Vico D’Incerti, Ludovico all’anagrafe, Carpi 12 settembre 1902 – Milano 14 marzo 1988 si laurea al Politecnico di Torino in Ingegneria Meccanica. Dopo una carriera presso aziende industriali verrà chiamato nel 1948 da Franco Marmont, allora presidente di Ferrania, a dirigere il rinnovato reparto di produzione di fotocamere sito a Milano in Via Contardo Ferrini negli edifici ex Cappelli, storico produttore di lastre fotografiche, acquisito dall’azienda ligure nella prima metà degli anni ’30.
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Dell’Ing. D’incerti ho già fatto più volte cenno nell’ambito degli articoli sulla storia di Ferrania in riferimento all’attività da questi svolta dal 1948 al 1967 alla guida della divisione milanese di produzione di apparecchi fotografici. Dalla sua mano sono nate realizzazioni quali Rondine, Ibis, Astor, Elioflex nonché le evoluzioni della folding 6×9 Falco, giusto per citare le prime, e le più originali. Egli collaborò tuttavia anche all’uscita dei modelli Condor realizzati dalla Galileo di Firenze come testimoniato dalla corrispondenza dell’epoca che ho citato in questo articolo.

Vico D’Incerto al centro dell’immagine – luogo e altre persone riprese sconosciuti – foto per cortesia di Antonello Natale
A lui si devono anche i successivi Tanit, Lince Eura ed Electa nonché il proiettore portatile Fercolor per un totale di circa sessanta modelli realizzati dallo stabilimento milanese nei vent’anni circa di sua gestione.

da sinistra: Ferrania Astor e Ferrania Falco, entrambe equipaggiate con ottica delle Officine Galileo
Per quanto io non sia né un grande appassionato né tantomeno grande esperto della produzione nazionale di fotocamere, sono comunque da sempre un po’ sorpreso nel notare, soprattutto nella letteratura classica, la tendenza alla celebrazione di produzioni di nicchia che in quasi tutti i casi non hanno varcato la soglia di qualche anno di attività, a scapito del, direi, unico caso nella storia industriale italiana per sviluppo temporale, volumi produttivi e differenziazione del prodotto qual è quello degli apparecchi Ferrania.
Questa tendenza è per certi versi comprensibile se si considera la rarità quale principale fonte di interesse collezionistico e di conseguenza la maggiore attenzione verso questa categoria di modelli.
Se ampliamo la vista ad aspetti più tipicamente legati alla storia industriale e ai brevetti, il caso della direzione della filiale milanese di Ferrania avrebbe invece meritato e merita una particolare attenzione.
Peraltro, a differenza di altre realtà italiane la cui storia fu possibile ricostruire quasi esclusivamente attraverso il contributo orale e diretto di chi l’aveva determinata, nel caso di Ferrania esistono testimonianze scritte per mano dello stesso D’Incerti che ha raccolto in un libro edito all’inizio degli anni ’70 ed in alcuni scritti la sua articolata esperienza lavorativa.
Proprio da questo volume è possibile trarre alcune preziose informazioni riferite a progetti che pur restando nel più grande insieme dell’industria dell’immagine, esularono in alcuni casi dal mondo tipicamente fotografico.
Il direttore della produzione milanese di Ferrania fu infatti anche un esperto ed appassionato di cinematografia raccogliendo negli anni pellicole, spesso girate in un contesto amatoriale, riferite ad eventi storici, come vedremo più avanti.
L’utilizzo della pellicola per riprese cinematografiche amatoriali e con esso le relative attrezzature, appartiene ad un mondo ormai del tutto scomparso, tanto da aver cancellato, nella memoria comune, le basi pratiche e tecniche necessarie per orientarsi in questo contesto.
L’avvento di nuovi supporti agli inizi degli anni ’80, colpì il mondo della cinematografia amatoriale ben prima di quanto l’avvento del digitale abbia poi determinato in quello della fotografia.
La registrazione di immagini su nastro magnetico che vide il pieno successo commerciale nel corso di quel decennio, soppiantò in breve tempo la pellicola, in particolare fece sparire dal mercato il formato che ebbe grande successo e diffusione, quello del Super 8.
Kodak, dopo aver lanciato nel 1963 in ambito fotografico i caricatori Instamatic, introdusse nel 1965 un sistema di semplificazione per le riprese cine basato su una cartuccia contenente 15 metri di pellicola di larghezza identica all’8mm ma con perforazioni ottimizzate per favorire un formato del fotogramma leggermente più grande che passava così a 5,36 mm x 4,01 mm contro 4,37 mm x 3,28 dell’8mm.

