All’inizio degli anni ’80, l’utilizzo della pellicola 35mm in ambito fotografico aveva all’attivo più di sessant’anni di storia, nel corso dei quali fu inizialmente utilizzata come test per macchine da presa per poi arrivare ad una progressiva adozione che, dalla seconda metà degli anni ’60, si consolida soprattutto grazie alla comparsa di modelli reflex dedicati all’utilizzo amatoriale ed ai più completi sistemi dedicati a quello professionale.
Sempre negli anni ’60 vi saranno alcuni tentativi da parte delle aziende produttrici di pellicola per individuare e commercializzare soluzioni per sostituire vantaggiosamente il 35mm in special modo nel vasto segmento della fotografia amatoriale.
Questi esperimenti riuscirono con diverse fortune, basti pensare al sistema Instamatic lanciato da Kodak nel 1963 e al sistema Rapid presentato da Agfa nel 1964 al quale ho dedicato questo articolo.
Entrambe le soluzioni sopra citate, per gli evidenti limiti che avevano, non riuscirono mai ad approdare al mercato della fotografia amatoriale evoluta né tantomeno a quella professionale.
Fu così che alla soglia degli anni ‘80 il formato 35mm ed il suo caricatore standard lanciato da Kodak nel 1934, erano ancora vivi e vegeti grazie anche al fatto che da un lato le fotocamere reflex di nuova generazione consentivano l’utilizzo di questo formato con indubbi vantaggi per quanto riguardava ingombro dell’attrezzatura, economicità e qualità dei risultati, dall’altro che lo sviluppo delle compatte di qualità avvenuto, a partire dalla Rollei 35, aveva privilegiato questo formato di pellicola.
Kodak stessa, per quanto uscisse con buoni numeri dal lancio del formato 126 e 110, non riuscì ad imporre una propria alternativa a al 35mm, ormai divenuto terreno nel quale la presenza della concorrenza di marchi come Fuji, Agfa, 3M o Ilford, giusto per citarne alcuni, sottraeva al colosso americano quote di mercato via via crescenti.
In questa fase prende il via un esperimento di Ilford che all’epoca era il maggior concorrente nella produzione di film in bianco e nero della casa di Rochester.
Fu così che alle Olimpiadi invernali di Lake Placid del 1980 i professionisti accreditati si videro consegnare delle pellicole HP5 400 ASA 35mm da 72 pose nel formato 24×36.

La nuova pellicola liford HP5 72, denominata Auto Winder, era dedicata agli utilizzatori dei sistemi motorizzati di trascinamento della pellicola che di norma richiedevano, più di altri, una autonomia maggiore alle 36 pose, senza potersi permettere, per praticità d’uso, l’adozione degli speciali dorsi 250 pose, disponibili come accessorio per un limitato numero di fotocamere e di usi.
Occorre poi considerare che nel 1979 Konica presentò la reflex 35mm FS-1 che fu il primo apparecchio di questa categoria ad adottare un sistema incorporato di avanzamento motorizzato della pellicola dando il via ad una tradizione che vedrà, nel giro di qualche anno, sparire la leva di ricarica da molte delle nuove fotocamere 35mm, incrementando di conseguenza il consumo di pellicola.
Per la HP5 Auto Winder, la vera novità era che questo film si adattava a tutti gli apparecchi già esistenti, motorizzati e non, mantenendo le stesse caratteristiche tecniche dell’omonimo film 36 pose.
Per ottenere 72 fotogrammi formato 24x36mm su pellicola 35mm, la lunghezza complessiva passava da poco più di 160 centimetri ad oltre di tre metri, adottando un nuovo supporto in poliestere dello spessore di 80 micron contro i 140 micron della versione HP5 tradizionale.
A questo tipo di supporto sono oggi maggiormente abituati gli utilizzatori di alcune tipologie di film 35 mm quali ad esempio la Rollei Superpan 200 che ha uno spessore di 100 micron.
All’epoca invece, non esistendo le attuali esigenze di scansione che hanno orientato alcuni produttori verso l’adozione di supporti più sottili e trasparenti, la HP5 Auto Winder fu una novità accompagnata da numerose critiche che finirono per suggerire ad Ilford l’abbandono dopo pochi anni di questa nuova ed interessante via.
Per quanto il supporto sottile non determinasse alcun problema alla qualità dell’immagine, il ridotto spessore della pellicola provocava alcune difficoltà nel caricamento soprattutto nelle fotocamere che adottavano sistemi di aggancio rapido.
Ilford risolse molto semplicemente questo problema consigliando, nelle istruzioni tecniche della pellicola, di piegare la parte inziale per ottenere uno spessore adeguato a tutti i sistemi di caricamento.
Un secondo punto di attenzione fu rappresentato dai contapose i quali, salvo che per alcuni motori che incorporavano un sistema sottrattivo ripristinabile manualmente, erano generalmente di tipo additivo, con azzeramento automatico all’apertura del dorso.
Per quanto giunti al trentaseiesimo fotogramma la macchina continuasse a fare avanzare il film e a scattare senza problemi, non vi era modo di sapere a quale fotogramma si era arrivati dopo il numero trentasei.
In questi casi il suggerimento era di aprire al buio completo il dorso della fotocamera in modo da azzerare il contapose, potendo poi proseguire serenamente nel conteggio degli scatti della successiva parte del rullo.
Non esattamente un sistema comodo né preciso giacché si dovevano tenere in considerazione i tre fotogrammi che il contapose prevede prima di arrivare al numero uno, giusto per calcolare che la pellicola sarebbe terminata, nel secondo giro, al fotogramma 33 e non 36.
L’unica fotocamera uscita in quegli anni con un sistema in grado di utilizzare la pellicola Auto Winder fu la Rolleiflex SL2000F lanciata nel 1981 che sul magazzino aveva un contapose che arrivava fino a 72.

