E’ profondamente riduttivo pensare alla cultura giapponese senza compiere lo sforzo di guardare questa realtà al netto delle distorsioni con le quali questo mondo giunge sino a noi. Vi sono infatti aspetti poco conosciuti e spesso letti con similitudini rispetto al modello occidentale che rischiano di renderne una visione falsata.
Con una popolazione di circa 127 milioni di abitanti il Giappone è il decimo Stato più popoloso del mondo. La Grande Area di Tokyo, che include Tokyo e numerose prefetture vicine, è di fatto la più grande area metropolitana del mondo con oltre 30 milioni di residenti. il Giappone ha la terza maggiore economia per prodotto interno lordo e la quarta maggiore per potere d’acquisto, è anche il quarto maggiore esportatore e il sesto maggiore importatore a livello mondiale.
Una delle principali differenze del mondo economico e industriale giapponese è quella del sistema di organizzazione tra imprese. Le differenze, rispetto al modello occidentale, sono molto rilevanti e, se lette in una prospettiva corretta, aiutano a capire i motivi del successo economico di questo paese.
La principale forma di organizzazione delle imprese in Giappone è quella dei cosiddetti Keiretsu che hanno un origine antichissima nell’ambito del sistema economico giapponese.
Un Keiretsu (系列 letteralmente “serie” o “sussidiario” è un raggruppamento di imprese, operante in settori diversi quali ad esempio industria, commercio, finanza. I keiretsu sono collegati fra loro da partecipazioni incrociate, reti relazionali e in generale vincoli non tanto giuridici quanto etici, di appartenenza al gruppo.
Per il momento ci accontentiamo di questa definizione che tuttavia meriterebbe di essere approfondita anche alla luce della grande cultura di rispetto e collaborazione che accompagna questa tipologia di organizzazione industriale.
Simili ai Chaebol presenti in Corea del Sud, conglomerati composti da un gran numero di consociate, controllate da un proprietario o da una famiglia con una potenza sopra il gruppo spesso superiore all’autorità legale, i Keiretsu presero corpo in Giappone nel secondo dopoguerra in sostituzione degli Zaibatsu (財閥) che condividevano molte caratteristiche dei Chaebol coreani.
Durante l’occupazione del Giappone gli americani fecero infatti in modo che alla guida di questi gruppi le famiglie più potenti venissero sostituite da istituzioni finanziarie. Questo spiega perché a capo dei Keiretsu vi sono spesso grandi gruppi bancari.
Quando si parla del modello industriale e di governance giapponese occorre chiarire alcuni aspetti di fondo che qui vengono riassunti in tre blocchi argomentativi:
– Il modello giapponese, a differenza ad esempio di quello cinese, non deve il proprio vantaggio competitivo al basso costo di produzione determinato in gran parte dal basso costo del lavoro.
– Il modello giapponese dei Keiretsu non ha una dimensione burocratica ma serve a favorire e rafforzare la competitività soprattutto sui mercati internazionali. Sviluppa inoltre un concetto collaborativo tra imprese in antitesi a quello competitivo occidentale.
– Il modello giapponese porterà nel secondo dopoguerra una rivoluzionaria concezione nel sistema produttivo, in forte antitesi con il modello taylorista, fattore che verrà capito tardi dall’occidente e costituirà uno dei grandi vantaggi competitivi di questa nazione.
Collaborazione, ottimizzazione dei costi del sistema produttivo e ossessione per la qualità del prodotto sono probabilmente i tre pilastri del successo nipponico in settori, tra i quali, quello della costruzione di fotocamere.
L’occidente sviluppa da sempre un modello prevalentemente competitivo, prova ne è come, anche all’inizio degli anni ’80, Michael Porter – Ann Arbor, 23 maggio 1947, accademico ed economista statunitense – nell’elaborare uno dei più citati modelli per valutare la competitività dell’impresa, la descrive come al centro di un sistema di forze contrapposte che con la loro azione erodono la redditività di lungo periodo. Concorrenti, fornitori, clienti, minaccia di potenziali entranti e di prodotti sostitutivi, sono le cinque forze del modello di Porter che esercitano il loro potere nei confronti dell’azienda.
Soggetti simili li troviamo spesso, nell’ambito dei Keiretsu, fianco a fianco nel sostenere il mutuo sviluppo, questione che, nell’ottica occidentale, equivale allo sviluppo di rapporti collusivi a danno dei consumatori.
Anche il modello di Porter sconta comunque la questione della collaborazione sviluppatosi, per necessità, a seguito della crisi del 2008 e pur con grandi riserve e forti mal di pancia il modello dei Keiretsu è stato riconsiderato.
I grandi marchi fotografici giapponesi fanno parte di Keiretsu: Nikon ad esempio fa parte del Keiretsu Mitsubishi, ed altri esempi illuminanti appartengono alla storia dei marchi fotografici nipponici. Tokyo Kogaku deve il suo grande sviluppo degli anni ’60 all’ingresso nel Keiretsu Toshiba nel quale sviluppa nuove competenze sino alla progettazione della Topcon RE super e del suo esclusivo, rivoluzionario e successivamente molto copiato sistema di misurazione TTL. Attualmente Toshiba fa parte del Keiretsu Mitsui.
Sempre in materia di sistema produttivo, ottimizzazione dei costi e ossessione per la qualità, Topcon svilupperà grazie a Toshiba, sempre negli anni ’60, le “settimane UNI” sistema di lavoro che analizzava tramite gruppi composti dalle maestranze, le inefficienze di processo e le correggeva con l’obiettivo di ridurre i costi e migliorare la qualità del prodotto.