raffronto tra i diversi formati cine
La disposizione dei fotogrammi consentiva inoltre l’applicazione di una pista magnetica per il sonoro.
L’utilizzo del vecchio 8mm nasce invece anni prima come derivata delle normali pellicole 16 mm con perforazione su entrabi i lati, che venivano confezionate in rocchetti, non a tenuta di luce, esposte prima da un lato, poi dall’atro e successivamente tagliate in due strisce, a seguito dello sviluppo, strisce che venivano infine giuntate per la proiezione.

esempio di pellicola 8mm – i produttori offrivano spesso il servizio di sviluppo ricompreso nel prezzo della pellicola; il film esposto veniva quindi inviato al laboratorio di sviluppo via posta come testimoniato nella foto; Il laboratorio Ferrania di sviluppo era anche a Milano in Via Contardo Ferrini dove venivano prodotte le fotocamere
Per ottimizzare il trascinamento, fu creata sulle pellicole per il doppio 8 una perforazione più ravvicinata rispetto a quella del normale film 16mm.

Ferrania Film Museum – particolare del visore luminoso Ferrania con i diversi formati di pellicola fotografica e cinematografica
A parte gli esperimenti di Fuji con il Single 8 che tuttavia non ebbe grande diffusione, il prodotto in cartuccia di Kodak divenne in poco tempo leader del mercato sempre grazie alle modalità di utilizzo estremerete semplificate che prevedevano in luogo del più complesso sistema del doppio 8 prima descritto, il semplice posizionamento della cartuccia nella cinepresa ed il suo prelevamento alla fine dell’esposizione garantendo sempre una perfetta tenuta anche quando la cartuccia era esposta alla luce diretta.
Questo sistema, che ebbe poi una ulteriore evoluzione nella possibilità di registrare l’audio sulla pista magnetica, portò allo sviluppo di sofisticate macchine da presa e con esso anche l’ingresso, già nella seconda metà degli anni ’60, di collaborazioni e sinergie tra aziende europee e giapponesi che spianarono poi il terreno ai successivi accordi commerciali degli anni ’70 in ambito fotografico.
Il mondo delle cineprese fu per decenni pioniere nelle scelte tecnologiche che a ruota vennero poi applicate in ambito fotografico. Basti pensare che il sistema TTL introdotto sulla Canon Pellix nel 1965 piuttosto che su Leica M5 nel 1971 o sulla Leica CL nel 1973, basato sulla comparsa della cellula di lettura dietro all’obiettivo tramite un sistema a bandiera, fu utilizzato da Bolex già nel 1957 sulla cinepresa 8mm D8L.

Bolex D8L del 1957 per formato 8mm con esposimetro TTL
Oggi questo mondo è scomparso anche per la pressoché totale mancanza di interesse collezionistico rispetto a questi apparecchi.
Sopravvive ad esempio per le cineprese Bolex 8mm una nicchia di entusiasti, tra i quali mi annovero, così come ha ripreso vita, dopo la reintroduzione della pellicola Super 8, un piccolo mondo di utilizzatori di vecchie dispositivi.
Nella coscienza collettiva tuttavia una cinepresa di passo ridotto è ormai per lo più un soprammobile e come tale quasi sempre non più oggetto di quotazioni proporzionate al valore dei singoli pezzi.
Una sorte diversa ha avuto la pellicola 16mm che ha mantenuto, pur in modalità e volumi produttivi molto ridotti, un utilizzo nel tempo che si è riconsolidato negli ultimi anni.

