiche del nuovo apparecchio, vi era per l’appunto il formato standard del negativo, ridotto a 24 x 24 mm.

Questo consentì in primo luogo l’uso di un obiettivo con una più breve lunghezza focale e quindi con una maggiore profondità di campo e, in secondo luogo, rese inutile la distinzione tra inquadratura orizzontale e verticale.

Entrambi questi aspetti realizzavano il principio di semplicità d’uso che, come abbiamo detto, era il principale obiettivo del progetto.

Per realizzare la sua idea Heinz Kilfitt aveva tuttavia bisogno di un produttore che fosse pronto a sviluppare il prototipo, la successiva produzione in serie e il lancio sul mercato.

Nel 1931 egli iniziò a proporre la sua idea alle aziende la cui gamma di prodotti e capacità produttive fossero adatte alla realizzazione della nuova fotocamera.

Tuttavia, sia Agfa sia la Nagel Kamerawerke, che di lì a poco sarebbe stata acquisita dal colosso di Rochester, dubitarono della commerciabilità della nuova macchina fotografica e si rifiutarono di realizzare il progetto.

Chissà se Kilfitt riuscì mai a mostrare la sua fotocamera direttamente ad August Nagel o se di contro la sua offerta fu valutata e scartata da qualche tecnico dell’azienda incaricato di esaminare questo genere di proposte.

Per le brillanti idee sviluppate da Nagel, prima alla Contessa Nettel poi alla Nagel Kamerawerke, risulta difficile potesse all’epoca non aver preso in considerazione un progetto di questo genere, impegnato com’era nella ricerca di nuove soluzioni per fotocamere 35 mm dalla quale scaturì ad esempio la Vollenda, sulla base della quale verranno poi sviluppati i modelli Retina dopo l’acquisizione dell’azienda da parte di Kodak nel 1932.

Kilfitt dopo intense ricerche trovò un soggetto interessato a dar corpo alla sua idea nella figura di Hans-Heinrich Berning, figlio di un industriale di Schwelm in Vestfalia.

 

Hans-Heinrich Berning

 

Berning che all’epoca aveva 23 anni era un membro di una rispettata famiglia di uomini d’affari.

Suo padre, Otto Berning, possedeva un’azienda che produceva accessori per l’abbigliamento.

Neolaureato e con una piccola quantità di capitale, Hans-Heinrich era alla ricerca della possibilità di avviare un’attività in proprio.

Così, dopo il suo primo incontro con Kilfitt nel 1932, fu presto convinto che l’operazione Robot gli avrebbe fornito l’occasione ideale.

 

 

Nello stesso anno Berning, Kilfitt e il meccanico Franz Hörth crearono il primo laboratorio in Scheibenstrasse a Düsseldorf.

Qui il prototipo di Kilfitt fu ulteriormente elaborato e adattato per soddisfare i requisiti della produzione in serie.

In questo frangente si palesò il contributo di Berning.

L’idea di montare sulla fotocamera un sistema di avanzamento a molla, costituì il fulcro tecnico che rese la Robot famosa come fotocamera motorizzata e tale nuovo spunto fu fornito da Hans-Heinrich.

L’apparecchio che ne uscì doveva avere un elevato standard tecnico, motivo per il quale Berning, per l’elevata specializzazione della manodopera e per il forte assorbimento di capitale che avrebbe richiesto organizzare in proprio la produzione, iniziò a cercare aziende adatte a produrre i singoli componenti.

 

 

Dopo diversi tentativi, fu individuato presso la WMF il tipo di acciaio adeguato per realizzare le parti del corpo macchina. L’azienda, fondata nel 1853 a Geislingen-Steige, è tuttora attiva come produttore di attrezzi da cucina.

Fa specie pensare che le Robot fossero realizzate con la stessa fusione delle forchette WMF che nel mio immaginario sono tra le più belle, resistenti e durature posate.

La società Tobias Bäuerle & Söhne, un produttore di orologi e di strumenti per ingegneria di precisione, fondata nel 1864 da Tobias Bäuerle a St. Georgen nella Foresta Nera, fu ingaggiata da Berning per la realizzazione del meccanismo a molla.

Alla società Alfred Gauthier, fondata nel 1902 dal meccanico Alfred Gauthier e da suo fratello Gustav a Calmbach nella Foresta Nera, produttore degli otturatori Prontor, all’epoca già gravitante nella galassia industriale della fondazione Zeiss, fu dato incarico di fornire il meccanismo di otturazione a disco rotante.

