Hasselblad 500C vs Rolleiflex SL66

Come anticipato nell’articolo sulle mono reflex Rollei degli anni ’70, ritorno sulla Rolleiflex SL66 della quale si è fatto solo un breve cenno in quell’occasione.

Di questa fotocamera, lanciata da Rollei nel 1966, ho anche già parlato in occasione degli articoli sulla storia del marchio di Braunschweig ed in particolare nella quarta parte.

Nata dopo un lungo travaglio e voluta per contrastare l’indiscussa affermazione di Hasselblad nel medio formato, per la SL66 furono adottate soluzioni alternative rispetto alla fotocamera svedese, in primis nella scelta nel tipo di otturatore.

 

 

Corredata da un robusto otturatore a tendina in tela, la SL66 ha il vantaggio, rispetto alla 500C, di avere il più veloce tempo di otturazione ad 1/1000, con il grosso limite tuttavia di 1/30 di secondo per la sincronizzazione flash.

Tra le altre principali caratteristiche la SL66 ha: gli schermi di messa a fuoco intercambiabili, un soffietto per la messa a fuoco che consente una focheggiatura a breve distanze anche con le ottiche di più lunga focale, lo specchio a ritorno istantaneo, la possibilità di effettuare doppie esposizioni senza togliere il magazzino e, non da ultimo, un meccanismo di basculaggio della piastra porta ottica.

 

 

Alla fine degli anni’60 dunque, a poca distanza dal lancio della mono refelex di Braunschweig, essa si contendeva con la Hasselblad 500C la posizione di più prestigioso apparecchio 6×6.

 

 

In una posizione più defilata ma con una serie di caratteristiche interessanti, seguiva la macchina di Zenzaburo Yoshino che evolverà all’inzio degli anni ’70 nella Bronica EC che può a mio avviso essere considerata la SL66 con gli “occhi a mandorla” per quanto essa fu ispirata nel design e in alcune soluzioni alla mono reflex tedesca.

Tornando alla sfida Germania Svezia, entrambe le fotocamere montavano ottiche prodotte dalla Carl Zeiss occidentale, per la 500C dotate di otturatore centrale Synchro Compur.

La scelta di inserire l’otturatore centrale nelle ottiche per Hasselblad, sappiamo essere stata fatta, forse un po’ a malincuore, da Victor Hasselblad dopo i due tentativi, con la 1600F e la 1000F, di corredare le fotocamere di un otturatore a tendina metallica.

 

 

La scarsa affidabilità meccanica dei primi due modelli convinsero Hasselblad a cercare una soluzione alternativa sviluppando in collaborazione con Zeiss e la Friedrich Deckel, di Monaco, produttore degli otturatori Compur, la serie di obiettivi ad otturatore centrale.

Negli anni ’50, prima la Zeiss con la Contaflex, poi Voigtlander con la Bessamatic e Kodak con la Retina Reflex, avevano sviluppato un linea di fotocamere SLR 35mm con obiettivi intercambiabili e otturatore centrale, otturatore sempre di produzione Compur.

Le ottiche tuttavia non incorporavano il meccanismo ma questo era direttamente posizionato nel corpo macchina, creando non pochi vincoli nella progettazione degli obiettivi. Solo Contaflex dal modello III in poi e Retina Reflex dal secondo modello, utilizzavano uno schema diverso, consentendo l’intercambiabilità del solo gruppo ottico anteriore e, vista la limitata gamma di aggiuntivi ottici prodotti, con difficoltà progettuali anche maggiori.

La scelta di Hasselblad fu radicale e consentì di attribuire ai propri apparecchi una longevità ben più ampia rispetto a quella delle reflex 35 sopra citate, che tuttavia scontarono anche la successiva e massiccia diffusione degli apparecchi con otturatore a tendina.

Il posizionamento dell’otturatore in ciascun obiettivo conferisce al corpo della 500C una semplicità meccanica che si traduce in affidabilità e precisione nel funzionamento: questo fu un altro dei fattori di grande successo della fotocamera svedese.

 

 

Dovendo oggi scegliere se acquistare l’una o l’altra delle due fotocamere, si è spesso condizionati dalla diversa disponibilità del mercato dell’usato o dal legame affettivo rispetto ad una delle due marche.

Vi sono tuttavia aspetti da non sottovalutare, e anche differenti controlli da effettuare, soprattutto se l’acquisto avviene con l’intento di utilizzare poi la fotocamera.

Prospettiva quest’ultima, sempre auspicabile.

