Hassemblad

Nell’immaginario collettivo, il marchio Hasselblad è legato allo sbarco sulla luna piuttosto che all’apparizione in alcuni film, ad esempio Blow Up di Michelangelo Antonioni, nel quale una 500C recita a fianco di un giovane David Hemmings che veste i panni di un fotografo londinese.

 

 

Dopo aver detto e scritto molto sulla fotocamera svedese, mi sono imbattuto qualche settimana fa in un esemplare parzialmente cannibalizzato, una 500C del 1960, per intenderci quella con i due fori a fianco del bocchettone delle ottiche predisposti per l’aggancio di un motore per il trascinamento della pellicola che non fu mai commercializzato.

Mi sono quindi messo a giocare con i pezzi constatando in prima battuta che non c’erano tutti ed in seconda battuta che la progettazione e costruzione di questa fotocamera fu veramente geniale, frutto con molta probabilità dell’esperienza dei precedenti modelli quali la 1600F e la 1000F più complessi e delicati.

 

 

La robustezza, l’affidabilità e la precisione di questa macchina, l’hanno a ragione posizionata per più di quarant’anni, un tempo abissale se pensiamo alla vita dei modelli digitali, nei corredi e nella considerazione di intere generazioni di fotografi professionisti e non.

Anche oggi, divenuta economicamente più abbordabile, è spesso adottata da chi voglia sperimentare il medio formato sfruttando un corredo di ottiche di assoluto riguardo e, purché tenuta bene e regolarmente revisionata, costituisce anche un buon investimento giacché le quotazioni sono, come per Rolleiflex, in moderato ma cotante aumento.

 

 

Inoltre, anche acquistando un modello tra i più datati, vi è sempre la possibilità ad esempio di utilizzare pressoché tutti i magazzini, le ottiche e gli accessori prodotti per la serie C o di potervi montare, o meglio far montare se il modello non ne prevede l’intercambiabilità, uno degli straordinari schermi di messa a fuoco Acute Matte, ottenendo così un mirino luminoso e contrastato come mai lo troverete su nessuna altra fotocamera di questo genere.

Sempre giocando con la mia 500C smembrata, ho fatto la scoperta che il guscio esterno può in modo preciso ospitare un Medical Nikkor prima serie formando così un connubio perfetto tra due mie grandi passioni.

 

 

Anche il Medical che vedete nella foto di copertina è, come si dice a Milano, “un mal trà insema”, letteralmente un oggetto messo insieme male.

Per il Medical, come accennavo sopra, ho un’altra grande passione e a questa ottica ho legati molti bei ricordi in relazione alle poche vere occasioni che ho avuto di coinvolgere i miei figli nella passione per la fotografia.

Anni fa abbiamo insieme trascorso ore e ore nei boschi a cercare e fotografare insetti e fiori, impegnando poi intere serate ad osservare e ad approfondire le caratteristiche delle nostre scoperte.

Quest’ottica, le cui caratteristiche sono ancor più valorizzate dall’uso con un corpo reflex digitale, ha la grande prerogativa di poter essere usata a mano libera, ad una sufficiente distanza da non interferire con il soggetto ripreso, potendo scegliere in via prioritaria il tipo di ingrandimento ottenibile attraverso l’uso di una o più lenti in dotazione.

Un’ultima considerazione va spesa per il flash anulare incorporato la cui luce è di una morbidezza spettacolare.

 

Nikon D700 – Medical Nikkor 250 mm 5,6 rapporto 1:1

 

Di questo obiettivo ne ho più di un esemplare ma quello che vedete, superstite di un kit tanto completo quanto paciugato dal precedente proprietario, è stato anch’esso cannibalizzato per farne funzionare altri.

Ed ecco dunque che la 500C e il Medical, accomunati dalla stessa sorte, fanno ora bella mostra di loro in questa unione improbabile che peraltro non sarà mai in grado di produrre nessuna fotografia.

I più acuti osservatori si saranno accorti che la foto che ritrae i due oggetti è leggermente mossa: mi piace pensare che lo sia, più che per l’imperizia del fotografo, per il fremito d’emozione che questa unione ha generato nei due soggetti.

Ai lettori di SENSEI che avessero trovato la pazienza per leggere fin qui, prometto che per quest’ultima frase mi farò curare (da uno bravo s’intende).

Non resta dunque che cercare un nome per questa scultura post moderna.

Ed il nome non può che essere quello che sento e vedo utilizzare da molti, conoscitori o meno del marchio svedese, ovvero “Hassemblad”.


A chi non è mai capitato di sentire frasi del tipo “al matrimonio il fotografo aveva una Hassemblad” piuttosto che “il mio amico appassionato di fotografia ha comprato una Hassemblad”.

E se verba volant, provate a cercare su Google “Hassemblad” e vedrete come compariranno un incredibile numero di pagine che vanno da chi l’ha messa in vendita su un noto sito di inserzioni a chi cita quella andata sulla luna perché, evidentemente, sulla luna è andata anche un’Hassemblad.

 


Complice Giordano Suaria, abbiamo provato quindi a pensare al mondo delle svedesine declinato a seconda delle situazioni nelle quali esse sono state possedute ed impiegate.

Ed ecco ad esempio il marchio di quella appartenuta al fotografo americano famoso per le spettacolari immagini in bianco e nero dello Yosemite.


Qui invece il caso, meno noto, della fotocamera appartenuta ad un dei discendenti del famoso Conte che dimorava in Transilvania.


E da questo inizio di agosto di un anno complicato, l’augurio a tutti i lettori di SENSEI è di poter godere di qualche giorno di riposo, in compagnia delle persone care e di una o più fotocamere che siano una Hasselblad, una Hassemblad, una Hanselblad o altro.

 

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

 

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