Bolex H16 RX4 con una confezione intonsa di Ferrania Pancro 32 – la serie H16 reflex rappresenta dal mio punto di vista l’apice della perfezione meccanica in questo campo
Questo formato, che ebbe anche applicazioni fotografiche degne di nota tra gli anni ’50 e ’60, era utilizzato nelle riprese professionali nell’ambito delle quali il Super 8 di allora non riuscì mai a sfondare. Attualmente il Super 8 vive invece una seconda giovinezza per via delle nuove tecnologie di telecinema che si abbinano alla maggiore compattezza delle macchine da presa rispetto al 16mm.
Il 16mm era principalmente utilizzato nelle proiezioni in sale cinematografiche di piccole e medie dimensioni o nell’ambito di circoli cinematografici dove venivano realizzate produzioni di assoluta qualità.

non ho mai trovato molto su questo autore, credo di origine milanese, del quale ho qualche titolo; questo in particolare è un cortometraggio documentario anni ’70 con sonoro magnetico girato al Cairo con bellissime riprese della città e del museo archeologico
Dagli anni ’50 prendono piede iniziative di creazione o perfezionamento di tecniche già esistenti volte alla spettacolarizzazione della proiezione cinematografica quali il Cinemascope, il Cinerama, il Cinema 3d e il Circarama.
Il Circarama o Circle Vision, è un sistema di ripresa composto da nove cineprese 16 mm Arriflex con un sistema di proiezione a 360° composto da altrettanti proiettori.
Ideato nel 1955 dalla Walt Disney Corporation che lo inserì come attrazione a Disneyland, costituì anche una delle attrazioni dell’iniziativa torinese di Italia ’61 realizzata in occasione dei 100 anni della Repubblica Italiana.

cartolina dell’esposizione torinese di Italia ’61 nella quale è possibile vedere in secondo piano l’edificio tondo che ospitava il Circarama Disney
In questo contesto l’Ing. D’Incerti, come facevo cenno prima competente e appassionato anche di materia cinematografica, realizzò ad inizio anni ‘60 un sistema di ripresa e proiezione a 360° costituito da una sola macchina da presa a testa e ottica rotante, trasformabile in proiettore.

foto del prototipo per pellicola 16mm del dispositivo per ripresa e proiezione a 360° tratta dall’autobiografia dell’Ing. D’incerti
Questo progetto risalente al 1961, del quale si sono praticamente perse le tracce, rappresentò all’epoca una novità assoluta nonché una notevole evoluzione del sistema Circarama che richiedeva, come sopra accennato, l’utilizzo di una serie di macchine da presa e di altrettanti proiettori per raggiungere lo stesso risultato.
Altri dettagli anche fotografici sono contenuti nella seconda parte dell’articolo su Ferrania a Milano.
D’incerti racconta il contesto nel quale prese piede l’idea, caratterizzato da una particolare fase in Ferrania, che egli descrive nella sua biografia e che di seguito riporto testualmente.
Taluni modelli (di fotocamere – ndr) raggiunsero quantità elevatissime e in aggiunta alla sua attività normale, la Ferrania Apparecchi si attrezzò anche per fabbricare tutti i pezzi metallici necessari per la Ferrania, quali i rulletti e i caricatori per pellicole e per film cinematografici, le bobine, le scatolette di ogni tipo. Questo lavoro più semplice, ma rilevante come quantità, dava modo di ridurre la percentuale delle spese generali, favorendo in tal modo la vendita degli apparecchi.