Iniziamo con il dire che la SL66 è meno comune rispetto alla 500C, o alla sorella più giovane CM: di norma è quindi più difficile da trovare ed il prezzo può essere in genere più elevato.

Rarità e prezzo a parte, proseguiamo con il dire che la SL66 pesa quasi mezzo chilo in più dell’Hasselblad.

 

 

Se si ha l’esigenza di farne un utilizzo intenso e dinamico emergono, tra le due fotocamere, le prime sostanziali differenze: il bottone di messa a fuoco della Rolleiflex, posizionato sul lato sinistro della fotocamera, costringe a un’impugnatura decisamente scomoda per le riprese rapide.

La mano destra, che aziona lo scatto, deve sostenere il peso dell’apparecchio durante la messa a fuoco, peso che deve poi essere trasferito alla mano sinistra per la ricarica

La leva di ricarica, non intercambiabile, va ruotata di tre quarti di giro in avanti e quindi nuovamente ruotata indietro, con un movimento che ricorda quello delle biottiche ma che su questa fotocamera appare poco razionale.

Sulla Hasselblad invece, la mano sinistra può impugnare stabilmente il corpo della macchina mentre la destra può mettere a fuoco attraverso la ghiera dell’obiettivo, scattare e ricaricare.

Un altra sensibile differenza si ha nell’attacco della cinghia.

La sistemazione degli attacchi sulla SL66 è da sempre sottoposta ad ampie critiche poichè questi sono montati sui due lati opposti della fotocamera in modo coassiale rispetto alla manopola di messa a fuoco da un lato e alla leva di ricarica dall’altro che si trovano tuttavia in posizione disassata tra loro.

In pratica questo significa che oltre ad arrotolarsi, cosa che in teoria avviene anche sulla 500C, la cinghia sostiene l’apparecchio con un bilanciamento molto precario, tutt’altro che comodo per chi porta la fotocamera appesa alla spalla.

La cinghia poi se è rinunciabile per la 500C, che può essere tenuta in mano senza problemi, è invece indispensabile per l’SL66 che per dimensioni e peso è scomoda da tenere in mano nei tempi morti tra uno scatto e l’altro.

 

 

Il mirino della Rolleiflex è molto più luminoso rispetto a quello Hasselblad.

Vi è tuttavia da dire che anche sulla 500C è possibile sostituire lo schermo di messa a fuoco attraverso un’operazione semplice che tuttavia suggerisco di far effettuare ad un operatore specializzato.

È quindi possibile montare un Acute Matte, anche del primo tipo: con questo vetrino il mirino della svedese guadagna punti rispetto a quello della Rolleiflex che di contro può comunque montare gli schermi di messa a fuoco più recenti della serie 6000.

Per quanto concerne il pozzetto, la fattura di quello Hasselblad impedisce l’ingresso di luce parassita dai lati della lentina, consentendo quindi una messa a fuoco di precisione in tutte le condizioni di luce senza fastidiosi riflessi.

La SL66 compie invece un balzo felino nella nostra graduatoria riguardo al sistema di innesto degli obiettivi e di messa a fuoco.

La Rolleiflex, come abbiamo prima fatto cenno, non ha l’elicoidale sulle ottiche ma un robusto soffietto sul corpo macchina. Ciò significa grande versatilità degli obiettivi nella messa a fuoco a distanza ravvicinata ma di contro anche attenzione ai fattori di prolungamento da applicare all’esposizione, in ragione dell’ottica usata e dell’allungamento del soffietto.

Per evitare quindi brutte sorprese dovute a scatti sottoesposti occorre seguire le indicazioni riportate nella seguente tabella contenuta nel manuale di istruzioni.

 

 

Le ottiche della SL66 sono inoltre dotate della stessa baionetta sia per l’innesto al corpo macchina sia per il montaggio dei filtri. Questo consente di innestare gli obiettivi in posizione invertita senza bisogno di anelli adattatori.

Sulla Hasselblad invece, nessun fattore di prolungamento dovrà essere applicato anche utilizzando le ottiche alla minima distanza di messa a fuoco, che tuttavia di rado scende sotto il metro anche con le più corte focali.

La Rolleiflex, dicevamo in apertura, permette anche un basculaggio dell’ottica come mostrato nella figura, sempre tratta dal manuale di istruzioni:

 

 

Questo basculaggio fa si che si possa sfruttare, per alcune condizioni di ripresa ed in maniera molto più imitata rispetto ad un banco ottico, la regola di Scheimpflug.