Scandalo! Se si pensa ai sistemi prodottivi occidentali dove gli operai potevano solo compiere le operazioni loro affidate nel tempo previsto pena l’interruzione della produzione. Non c’è da meravigliarsi quindi se Rollei sbarcata a Singapore nel 1970 con la necessita di addestrare migliaia di lavoratori asiatici difettò proprio nell’efficienza della produzione che ne determinò, unitamente ad altre concause, il fallimento.
Curioso è ricordare che “UNI” è il nome di una serie di fotocamere prodotte da Topcon con grande qualità e prezzo competitivo a fronte di un prodotto molto complesso e delicato come quello delle reflex ad otturatore centrale.
Delle 600.000 fotocamere reflex ad otturatore centrale prodotte complessivamente in Giappone, oltre la metà furono prodotte da Topcon. Numeri ben più elevati di quelli della produzione tedesca per la stessa tipologia di macchine quali ad esempio le Contaflex o le Bessamatic.
Ma torniamo agli anni del dopoguerra.
Uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale, il Giappone a seguito dell’occupazione americana guidata dal generale Mc Arthur, subisce profonde trasformazioni. Gli americani, anche per rafforzare il presidio del fronte coreano, che si risolverà nei primi anni ’50, alimentano la fase di rinascita nipponica che si protrarrà per tutto il decennio successivo con il rifiorire del sistema economico.
Come accaduto anche in numerose realtà occidentali, nella fase di riconversione dell’industria post bellica, trova spazio lo sviluppo dell’industria ottica e fotografica. Il Giappone non fa eccezione e Nikon ne è un esempio. Accanto a marchi che vantavano una tradizione anche nel periodo pre bellico fanno la comparsa nuove ed innovative realtà.
Un certo numero di fotocamere giapponesi sono contrassegnate come «Made in Occupied Japan». Nel 1947 infatti il Comandante Supremo per le Potenze Alleate in Giappone rese obbligatoria per tutti gli articoli esportati la dicitura “Made in Occupied Japan”. Questo decreto fu abrogato alla fine del 1949 ma molti produttori di macchine fotografiche continuarono a usare il marchio fino al 1951, anche se avrebbero potuto sostituirlo con “Made in Japan” .
Quest’ultimo venne definitivamente utilizzato nel 1952 a seguito della fine dell’ occupazione statunitense del Giappone.
La crescita dell’industria fotografica giapponese può essere suddivisa in due macro fasi in parte tra loro sovrapposte. Nella prima la produzione di fotocamere è spesso ispirata a quella dei marchi tedeschi. Questa tendenza proseguirà per tutti gli anni ‘60 sino all’inizio degli anni ’70. Nella seconda prendono corpo idee innovative che creeranno uno stacco rispetto alla produzione occidentale. Qui sotto una Petri Flex 7s del 1964 chiaramente ispirata al primo modello Contarex.
Ci sono diversi modelli e filosofie costruttive che hanno alimentato la produzione giapponese di fotocamere dagli anni ‘50. Occorre tuttavia considerare che già nel periodo prebellico aziende come Mamiya e Topcon già producevano fotocamere ispirate alle folding Zeiss Ikon, con varianti estremamente interessanti per l’epoca come nel caso della Tokyo Kogaku Lord del 1937.
Tra le filosofie di prodotto sviluppate in Giappone nel periodo post bellico è necessario citare le biottiche, le fotocamere 35 mm a telemetro sullo stile Contax, le reflex ad otturatore centrale sullo stile Contaflex. In tutti i casi non ci si trova di fronte ad una semplice riproduzione dei modelli tedeschi, come succede in quegli anni da parte dell’industria sovietica, ma allo sviluppo di idee che in molti casi portano ad un sostanziale miglioramento del prodotto rispetto al progetto ispiratore. Vi sono progetti sopravvissuti, attraverso numerose evoluzioni, sino agli anni ’90. Un esempio sono le biottiche Mamiya che con il loro sistema di ottiche intercambiabili si distinsero nel mercato delle TLR.
Nella seconda metà degli anni ‘50 si sviluppano molti sistemi 35 mm reflex con otturatore a tendina che vengono immessi sul mercato, ad esempio, da Zeiss Ikon, Canon, Nikon, Topcon, Minolta. È in questo frangente che inizia il sorpasso dell’industria giapponese su quella tedesca e la fotocamera simbolo di questo sorpasso è certamente la Nikon F.
Non si tratta di un superamento sotto il profilo della qualità tecnica né commerciale ma dello sviluppo di progetti destinati a creare lo stacco che si manifesterà poi negli anni successivi
Il modello Giapponese vince definitivamente su quello tedesco con l’avvento negli anni ‘70 dell’elettronica.
Le aziende giapponesi anche grazie al loro modello «rete» svilupparono sinergie tra loro che portarono allo sviluppo di nuovi prodotti che presto o tardi avrebbero messo fuori mercato i grandi marchi tedeschi.
Per quanto in Germania ci fossero aziende con un sufficiente know how per reggere l’innovazione.
Massimiliano Terzi.
Bibliografia: brochure Topcon; Jerzy Groboviecki, Keiretsu Group in the Japanese economy and a reference point for other country; Marco Antonetto, Topcon Story; Breaking the Mirror, Modular Encapsulation and Japanese Dominance of the Professional Camera Sub-Market, 1955-1974, Paul Windrum, Michelle Haynes University of Nottingham Business School, UK, Peter Thompson, Goizueta Business School, Emory University, USA.
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