GGS Lucky ovvero come iniziare il 2021 con un buon auspicio

Che collezioniate fotocamere o che le acquistiate per usarle, quando vi capita per le mani un apparecchio usato immagino via sia accaduto, prima o poi, di interrogarvi sul passato della macchina: chi l’avrà utilizzata, cosa abbia fotografato e da dove provenga credo siano gli interrogativi più frequenti che spesso anch’io mi pongo.

Di contro quando capita di trovare vecchie foto o vecchi negativi è probabile interrogarsi sul tipo di apparecchio utilizzato per realizzarli, sulla storia dei personaggi o dei luoghi ritratti.

Quella che sto per raccontarvi è quindi una storia fortunata come il nome della fotocamera della quale parlerò.

Qualche settimana fa sono entrato in contatto tramite un comune amico con una signora che mi ha raccontato della fotocamera appartenuta al padre che l’acquistò nuova nel 1947 e che la usò per anni per ritrarre scene della vita familiare, delle sue passioni, in primis quella per la montagna e per la Vespa della Piaggio il cui primo modello vide la luce nel 1946.

La fotocamera è ferma da anni ed il desiderio di Emanuela, così si chiama la signora, è che non cada nell’oblio o nelle mani di un anonimo possessore, vista la cura e la passione con la quale era stata per anni custodita insieme ai ricordi di famiglia.

Emanuela si offre di inviarmela perché d’ora in poi possa custodirla io, vista la mia passione.

Quando ci sentiamo telefonicamente le dico che farò di più: dedicherò alla Lucky un articolo potendo per una volta raccontare la storia di una marca unitamente alla storia di un esemplare prodotto da quell’azienda.

Benché quello delle fotocamere italiane non sia proprio il mio mondo, l’aver nell’ultimo anno approfondito la storia di Ferrania mi ha dato la possibilità di entrare nell’interessante, e ai più sconosciuto, microcosmo che si nasconde nelle molte aziende italiane che dalla seconda metà dell’ottocento hanno operato in ambito ottico fotografico.

Nella seconda metà dell’Ottocento ad esempio, il giovane Ingegnere milanese Angelo Salmoiraghi acquisisce e sviluppa le attività della “Filotecnica” fondata da Ignazio Porro nel 1865 in seguito al suo trasferimento da Firenze a Milano.

Ed è proprio qui che per certi versi nasce la nostra storia.

Ignazio Porro, 1801 – 1875, fu inventore, ottico, topografo e accademico italiano il cui nome è di norma associato al sistema di prismi utilizzati nella costruzione dei binocoli.

A Porro è legato anche lo sviluppo degli studi sulla celerimensura che è una tecnica di misurazione della superficie dei terreni attraverso l’utilizzo di strumenti ottici per la rilevazione di distanze tra punti ed angoli di rotazione azimutale e zenitale, con la successiva elaborazione dei valori attraverso formule matematiche che rendono area e differenze di livello.

Le moderne tecniche digitali e l’utilizzo di misuratori laser hanno oggi soppiantato quasi del tutto questa tecnica che fino a qualche decennio fa era ancora in uso con l’ausilio di apparecchi ottici quali ad esempio i tacheometri.

Nel 1873 il giovane Ingegnere Angelo Salmoiraghi, poco più che venticinquenne, rileva la “Filotecnica” e fonda una nuova azienda che ne manterrà il nome dando alla nuova realtà una connotazione industriale pur mantenendo affiancate l’attività produttiva a quella didattica e scientifica nello spirito voluto da Porro.

Salmoiraghi si rese conto che per una produzione eccellente di strumenti di misura, come teodoliti, livelli, tacheometri, e ancor più per quelli ottici a scopo astronomico, era essenziale disporre di particolari attrezzature per realizzare le quali fece venire dalla Germania un tecnico suo coetaneo: Francesco Koristka.