Bollettino Ferrania 57 del 1962 dedicato alla fabbrica milanese di produzione degli apparecchi
Da questa prima considerazione già si capiscono le competenze gestionali che consentirono l’ampliamento della produzione, il migliore ammortamento dei costi fissi di personale e macchinari, garantendo continuità alla produzione degli apparecchi foto.
Un’autentica sventura (siamo nel 1961 ndr) si verificò, purtroppo, quando le attività erano nel loro promettente sviluppo. Il visconte Marmont, presidente della Ferrania, col quale ero rimasto sempre in rapporti cordialissimi e ispirati a piena fiducia, fu improvvisamente colpito da una grave malattia. Si ritirò in casa e gradatamente si staccò dalla vita dell’azienda. Pur conservando la qualifica di presidente, fini per non volere neppure più ricevere i collaboratori diretti, e questa situazione si protrasse per molti anni, sino alla sua fine (avvenuta nel 1965 ndr). Per la Società Apparecchi, che egli aveva personalmente voluta, che aveva seguita e appoggiata con vivo interesse nel promettente avvio, fu un grave colpo.
La casa madre Ferrania, rimasta senza l’intelligente guida del suo capo, proseguì un po’ alla deriva, nelle mani soprattutto dei dirigenti commerciali, che non avevano certo la classe del visconte Marmont. Qualcuno di essi, portato avanti con la fine della guerra dai provvedimenti di epurazione che avevano costretto altri migliori ad andarsene, non aveva neppure la preparazione necessaria. Per giunta uno dei più validi venne a mancare giusto in quel tempo, vittima di una disgrazia stradale.
È facile quindi spiegarsi come la Ferrania, nell’attesa che durò troppo a lungo di un nuovo capo, finisse per adottare la politica del quieto vivere, ostacolando anziché favorire le nuove iniziative. Ne risentì soprattutto la mia azienda che per la parte commerciale, come prima ho accennato, era ad essa legata. Già in precedenza la rete di vendita, specialmente quella estera, della Ferrania sì era rivelata sfavorevole per noi. Creata quando la produzione apparecchi ancora non esisteva, essa era costituita in gran parte da rappresentanti che alla vendita in esclusiva dei prodotti sensibili Ferrania avevano aggiunto di propria iniziativa quella di apparecchi fotografici di altre marche. Sorta la nostra produzione, e affermatasi subito in maniera tanto brillante, sarebbe stato logico che a tali rappresentanti venisse affidata anche la vendita in esclusiva dei nostri modelli, obbligandoli ad abbandonare quelli non più compatibili di altre fabbriche concorrenti.
È abbastanza chiaro e citato in una dei passi seguenti, che in questo frangente l’Ing. D’Incerti si riferisce alla Direzione Commerciale con sede a Milano dove Ferrania aveva il proprio quartier generale finanziario nell’immobile di Corso Matteotti progettato da Gio Ponti.

edificio di Corso Matteotti a Milano dove aveva sede legale Ferrania
Ritorniamo al racconto Dell’Ing. D’incerti.
Era appunto questo che il visconte Marmont aveva disposto, e che, se pure attraverso qualche spiegabile resistenza, si stava attuando. La sua assenza portò in tale indispensabile programma una battuta di arresto; anche perché taluni dei rappresentanti cercarono di aumentare i loro profitti mantenendo i precedenti apparecchi accanto ai nostri. I dirigenti commerciali di Milano, nonostante le mie energiche insistenze, non si presero molto a cuore il problema e preferirono lasciar correre.
In questa lunga stasi non poche delle nostre iniziative andarono per noi perse. Taluni nuovi ed originali apparecchi non erano passati alla produzione di serie perché ritenuti dagli organi commerciali troppo complessi e costosi. Di taluni di essi si interessarono invece case straniere anche di gran nome, come la tedesca Franke & Heidecke, costruttrice dei modelli Rolleiflex. Mi sentii ripetere più di una volta da colleghi dirigenti stranieri che se i nostri apparecchi fossero stati in mano delle loro grandi aziende avrebbero avuto ben maggiore fortuna.
Al design di questi apparecchi parteciparono anche gli Architetti Castiglioni che per Ferrania avevano ad esempio lavorato alla realizzazione del proiettore per diapositive Rocket. Famosa la vignetta disegnata da Achille Castiglioni ad inizio anni ’90 che chiude con la didascalia “son passati cento mesi e un modello quasi uguale stan vendendo i giapponesi proprio in barba allo stivale”.

