Come avrete capito la storia di Ferrania mi ha molto colpito e coinvolto.
Mi ha colpito soprattutto il fatto di essere cresciuto con la presenza costante di questo marchio.
Dalle buste porta negativi delle foto di famiglia, ai termometri appesi in vie e piazze, alle gigantografie appese in molte stazioni ferroviarie che rappresentavano viste delle relative città, alle pellicole o alle fotocamere.
Prima fra tutte la Eura che faceva la sua comparsa tra le dotazioni fotografiche di molti genitori di amici e compagni di scuola.
Sono nato nell’anno nel quale avvenne la cessione di Ferrania da parte di IFI alla Minnesota Mining and Manufacturing meglio conosciuta come 3M, e questo fatto, che ho realizzato recentemente, mi ha dato maggiore percezione di quanto fosse remota, interessante e ricca la storia di questa azienda italiana che arrivò a valere in occasione della vendita agli americani ben 55 milioni di dollari, una cifra esorbitante oggi, figuriamoci allora.
Questo fatto mi ricorda un po’ la percezione che ho per la Moto Guzzi, percezione legata ai motori bicilindrici a V sviluppati negli anni ’60 che ben poco hanno a che vedere con la storia sportiva di questo marchio sviluppatasi della fine degli anni ’20 e fino a tutti gli anni ’50, con moto e motori assolutamente all’avanguardia che portarono già nel 1935 il pilota irlandese Stanley Woods, su una moto progettata e fabbricata in Italia, a vincere il Tourist Trophy in barba agli inglesi.
Tornando a Ferrania, per quanto l’azienda sia rimasta competitiva anche nei decenni successivi all’acquisizione, dal mio punto di vista il periodo più affascinante, sul quale ho peraltro scritto gli articoli su Ferrania a Milano, resta quello tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni ’60.

Questo periodo coincide con la produzione nella sede milanese di molte fotocamere di successo, realizzate con il contributo degli Architetti Castiglioni e di numerosi fotografi, trai quali Elio Luxardo, sotto la direzione dell’Ing. Ludovico D’Incerti del quale ho a lungo scritto e parlato.
In quegli anni nello stabilimento ligure di Ferrania prendono vita le nuove pellicole, con le prime emulsioni a colori perfezionate, nell’immediato dopoguerra, grazie alla collaborazione tra l’azienda e alcuni tecnici di Wolfen.
Ferrania, ad iniziare dagli anni ’50, da nuovo impulso alla vocazione con la quale nacque negli anni ’20 nella produzione di pellicola cinematografica.
Rilevante sarà per gli anni successivi il contributo che l’azienda fornirà alle produzioni italiane, mettendo ad esempio a punto la linea di pellicole Ferraniacolor.
Il passo che vede l’adozione delle stesse emulsioni per usi fotografici è breve e riguarda più di una pellicola sia a colori sia in bianco e nero.
Nel 1960 viene ufficialmente presentata la P30 che proprio in quell’anno conquisterà gli onori della ribalta attraverso il pluripremiato film “La Ciociara” girato per l’appunto con la nuova pellicola.
Tra i molti riconoscimenti che ebbe il film cito il David di Donatello nel 1961 e l’Oscar nel 1962 entrambi assegnati a Sophia Loren come miglior attrice protagonista.

L’utilizzo dell’emulsione anche in campo fotografico coincide con una revisione delle pellicole bianco e nero prodotte da Ferrania la cui denominazione viene uniformata con la sigla P, che sta per Pancromatica. seguita dalla sensibilità in scala Schneider come indicato in questa pubblicità del 1963.

Le emulsioni sono complessivamente cinque, distinguibili anche dai cinque differenti colori che compaiono sulla confezione e sui rullini accanto all’azzurro che diviene comune per tutte le tipologie.

P24 24 Schneider 20 ASA banda grigia
P27 27 Schneider 40 ASA banda verde
P30 30 Schneider 80 ASA banda gialla
P33 33 Schneider 160 ASA banda rossa
P36 36 Schneider 320 ASA banda blu
La scorsa primavera, mi è capitato di recuperare una Ferrania Eura con un rollo di P30 già iniziato che ho terminato, visto il particolare periodo, scattando le ultime foto disponibili dal balcone di casa, rullo che ho poi sviluppato con risultati interessanti ed inaspettati.
Questa pellicola scadeva nel 1967.

Sono recentemente venuto in possesso di un lotto di P30 in formato 120 ben conservate e con scadenza tra il 1968 ed il 1971.
Ho quindi pensato di applicare un criterio più preciso rispetto a quello adottato con la Eura e ho fatto una prima prova utilizzando la mia Rolleiflex 6008 in modo da avere una lettura esposimetrica precisa ma soprattutto uniforme tra i fotogrammi.