Sorsero a quel punto notevoli difficoltà.

I costi dello sviluppo si rivelarono superiori ai mezzi finanziari di Berning e l’intera operazione Robot fu per un certo periodo a rischio di fallimento.

Del resto, gli anni trascorsi a progettare il nuovo modello, a creare le partnership per produrlo, senza che nemmeno un solo pezzo fosse stato introdotto sul mercato, non potevano che generare un effetto di questo genere.

E qui intervenne il lungimirante padre.

Otto Berning si mosse in soccorso dell’impresa del figlio e dopo una nuova iniezione di liquidità egli ristabilì un clima di fiducia nel successo che Hans-Heinrich aveva tanto desiderato e al quale aveva così tanto duramente lavorato.

 

Otto Berning

 

Hans Heinrich Berning fu quindi in grado di brevettare la sua fotocamera con il numero DRP 638853 e nel 1933 fondò presso la Otto Berning &. Co. la divisione Robot con il suo primo impianto di produzione a Düsseldorf.

 

 

Come immaginabile Berning padre, che doveva avere buon fiuto per gli affari, mantenne inizialmente all’interno della propria società la divisione Robot benché in realtà, questa avesse una direzione Indipendente.

Solo nel 1938 fu compiuto il passo verso l’indipendenza legale della Robot.

Tecnicamente ben congegnato, estremamente compatto e, sotto molti aspetti, una apparecchio facile da usare anche per un dilettante, la Robot aveva come caratteristica principale il meccanismo a molla, integrato nel corpo in acciaio inossidabile, meccanismo caricato tramite un una manopola grande e facilmente azionabile, che permetteva di far avanzare il film e il contapose fino a 24 volte in successione consentendo di ottenere rapide sequenze di immagini con cadenza di cinque volte al secondo.

 

 

La pellicola doveva essere il più possibile libera di muoversi per facilitare l’avanzamento rapido, così gli impedimenti causati dall’attrito della piastra di pressione del film o dai sigilli in velluto delle cartucce dovevano essere evitati.

Fu quindi realizzato un geniale meccanismo di trasporto con un albero eccentrico che faceva indietreggiare la piastra pressa pellicola dopo ogni esposizione cosicché il film potesse avanzare in modo libero.

Le due cassette porta film, una carica e una vuota ricevente, furono progettate in modo che la fessura di passaggio della pellicola si aprisse automaticamente dopo la chiusura del dorso della fotocamera, chiudendosi di nuovo alla riapertura, con la possibilità di rimuovere il film parzialmente esposto in qualsiasi momento.

Per questo motivo le Robot non adottarono, se non nei successivi modelli, la possibilità di utilizzare le cartucce standard di pellicola 35 mm.

L’otturatore, posizionato direttamente dietro l’obiettivo, fu sviluppato, dicevamo, a disco rotante con un’apertura fissa simile al tipo utilizzato nelle cineprese.

 

tratto da una brochure Robot del 1939

 

In questo caso il tempo di esposizione non era regolato dalla variabilità delle dimensioni dell’apertura del disco ma dalla velocità di rotazione dell’otturatore.

Nelle cineprese invece la velocità di rotazione regola di norma il numero di fotogrammi al secondo mentre la regolazione dell’apertura dell’otturatore, negli apparecchi che ne sono provvisti, regola il tempo di esposizione: il cosiddetto otturatore ad apertura variabile che sulle Bolex della serie H, ad esempio, regola anche il meccanismo di dissolvenza.

L’otturatore progettato per la Robot aveva bisogno di poca tensione meccanica per funzionare e aveva il vantaggio di non provocare distorsioni, ritardi o accelerazioni a velocità elevate rispetto alle tendine sul piano focale comuni a molte delle fotocamere 35 mm prodotte in quegli anni.

Il meccanismo a molla caricava solo l’otturatore e, indipendenti da questo, due molle regolavano i tempi di esposizione che erano selezionabili tramite una ghiera.

Sulla stessa ghiera c’era una piccola leva che poteva essere usata per inserire un filtro giallo-verde posto prima dell’obiettivo. Contemporaneamente agiva un sistema di riduzione del tempo di esposizione in base al fattore di prolungamento del filtro.

Semplice e geniale.