vignette di Achille Castiglioni che illustrano lo stesso concetto espresso dall’Ing. D’Incerti nel suo libro
L’Ing. D’Incerti arriva quindi alla narrazione dei suoi progetti cinematografici.
Quando stavamo occupandoci degli studi nel settore cinematografico per dilettanti, ed era divenuto di moda il grande schermo, maturò una mia idea per un sistema del tutto nuovo di protezione cinematografica panoramica senza limitazioni del campo, quindi anche su schermo di 360°, ottenuta con un solo apparecchio. Erano già apparsi, accolti con interesse dal pubblico, il Cinerama e poi il Circarama della Walt Disney. Ma per il primo la proiezione era limitata a soli 120° e per il secondo erano necessarie nove pellicole proiettate simultaneamente su altrettanti schermi. Oltre alla complicazione, ne derivavano notevoli inconvenienti che rendevano discutibili i risultati. Sia il Cinerama che il Circarama, inoltre, non aggiungevano nulla di nuovo al sistema realizzato tanti anni prima da un geniale pioniere francese del cinema. La soluzione da me ideata, per quanto basata su principi ottici molto complessi, era teoricamente esatta e realizzabile in pratica senza speciali difficoltà.

particolare del prototipo di cinepresa proiettore per pellicola 16 mm realizzato dell’Ing. D’Incerti – foto per cortesia di Antonello Natale
Costruito un prototipo per il film di formato ridotto 16 millimetri, lo presentai con una relazione e con una dimostrazione pratica al XIV Congresso della Tecnica Cinematografica a Torino nel settembre 1962. Suscitò vivo interesse; se ne occupò con ampi resoconti anche la stampa quotidiana, a cominciare dal Corriere della Sera che vi dedicò quattro colonne in terza pagina.

stralcio dell’articolo apparso sul Corriere della Sera il 6 ottobre 1962
La Ferrania, preoccupata come sempre di non accollarsi maggiori fatiche affrontando nuovi problemi, ritenne invece che il mio apparecchio esulasse dal suo normale campo di vendita, e mi lasciò libero di occuparmi direttamente della sua utilizzazione industriale. I brevetti furono ottenuti in tutti i paesi, anche in quelli dove vige un severo esame preventivo, quali la Germania e gli Stati Uniti. Una società svizzera fece interessanti proposte e fu stipulato con essa un regolare contratto. La prima serie di apparecchi da presa e da proiezione per l’uso di pellicola normale fu costruita dalla casa francese Débrie, specialista del ramo.
Il sistema, di notevole interesse per talune specifiche applicazioni di carattere tecnico e anche militare, ha trovato difficoltà a svilupparsi nella forma di spettacolo pubblico, a causa dei sostanziali cambiamenti che richiede nella disposizione della sala e nelle abitudini degli spettatori. Da molti competenti è stato però giudicato una delle più importanti novità nella tecnica cinematografica degli ultimi anni.
Per quanto il sistema panoramico non raggiunse mai un livello di diffusione di massa, le produzioni Circarama arrivarono sino alla metà degli anni ’80 e il sistema realizzato dal regista Norvegese di origini italiane Ivo Caprino ebbe un notevole sviluppo e fu precursore dei tempi per la tecnologia utilizzata. Chi sia mai stato a Capo Nord ricorderà il cortometraggio su formato panoramico di 225° Nordkapplatået, proiettato in continuo nel cinema più settentrionale d’Europa all’interno della struttura Nordkapphallen.
Un’ultima menzione delle attività in campo cinematografico svolte dell’Ing. D’Incerti merita la produzione del film il Piave mormorò… prodotto da Angelo Rizzoli nel 1968 e realizzato attraverso l’unione di spezzoni di riprese anche amatoriali realizzate nel corso della prima guerra mondiale e raccolte da D’Incerti nel tempo.