La collaborazione con Koristka fu tuttavia breve poiché ben presto questi avviò in proprio un’attività, con sede a Milano, per la produzione di microscopi, potendo contare sulla presunta conoscenza personale di Ernst Abbe, fisico, scienziato ottico e riformatore sociale nonché fondatore con Carl Zeiss e Otto Schott nel 1884 della Jenaer Glaswerk Schott & Genossen specializzata nella produzione di vetri ottici.

Dal 1866 Abbe avviò anche un sodalizio con Carl Zeiss con lo stesso spirito che troviamo nell’impostazione tra industria e ricerca scientifica volto da Porro e Salmoiraghi.

Nel periodo che va da inizio secolo fino agli albori della seconda guerra, la Filotecnica Salmoiraghi allarga la sua gamma produttiva non più solo a strumenti topografici e astronomici ma anche a strumenti per la matematica, il disegno, la meteorologia, l’idrometria, la navigazione marittima e aerea nonché all’ottica tradizionale.

A partire dal primo dopoguerra la Filotecnica Salmoiraghi sviluppa anche il settore ottico fotografico e produce alcune fotocamere dotandole delle proprie ottiche, piuttosto che fornisce i propri obiettivi ad altri produttori di macchine fotografiche.

Solo a titolo d’esempio cito la folding NOVA per pellicola in rullo 120 presentata nel 1930 che monta un obiettivo Alcyon 105 mm 4.5, piuttosto che, nell’ambito della collaborazione con altre case costruttrici, le Kodak Retina e Vollenda 620 prodotte nella fabbrica di Stoccarda, prima appartenuta ad August Nagel, che montarono anche ottiche Salmoiraghi.

L’esportazione di obiettivi e l’ampliamento della gamma di fotocamere caratterizza dunque l’attività tra le due guerre e l’avvento del secondo conflitto mondiale porta con se due eventi che riguardano l’azienda: la morte di Angelo Salmoiraghi avvenuta nel 1939 e l’impiego delle energie della Filotecnica in campo bellico con una sostanziale cessazione nella produzione in campo ottico fotografico.

Veduta esterna del padiglione della Filotecnica Salmoiraghi alla Fiera Campionaria di Milano del 1942

Nell’immediato dopoguerra si colloca la storia della Lucky.

Il destino di molte aziende impegnate in forniture belliche fu segnato da nuovi fattori al termine del secondo conflitto.

Il principale era quello di aver costituito un obiettivo militare strategico e quindi di esser state in molti casi danneggiate o distrutte dai bombardamenti.

La sede della Filotecnica Salmoiraghi in Via Raffaello Sanzio a Milano subì una sorte simile patendo danni a seguito delle molteplici incursioni aeree sulla città che presero il via in modo rilevante nei primi mesi del 1943.

Un altro importante fattore fu costituito dalle modalità di riconversione delle attività, fattore che riguardò ad esempio anche le Officine Galileo di Firenze che nel dopoguerra tentarono, nell’ambito della riconversione ad attività civili, lo sviluppo del settore fotografico ad esempio con la produzione delle fotocamere Condor che venivano distribuite da Ferrania.

Non fu così per la Filotecnica Salmoiraghi che per via delle competenze in ambito militare nel giro di qualche anno fu cooptata nella galassia dell’IRI incorporando successivamente la San Giorgio di Genova.

Tutto ciò ben prima di quanto succederà alle Officine Galileo che all’IRI vi approderanno solo nel 1960.

Stand Salmoiraghi alla Fiera Campionaria di Milano del 1965

Sappiamo del resto che la Filotecnica non abbandonò completamente il settore ottico fotografico poiché ci sono testimonianze di obiettivi prodotti fino alla prima metà degli anni ’50.

Un esempio è rappresentato dal 50mm 3.5 Beta per Rectaflex con schema ottico a quattro lenti e angolo di campo di 48°.

Da notare che nel catalogo Rectaflex del 1950 l’ottica Beta viene presentata come “economica” ed abbinata al modello Junior.

L’abbandono della costruzione di fotocamere spinse con buona probabilità due dipendenti della Filotecnica ad avviare in proprio nell’immediato dopoguerra un’attività di produzione di fotocamere sotto il logo aziendale di G.G.S. Milano con la distribuzione affidata alla ditta Dell’Acqua di Genova.