Un terzo aspetto critico riguardava il trattamento della pellicola che non poteva essere effettuato utilizzando le normali spirali per il 35mm.
Per questa pellicola, Ilford mise in commercio una sistema di sviluppo dedicato che è ancora oggi possibile reperire nel mercato dell’usato.

In alternativa è possibile utilizzare il sistema Jobo Auto Lader 2505, nato per sviluppare due pellicole 35mm da 36 pose caricandole in un’unica spirale, la 2501.

Quella che vi propongo ora è una prova pratica di questo film utilizzando una Rolleiflex SL2000F, una spirale Jobo 2501 e una pellicola HP5 Auto Winder 72 scaduta nel 1983.

Nell’articolo sulla SL2000F ho fatto cenno al significato dei numeri 36/72 riportati sui magazzini porta pellicola, che si riferiscono per l’appunto alla possibilità di disporre di un contrappose numerato sino a 72.

Per poter utilizzare il magazzino con la pellicola Auto Winder è necessario procurarsi lo speciale pressa pellicola che andrà sostituito all’originale. La denominazione del ricambio Rollei è pressing plate 207012 884/21.

Una volta sostituito il pressa pellicola all’originale, la procedura di caricamento del magazzino rimane uguale a quella per le tradizionali pellicole 36 pose, giacché l’aggancio del film avviene senza problemi anche con uno spessore così ridotto.

Passo ora alla parte di esposizione e sviluppo.
Qualche aggiustamento va effettuato per via dell’età della pellicola.
Per quanto non mi entusiasmi utilizzare pellicole scadute, in questo caso non vi sono grandi alternative se si vuole testare un film della lunghezza dell’originale.
Di norma, per questa tipologia di esperimenti, preferisco di base tarare la sensibilità della fotocamera di un terzo di stop sotto la sensibilità nominale della pellicola.
Ho pertanto esposto questa HP5 a 320 ASA.
Nell’utilizzo del film non ho adottato particolari accorgimenti affidandomi unicamente all’esposizione automatica della macchina ed utilizzando per le riprese in esterni un filtro giallo.
Terminato il rullo sono passato allo sviluppo utilizzando, come accennavo prima, il sistema Auto Lader 2505 della Jobo, purtroppo non più in produzione ed anch’esso recuperabile, benché con qualche difficoltà, sul mercato dell’usato.

Con questo sistema si riesce a caricare tutto lo spezzone di tre metri in un’unica spirale che può poi essere utilizzata in una normale tank della serie 2500.
La base in poliestere della HP5 72 è sorprendentemente resistente, ci si può quindi permettere qualche piccolo maltrattamento senza che poi rimangano segni sul supporto come purtroppo capita nelle comuni pellicole 35mm.
Con il sistema 2505 della Jobo il caricamento avviene comunque senza nessun problema. Suggerisco di fissare la coda della pellicola nella parte centrale della spirale piegando l’estremità in modo che l’aggancio tenga.
Il secondo intervento, che di base è opportuno effettuare su una pellicola scaduta, è il prolungamento del tempo di sviluppo che di norma regolo al 20% sopra il tempo base di sviluppo suggerito.
Ho utilizzato il Rollei Supergrain nella diluizione 1+12 a 20 gradi aumentando quindi il tempo da 6’ e 30” a 7’ e 50”.
Sviluppando con il sistema Jobo in rotazione continua, il tempo di sviluppo nominale va poi ridotto del 25% arrivando a 5’ e 50”.
Questo sistema, per quanto empirico, consente di ottenere di norma una prima base sulla quale poi effettuare eventuali aggiustamenti.
Purtroppo la reazione di una pellicola scaduta varia molto da pellicola a pellicola per via del tipo di emulsione, delle condizioni di conservazione e degli anni oltre la scadenza. Non è quindi possibile definire un sistema univoco e non è detto che quello che vi stia proponendo sia il più efficace.
Questo è l’approccio che nella mia esperienza personale ha dato i migliori risultati evitando di partire utilizzando sensibilità e tempi di sviluppo nominali, che di norma non funzionerebbero, o di applicare un eccessivo sovrasviluppo che nelle pellicole scadute accentua la velatura dovuta all’invecchiamento dell’emulsione.
In altre situazioni è sempre preferibile utilizzare spezzoni prova di pellicola, ma qui avrei perso il gusto di scattare 72 pose e di sviluppare in un colpo un film lungo più di tre metri!
Fino a quando la pellicola è arrotolata nella spirale non vi sono difficoltà di sorta nemmeno in fase di lavaggio a pressione con la Jobo Cascade.