immagine tratta dall’autobiografia dell’Ing. D’Incerti
Ecco come viene descritta dall’autore l’iniziativa.
In anni lontani, quando era appena finita la grande guerra, m’ero dato pena di raccogliere le pellicole documentarie girate al fronte da operatori privati, che poi se ne servivano per le attualità. Ma la maggior parte di esse, certo la più interessante, il pubblico non aveva potuto vederla, perché la rigorosa censura non aveva mai permesso, ritenendola deprimente, la proiezione di scene dove figurassero combattimenti o comparissero caduti. Dato il completo disinteresse subentrato nel dopo guerra per tutto quanto riguardava i recenti avvenimenti, e data la difficoltà di custodire materiale tanto delicato e anche pericoloso perché facilmente infiammabile, quelle pellicole, senza più valore commerciale, sarebbero certo finite al macero, se non le avessi salvate io, con pazienti ricerche e a costo di sforzi economici non lievi. Mi fu preziosa a questo riguardo l’amicizia con Luca Comerio, che era stato il più importante fra gli operatori di guerra.
Conservai quelle pellicole con estrema cura, studiando metodi per evitare il loro deperimento. Provvidi poi, nel corso degli anni, a ordinarle e a classificarle, talvolta sobbarcandomi persino, durante le ferie, a sopralluoghi diretti sui vecchi campi di battaglia, per individuare con sicurezza qualche località.

testo della lettera al Corriere della Sera del 9 luglio 1968; l’Ing. D’Incerti non manco di fornire contributi mettendo a disposizione le sue conoscenze anche attraverso le molteplici lettere pubblicate dal quotidiano milanese delle quali questa è un esempio che descrive le conseguenze del cambio di velocità di ripresa cine
Avevo sempre pensato di ricavarne un giorno un film. Ma un imprevisto fatto tecnico minacciò di mandare a monte il progetto. Quando il cinema nel 1930 da muto divenne sonoro, il ritmo di ripresa e di proiezione dovette essere elevato da 16 a 24 fotogrammi al secondo. La proiezione di un vecchio film muto coi proiettori sonori, gli unici ormai in uso nelle sale, divenne quindi inaccettabile, perché i movimenti ne risultavano accelerati e irreali. Il difficile problema fu oggetto di molte ricerche, specialmente all’estero, ma con risultati deludenti. Lo affrontai io pure, forte di una ormai solida competenza, e arrivai ad una soluzione tecnicamente corretta, con una speciale stampatrice ottica.

esempio di stampatrice ottica della tedesca Arnold e Richter meglio nota come ARRI; foto per cortesia di Alessandro Bechis – Ferrania Film Museum
L’occasione per il film si presentò nel cinquantenario della guerra. Ne parlai con Angelo Rizzoli che a quella guerra aveva partecipato, e lo trovai subito d’accordo: il film l’avremmo prodotto insieme; io avrei fornito il negativo pronto per la stampa e la traccia del commento parlato; la sua Cineriz si sarebbe occupata della edizione, valendosi di esperti collaboratori, quali Guido Guerrasio per il montaggio, il maestro Angelo Lavagnino per la musica, l’attore Nando Gazzolo per il parlato.
La versione integrale del film è visualizzabile a questo link.

La televisione lo trasmise in edizione integrale la sera del 4 novembre 1968, cinquantenario della vittoria, riprogrammando la puntata di Canzonassima come ricorda il trafiletto apparso sul Corriere della sera.
Questa storia si chiude con una considerazione personale sul come spesso il successo o l’insuccesso di un prodotto viene a posteriori giudicato dalle capacità o dalla lungimiranza o meno di chi l’ha ideato o prodotto. La questione, e questo scritto ha l’obiettivo di dimostrarlo, è decisamente più complessa e implica le variazioni di mercato che possono subentrare e i momenti storici delle aziende e delle loro organizzazioni, nessuna delle quali è mai portata per propria volontà all’innovazione e con questa all’accettazione del rischio.
Questo spesso ha sacrificato e sacrifica tutt’ora gli innovatori che sovente si trovano schiacciati dalla tendenza alla prudenza ed all’autoconservazione del mondo che li circonda.
A loro è dedicato questo articolo.
Max Terzi
maxterzi64@gmail.com
i testi citati sono tratti dal libro di Vico D’Incerti – Carriera e fortuna, Mario Bazzi Editore, 1974
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