Dei due personaggi, di nome Giovanni o Gian Antonio Sommaruga e Carlo Gnecchi non si sa molto e quel poco che è stato scritto è attribuibile all’opera di ricerca di Mario Malavolti pubblicata nei volumi sulle fotocamere italiane.

I pochi elementi noti di questa storia, sono stati di volta in volta ripresi da coloro che hanno scritto di questa piccola azienda, sino ad attribuire ad esempio due distinti, per quanto simili, nomi di battesimo ad uno dei due soci.

Nella breve vita della GGS, che terminerà l’attività nei primi anni ’50, furono prodotti due modelli, entrambi per pellicola 35mm.

La Lucky, che è la nostra protagonista, è una piccola fotocamera con mirino galileiano e sistema di caricamento della pellicola in pieno stile Leica.

Fu prodotta in due versioni, la prima con ottica marchiata Solar con schema a tre lenti e con apertura 3,5. In questa versione la macchina monta un otturatore con velocità massima a 1/200.

Una secondo modello che monta lo stesso obiettivo con luminosità aumentata a 3,2 e velocità massima dell’otturatore portata a 1/300 di secondo.

La seconda versione della Lucky seguì di pochissimo il lancio della prima, giacché il nostro esemplare, che monta l’ottica più luminosa, fu per l’appunto acquistato dal padre di Emanuela nel 1947.

Secondo Malavolti, della Lucky ne furono prodotti, in poco più di cinque anni di attività della GGS, circa trentamila esemplari.

Vi è poi la più rara Luckyflex, una curiosa ed originale biottica che costituisce uno dei pochi esempi di fotocamere TLR per pellicola 35mm, che monta solo la seconda versione del Solar.

La fotocamera è qui mostrata con la copia in ceramica realizzata a scopi pubblicitari.

Della Luckyflex, sempre secondo Malavolti, ne furono prodotti circa duemila esemplari.

A dispetto di un primo e più superficiale esame, nel quale la Lucky appare come una classica ed economica fotocamera dell’epoca, questo apparecchio ha invece interessanti prerogative che in alcuni casi si trovano su fotocamere coetanee di miglior fattura come le più blasonate Condoretta o Condor I, entrambe prodotte dalla Galileo e distribuite da Ferrania.

Partiamo dalle dimensioni.

La fotocamera è veramente compatta e robusta ed ha uno schema costruttivo dello chassis che ricorda quello delle prime Leica a vite. nelle quali fu impiegata lamiera piegata al posto di una struttura in fusione.

Anche il sistema di caricamento della pellicola ricorda ricorda quello Leica con tanto di istruzioni che sul nostro esemplare appaiono rovinate dal tempo e dall’uso.

Il fondello non è serrato dalla classica chiavetta ma da una sfera spinta da una molla che trattiene il dorso inserendosi in una seconda asola del fondello.

Priva di telemetro, ha un mirino ottico di ridotte dimensioni un po’ nello stile delle altre fotocamere compatte dell’epoca.

Molto interessante è il sistema contro le doppie esposizioni che sottende una inaspettata complessità meccanica ben individuabile solo smontando la macchina.

In sostanza il meccanismo non agisce solo sullo scatto, che una volta premuto rimane in posizione abbassata, ma anche sulla leva di ricarica dell’otturatore presente sull’ottica che non è possibile riarmare se non dopo aver fatto avanzare la pellicola, fatto questo che determina anche il riarmo automatico del pulsante di scatto.

Per effettuare intenzionalmente una doppia esposizione è quindi necessario, dopo il primo scatto, riarmare il pulsante attraverso l’apposita levetta posta sul frontale.

Ciò consente anche di riarmare l’otturatore permettendo dunque una seconda presa senza far avanzare la pellicola.

Sulla calotta si trova poi il classico selettore con la posizione “A” per avanzamento e “R” per riavvolgimento e il contapose che va azzerato manualmente attraverso la piccola rotella dentata, sporgente nel profilo posteriore della calotta, che può essere azionata solo quando il selettore è nella posizione “R”.