Interessante era anche il mirino telescopico brevettato che poteva essere convertito in mirino angolare semplicemente ruotandolo di 90 gradi.

Ciò significava che le foto potevano essere scattate tenendo la macchina ad angolo retto rispetto alla normale linea di visione.

Per consentire anche ai meno esperti, senza dover leggere la tabella delle profondità di campo, di scegliere rapidamente la giusta impostazione della distanza per ciascuna apertura del diaframma, tutte le ottiche erano dotate di un semplice sistema di punti colorati per ciascuna delle aperture, contrassegnati in rosso, giallo o verde.

L’ottica di più corta focale ed il sistema intuitivo di valutazione della profondità di campo rendevano di fatto meno rilevante l’uso di un telemetro per assistere la messa a fuoco.

Durante lo sviluppo dell’apparecchio fu sperimentato un obiettivo cine 30mm 3.5 fornito dalla Rüo di Berlino.

Poco dopo, la società Hugo Meyer di Görlitz fu incaricata di fornire una serie di ottiche intercambiabili in particolare i Primotar 30 mm 3.5, i Trioplan 30 mm 2.8 e i Tele-Megor 60 mm 5.5, dotati di filettatura da 26 mm che fu poi adottata anche sui modelli successivi.

Pubblicizzati per la prima volta nel 1934, solo il Primotar fu effettivamente prodotto. Del resto, è abbastanza certo che chiunque all’epoca offrisse in Germania una fotocamera di alta qualità, e non fosse anche un produttore di ottiche, doveva preferibilmente fornire a corredo obiettivi Carl Zeiss.

Così, a pochi mesi dal debutto della Robot, vennero presentati i due obiettivi Zeiss Tessar 30mm con apertura 2.8 e 3.5 che furono affiancati al Primotar.

Nel 1935 la Schneider di Kreuznach iniziò a produrre il Tele-Xenar 5 cm 5.5.

Tutti gli obiettivi erano equipaggiati con il sistema di punti colorati sopra descritto e con fermi a clic per le impostazioni di distanza utilizzate più frequentemente.

Effettivamente quello che la nuova macchina fotografica offriva, era una assoluta novità per l’epoca e diede il via allo sviluppo, da parte della concorrenza, di dispositivi di ricarica rapida come il Leica SCNOO del 1935 o come il motore a molla per Leica a vite MOOLY del 1938 che tuttavia non raggiungerà mai le velocità di scatto realizzate da Robot.

Anche nel caso di questa fotocamera, analogamente a Leica o Rolleiflex, la maggior parte delle caratteristiche tecniche erano già evidenti su molti altri apparecchi, eppure non erano mai stati combinati in un modo simile su uno solo.

Sia Leica sia Contax erano poi fotocamere di alta qualità che utilizzavano una più complessa tecnologia con una vasta gamma di accessori e di conseguenza con un prezzo elevato.

Al contrario la semplicità della Robot consentì di impostare una aggressiva politica di prezzo, basti pensare che nel 1934 una Robot I con Primotar costava 175 marchi, una Leica III con Elmar 245 marchi e una Contax I con Tessar 275 marchi.

Fu molto originale ed intelligente anche la campagna di comunicazione che precedette e seguì il lancio della Robot I.

Nel gennaio del 1934 fu lanciata la prima campagna pubblicitaria consistente in un’insolita serie di soggetti disegnati da C. Belzig, uno dei grafici della Otto Berning, con lo scopo di introdurre gradualmente il concetto della nuova fotocamera.

 

Ogni annuncio pubblicitario veniva pubblicato per alcune settimane con lo scopo di creare attesa in vista della presentazione della nuova fotocamera che sarebbe avvenuta alla Fiera di primavera di Lipsia nel marzo del 1934 in occasione della quale la Robot fu finalmente presentata al pubblico esperto dopo nove anni esatti dalla presentazione, nello stesso contesto, della fotocamera di Oskar Barnack.

 

 

Nel maggio del 1934, apparve una pubblicità con slogan “la fotocamera in miniatura del 1944 dieci anni in anticipo sui tempi”

Tutto ciò valse alla Otto Berning l’aggiudicazione del Grand Prix alla Mostra mondiale di Parigi del 1937.

Segue nella seconda parte.

Massimiliano terzi

Bibliografia e sitografia:
H. Grahner, Robot geschichte und technik, Grapho Verlag, 1990
http://www.robot-camera.de/

 

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