L’austriaco Theodor Scheimpflug,1865-1911, definisce gli effetti derivanti dal basculaggio della piastra porta ottica (o di quella porta pellicola che però sulla SL66 è fissa) in relazione alla zona di profondità di campo nella sua “Regola di Scheimpflug” che può essere considerata la legge fondamentale della fotografia con apparecchi di grande formato.

La regola recita: “Per ottenere la nitidezza totale quando il piano del soggetto principale si trova angolato rispetto alla fotocamera, prolungando immaginariamente i piani del soggetto, dell’obiettivo e della pellicola, tutti dovranno convergere in un sola retta esterna ai tre piani”.

 

 

Dicevamo prima che sulla Rolleiflex questa funzione non è sempre utilizzabile in modo versatile: qualora doveste trovarvi nella condizione di dover effettuare correzioni dei piani di fuoco o della prospettiva e voleste utilizzare dorsi medio formato, meglio orientarsi sull’acquisto di un FlexBody Hasselblad.

 

 

Per quanto concerne gli obiettivi, entrambe le fotocamere hanno praticamente lo stesso corredo ottico.

Questa cosa mi ha sempre lasciato perplesso: Rolleiflex, senza il vincolo dell’otturatore centrale avrebbe potuto far sviluppare a Zeiss ottiche ben più luminose rispetto a quelle prodotte per Hasselblad. Tuttavia è immaginabile che Zeiss non avesse interesse a produrre per Rollei ottiche migliori in termini di luminosità anche per non creare una concorrenza interna rispetto ai ben più diffusi corredi di lenti che equipaggiavano la fotocamera svedese.

Sta di fatto che in quegli anni Nikon svilupperà per la Bronica S2a un favoloso 50mm 2.8 mentre per la SL66 il 50 Distagon rimarrà in focale 4.

Una menzione tra le ottiche per Rollei va fatta per i due obiettivi con otturatore centrale, realizzati nelle focali 80 e 150 mm rispettivamente su schema ottico Distagon e Sonnar.

 

 

Secondo il test della rivista Fotografare, risalente al 1969, giudizio favorevole merita ancora la Rollei per la dolcezza dello scatto e l‘assenza di vibrazioni nelle riprese normali.

Nel caso tuttavia di scatto con il pre sollevamento dello specchio, manovra effettuabile su entrambe le fotocamere, sono decisamente inferiori le vibrazioni sulla 500C.

Il diaframma, automatico su entrambe le fotocamere, può essere chiuso per il controllo della profondità di campo, ma con due sistemi diversi tra i quali, quello della Rollei risulta decisamente più comodo.

Una particolare menzione per la ghiera diaframmi e l’anello dei tempi che sugli obiettivi Hasselblad sono collegati tra loro con il sistema degli EV che consente un rapido accoppiamento con il bottone esposimetrico da montare al posto della manovella di ricarica.

 

 

Veniamo ai magazzini porta pellicola.

I sistemi di innesto dei dorsi intercambiabili sono simili tra le due fotocamere, anche se il sistema di aggancio funziona in modo differente ed opposto: dal basso sull’Hasselblad e al contrario sulla Rollei. Su entrambi gli apparecchi i magazzini sono muniti di dispositivi contro le doppie esposizioni e gli scatti involontari. Per questa ragione il pulsante di scatto è bloccato quando la volet è completamente inserita.

Per la Rollei sono disponibili magazzini che, per quanto ben fatti, trovo decisamente complicati e, almeno a mio giudizio, non proprio comodissimi nell’uso.

I magazzini sono per i formati 6×6, 4.5×6, 4×4 cm e consentono l’utilizzo della pellicola 120 come della 220, previo spostamento di una levetta sul dorso.

 

 

Nella più sana tradizione Rollei, il caricamento della pellicola è automatico e sul retro del caricatore si trova un alloggiamento per la volet, particolare che trovo veramente molto utile così come il segnale di magazzino carico.

Di contro il magazzino non può essere smontato se l’otturatore della macchina non è carico così come non può essere rimontato ad otturatore scarico. L’impedimento è costituto da un perno sporgente presente sul magazzino che si innesta nel corrispondente foro sul corpo macchina. Una camma impedisce, ad otturatore scarico, l’alloggiamento del magazzino, ostruendo la sede del foro.

Questa camma non è molto resistente e ne va sempre controllato il funzionamento quando si è in procinto di acquistare la macchina.

Mi è capitato di vedere fotocamere nelle quali il magazzino era stato spinto a forza da qualche improvido utilizzatore, piegando la camma e determinando così un malfunzionamento del collegamento macchina-magazzino.