L’otturatore centrale ha tempi da 1/20 a 1/300 oltre all’italianissima “P” che sta per posa.

I diaframmi vanno da 3.2 a 18 con quattro valori intermedi: 4,5 – 6,3 – 9 e 12,5.

La messa a fuoco va da 1,5 metri all’infinito.

Non ho invece trovato notizie sul produttore delle lenti che avrebbe potuto essere stata la stessa Salmoiraghi, senza tuttavia concedere a Sommaruga e Gnecchi l’utilizzo del marchio.

Vi è tuttavia da dire che l’assenza di trattamento antiriflesso fa supporre un approvvigionamento delle lenti a basso costo probabilmente verso un produttore terzo che garantì comunque, ammesso che il produttore di lenti sia stato solo uno, un rifornimento sufficiente per consentire la produzione complessiva di oltre trentamila esemplari.

La storia di Franke e Heidecke insegna peraltro che non sempre ai fuoriusciti viene concessa grande disponibilità da parte dell’azienda dalla quale provengono, tant’è che per i loro apparecchi questi si rivolsero, per scelta o necessità, alla Carl Zeiss pur avendo dietro l’angolo uno dei più importanti produttori tedeschi di ottiche come Voigtlander.

Vero è che, almeno in quel caso, si trattava di una concorrenza diretta tra vicini di casa, fattispecie che non troviamo a Milano nel dopoguerra se è vero che quando Sommaruga e Gnecchi uscirono da Salmoiraghi questa avesse veramente maturato l’idea di non produrre più fotocamere.

In questo caso perché non concedere il marchio per le ottiche?

Può essere che Salmoiraghi avesse un target di prezzo non compatibile con i margini industriali della GGS piuttosto che non fosse interessata a questo tipo di fornitura.

Il contesto fa quindi ipotizzare un’uscita in sordina dei nostri due, portando con loro idee o bozze di progetti di casa madre senza avere da quest’ultima, almeno per quanto è possibile desumere dai pochi elementi a disposizione, una grande collaborazione.

Il tema della fornitura dei materiali, in primis quello delle lenti, non doveva essere banale nell’immediato dopoguerra.

Se ci riferiamo alla più nota storia della fabbrica Milanese di fotocamere di Ferrania possiamo vedere come l’iniziale collaborazione con Galileo finì all’inizio degli anni ’50, ed anche in questo caso l’approvvigionamento di lenti seguì diversi canali come dimostrato dalle scatole, illustrate in foto, che provengono dal materiale appartenuto a Ludovico D’Incerti direttore del reparto fotocamere in Ferrania dal 1948 al 1967.

foto per cortesia di Antonello Natale

Un altro degli elementi è l’immagine, se vogliamo un po’ romantica, della produzione in cantina delle prime Lucky ed anche qui dipende principalmente dalla cantina e dall’attrezzatura.

Del resto è vero che Victor Hasselblad realizzò nel 1942 le prime fotocamere per riprese aeree in un retrobottega e Zenzaburo Yoshino produsse i primi esemplari della Zenza Bronica in una piccola officina al piano terra della propria abitazione.

Tutti gli elementi sopra descritti contribuiscono ad ammantare di mistero la storia di questa azienda, affascinante al pari di quella di molte altre piccole case italiane produttrici di fotocamere la cui vita non riuscì quasi mai a superare la prima metà degli anni cinquanta.

Della nostra Lucky sappiamo che fu acquistata dal papà di Emanuela, che di professione faceva l’Ingegnere Meccanico, nel 1947 a Torino e che è stata con costanza usata negli anni successivi come mostrano questi scatti.

Courmayeur 1947
prova di regolarità 1949
Torino 1950
prova di regolarità 1949
Emanuela nel 1952

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

Bibliografia e sitografia: Malavolti M., La produzione delle fotocamere italiane, Fotocamera, 1994 – AAVV, Storia di Milano, Vol XVI, Treccani – Per le foto degli stand – Archivio Fondazione Fiera Milano – Foto della Luckyflex per cortesia di Newoldcamera

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