Parto con il dire che non mi entusiasma di norma usare pellicole vecchie e scadute, mi interessava tuttavia valutare in modo preciso la tenuta nel tempo di questo materiale.
Il miglior risultato ottenibile con un film scaduto oltre 50 anni fa, porta comunque in sé problematiche e difetti dei quali occorre tenere conto.
Primo Rullo – asse 47271 21 – scadenza 6/1968
La prima problematica, che ha fatto saltare il fusibile della batteria della 6008, è una questione banale che non avevo minimamente considerato: il nastro adesivo, che assicura lo spezzone di film alla back paper, ormai completamente secco, ha fatto sì che in fase di trascinamento la pellicola non abbia seguito la carta inceppando il magazzino e trasformando di conseguenza la fotocamera in un fermacarte.
Bene, tornato a casa, cambiato il fusibile e assicurata la pellicola con nuovo nastro adesivo il resto del rullo è andato.
Una curiosità: queste pellicole avevano il rocchetto in metallo che unitamente ad altre componenti – scatoline e contenitori sempre metallici – venivano prodotti dal secondo dopoguerra nello stabilimento milanese di Via Contardo Ferrini dove si producevano anche le fotocamere.
Lo stabilimento milanese, era stato realizzato ingrandendo il sito della Cappelli storica azienda milanese di lastre fotografiche che nel 1932 verrà fusa con la FILM dando origine alla Ferrania – fabbriche riunite prodotti fotografici FILM e CAPPELLI.

Riprendo la narrazione dell’esperimento dicendo che come punto di partenza ho esposto il il film alla sensibilità nominale di 80 ASA.

Per lo sviluppo ho seguito il metodo suggerito da Gerardo Bonomo per la nuova P30, metodo che ho già più volte avuto modo di sperimentare con questa pellicola e che trovo, almeno a mio giudizio, il più soddisfacente.
Vi è da dire che il bello dello sviluppare in bianco e nero è la possibilità di ottenere risultati diversi applicando prodotti e metodo diversi.
Ciò comporta, al di la del risultato tecnico di base che deve comunque essere insindacabile, una valutazione soggettiva che sposa spesso il gusto personale rispetto ad esempio al maggiore o minore contrasto o alla ricchezza o meno di toni.
Per il colore purtroppo l’egemonia del C41 per i negativi e dell’E6 per gli invertibili lascia poco spazio agli interventi che al limite possono basarsi sul guadagno di qualche stop.
Come primo tentativo ho quindi utilizzando il Rollei Supergrain incrementando il tempo del 30% circa rispetto a quanto indicato da Gerardo.
Il sistema è stato un’ottima base sulla quale ho dovuto poi solo introdurre un leggero correttivo.

Il risultato è stato infatti un negativo piuttosto debole ma non velato come di norma capita utilizzando pellicole scadute.

Secondo rullo – asse 47271 21 – scadenza 6/1968
Il secondo rullo appartiene allo stesso lotto del primo ed è stato conservato in modo analogo.

Per ottenere una maggiore resa, ho abbassato la sensibilità a 50 ASA e aumentato il tempo di sviluppo di 30 secondi lasciando inalterata la temperatura a 20°.
Il risultato è stato decisamente buono se si considerano le condizioni di ripresa con cielo coperto e quindi con un più basso contrasto.
Ecco quindi i dati di sviluppo:
- prebagno a 22° per tre minuti
- sviluppo a 20° con Rollei Supergrain 1+12 in Jobo con rotazione continua per 8 minuti
- fissaggio per 7 minuti con Bellini FIX 1+4
- lavaggio per 5 minuti con Jobo Cascade
Complessivamente il risultato si conferma buono in relazione all’età della pellicola, soprattutto per la totale assenza di velatura che come dicevo sopra, è una caratteristica comune alle pellicole scadute.
La corretta densità del negativo consente di valutare in modo più completo i difetti della pellicola dovuti al tempo.
Sul primo fotogramma troviamo ritrattato il nastro adesivo che assicura la pellicola alla carta, il quale, oltre a causare il problema al quale facevo prima cenno, è anche responsabile dell’evidente danneggiamento mostrato nella foto qui sotto.

Sui primi fotogrammi è inoltre marcata la puntinatura dovuta alla carta protettiva che rilascia sostanze che rovinano l’emulsione.

Questo difetto è tuttavia praticamente assente sui fotogrammi centrali, dal quarto al decimo.
Mi consolo pensando che questo inconveniente si è manifestato nell’ultimo periodo su molte pellicole 120 fresche e con data di scadenza ancora da venire, per un generalizzato problema che ha colpito più di un produttore.

Nella foto sopra, scattata qualche mese fa con una Ferrania Rondine, è possibile vedere un esempio di danneggiamento dell’emulsione causato dalla carta protettiva (il rullo 127 è stato ricavato da un rullo 120 come descritto in questo articolo)..
Possiamo quindi perdonare il fatto che, grossomodo dopo 55 anni dalla produzione, il difetto si presenti su queste P30.
Di seguito alcuni scatti acquisiti con un vecchio scanner Canon 9950F senza badare troppo alla rimozione dei difetti tipici della scansione, proprio per evidenziare le eventuali imperfezioni del negativo.


Il supporto della pellicola rimane molto arricciato e ha richiesto qualche giorno dentro il porta negativi e sotto un peso per acquisire una forma tale da poter essere messo nella mascherina dello scanner.



L’esperimento conferma la straordinaria qualità di questa pellicola e apre un interrogativo: ma gli altri film scaduti negli anni ’60 che ho da parte saranno in grado di fornire gli stessi risultati?

Nel mentre, aspetto che Film Ferrania commercializzi la nuova P30 120 e quello sarà di certo un altro “film”.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

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