Per l’asciugatura il film può essere disposto ad “U” e appeso con due pinze alle estremità. Per evitare arrotolamenti ho attaccato nella parte più bassa un piccolo peso per mantenere in tensione la pellicola.
Il supporto della pellicola è resistente a tal punto dal non forarsi con le pinze per appendere il film, fatto al quale si deve prestare attenzione perché queste non hanno una buona presa soprattutto quando la pellicola è bagnata.
Di seguito mostro alcuni fotogrammi scansionati con il buon vecchio Canon 9950F alla risoluzione base di 1200 dpi, azzerando tutte le correzioni possibili proposte dal software di scansione.
Occorre in prima battuta osservare che una valutazione oggettiva si può ottenere solo stampando il negativo. La scansione purtroppo falsa un po’ il risultato lasciando comunque spazio ad alcune valutazioni di base.

Nel complesso la pellicola mantiene un buon livello di contrasto anche in funzione delle diverse condizioni di luce delle riprese.
Purtroppo inizia a presentarsi un difetto tipico dell’invecchiamento, che inizia dai bordi del film e coinvolge la parte perforata sino ad arrivare a lambire i lati più lunghi del fotogramma, con una maggiore opacità dell’emulsione, più evidente solo in alcune condizioni di ripresa.

Nel fotogramma qui sopra è possibile cogliere nella parte superiore una zona più chiara che sfuma verso la parte più centrale del fotogramma.
La sovraesposizione ed il sovrasviluppo combinati, mettono poi in evidenza una grana esagerata anche per la HP5 dell’epoca, mentre un altro difetto tipico dell’invecchiamento è la non uniformità dei toni di grigio sfumati.
Nel complesso emerge una granulosità ed una patina vintage alla quale non sono più abituato, visto che con pellicole come la RPX400 o la Kentmere 400 è possibile sottoesporre di due o tre stop con risultati eccellenti in termini di grana contrasto e definizione.

Qui sotto due scatti in diverse condizioni di illuminazione con una buona resa in termini di scala dei grigi sempre in relazione all’età e al trattamento subito dalla pellicola in fase di sviluppo.


Questo esperimento è stato divertente ed interessante e per qualche ora mia ha proiettato a quando iniziai a fotografare con queste pellicole che avevano i contenitori di plastica con il coperchio colorato, verde per la HP5, azzurro per la FP4 e arancione per la PANF.
Una considerazione sul numero complessivo di fotogrammi porta alla conclusione che probabilmente oggi non serve più avere questo tipo di autonomia di scatto se non per la praticità di non portare con sé pellicola di scorta.
La pellicola tuttavia, nell’economia dello spazio e del peso di un corredo analogico, rappresenta una parte insignificante.
Probabilmente già all’epoca, per lo scarso rilievo pratico nell’uso della Auto Winder, Ilford non diede più continuità alla commercializzazione di questo film rifornendo complessivamente il mercato per non più di tre/quattro anni.
Chissà cos’era frullato in mente a quelli di Rollei che addirittura dedicarono all’utilizzo di questa pellicola la loro fotocamera 35mm di punta che uscì nel 1981.
Con molta probabilità questa fu la compensazione per aver commercializzato un apparecchio profondamente diverso da quello mostrato in prototipo alla Photokina del 1976, apparecchio che in cinque anni di attesa prima di entrare in produzione, aveva lasciato sul tappeto molte delle prerogative, veramente innovative, che caratterizzavano il progetto originale.
Una curiosità è rappresentata dal fatto che il successivo modello, la 3003, uscì nel 1985 ancora con il magazzino 36/72 benché la Ilford HP5 Auto Winder non fosse all’epoca già più disponibile.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
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