 

 

Un vantaggio di questi magazzini è che a pellicola terminata il sistema libera automaticamente la manopola di ricarica che durante l’uso è alloggiata in posizione ritratta. La manopola scatta in fuori con un caratteristico “click” che avvisa il fotografo della fine della pellicola nel caso questi abbia lo sguardo concentrato sul mirino.

Tra i punti di attenzione invece vi è la necessità di non muovere l’ingranaggio di trascinamento della pellicola che affiora dalla piastra del magazzino. Una figura incisa a fianco dell’ingranaggio indica il corretto verso di rotazione.

 

 

Occorre precisare che a volet inserita, tale ingranaggio è bloccato sia in un verso sia nell’altro.

Se tuttavia, sempre il nostro improvido utilizzatore, pure recidivo direi a questo punto, dovesse togliere la volet e ruotare l’ingranaggio, nel senso contrario a quello indicato dalla freccia, l’unica cosa da fare è riportarlo nella posizione iniziale.

Tuttavia se l’operazione di rotazione è stata effettuata involontariamente, e si cercasse poi di forzare la manopola di carica o di montare il magazzino sulla macchina, il meccanismo andrebbe fuori fase ed il dorso andrebbe poi portato da un fotoriparatore in grado di metterci le mani.

La Hasselblad 500C dispone in origine di magazzini meno automatizzati, che tuttavia io trovo comodissimi già anche nella primissima versione.

I magazzini sono anche qui disponibili per i corrispondenti formati su pellicola 120 6×6, 4.5×6 e 4×4. Furono inoltre prodotti, anche se oggi di fatto non utilizzabili, un magazzino per pellicola 220 e un caricatore 6×6 su pellicola perforata 70 mm, mitico magazzino che corredò le Hasselblad delle missioni spaziali americane.

 

 

Si possono poi utilizzare i magazzini con la sigla “A” o automatici che uscirono poco prima della 500CM.

La prerogativa di tutte le Hasselblad è la presenza sul magazzino e sul corpo macchina di un indicatore sullo stato di carica, rappresentato dagli spioncini posti sul lato del bottone di ricarica. Con questo sistema è estremamente veloce ed intuitivo comprendere se macchina e magazzino sono carichi o meno: bianco carico, rosso, non carico. Occorre quindi avere cura di montare il magazzino sulla macchina quando i due indicatori sono dello stesso colore.

Per entrambe le macchine esiste un dorso speciale con appositi chassis che consente l’impiego di pellicole piane. La SL66 può utilizzare pellicole piane 6×9 senza alcuna modifica, ottenendo comunque fotogrammi 6×6. Per gli chassis Hasselblad è invece necessario rifilare a misura a mano la pellicola piana 6×9 utilizzando, anche se non facilmente reperibile, la forbice apposita prodotta da Hasselblad a corredo del dorso.

Da ultimo segnalo che gli otturatori Hasselblad sono muniti di autoscatto, a differenza di quello della Rollei che quindi non dispone di questa funzionalità.

Un particolare abbastanza strano della macchina tedesca che si trova di sovente nella letteratura sella Rolleiflex SL66 è la finitura della finestra che delimita il formato della pellicola.

Questa è posizionata a filo delle parti interne della fotocamera che per quanto in finitura opaca si presentano molto lisce. Ciò comporta una possibilità teorica di riflessi parassiti ai bordi del fotogramma, specie con un certo tiraggio del soffietto e nel caso del controluce, possibilità che non ho però mai riscontrato personalmente nell’uso della fotocamera.

In sintesi dunque, la Rolleiflex SL66 è un apparecchio più completo e versatile ma ben più delicato e complicato, mentre Hasselblad richiede l’acquisto di accessori per raggiungere, a volte solo in parte, le potenzialità della tedesca.

Questo fu un cavallo di battaglia che Rollei utilizzò molto per promuovere l’SL66, come è rappresentato da questa aggressiva pubblicità comparsa negli stati uniti all’inizio degli anni ’70.

 

 

 

Uso entrambe le fotocamere, con un po’ di affetto in più per le complicazioni della Rolleiflex.

Con aspetti al limite tra razionalità e irrazionalità, la scelta di acquisto tra queste due fotocamere non può che essere guidata dalla passione e dal desiderio di utilizzarne una piuttosto che l’altra.

Entrambe infatti rappresentano, pur con caratteristiche differenti, il meglio che sia mai stato progettato nell’ambito delle monoreflex meccaniche di medio formato.

Che scegliate quindi Rolleiflex per la versatilità della messa a fuoco o Hasselblad per la praticità d’uso, non compratele per tenerle su uno scaffale ma scattate, scattate, scattate!

 

Massimiliano Terzi.

 

 

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