Ehira Six, la Super Ikonta made in Japan

Questo articolo apre alcuni approfondimenti, che seguiranno nelle prossime settimane, sul modello di produzione giapponese del dopo guerra del quale ho parlato in questo articolo e che ho poi ripreso nel successivo sulla figura di Zenzaburo Yoshino e sulle fotocamere Zenza Bronica.

Tra le aziende che hanno operato nell’ambito dell’industria fotografica nipponica con un ruolo chiave nello sviluppo di questo mercato, vi è Tokyo Kogaku produttore, tra l’altro, delle fotocamere Topcon alla quale dedicherò per l’appunto le prossime uscite.

La rilevanza storica di questo marchio fu descritta, nella seconda metà degli anni ’90, da Marco Antonetto e Claudio Russo nel libro Topcon Story, che rappresenta una tra le poche testimonianze in lingua occidentale, se non l’unica di questo spessore, della nutrita produzione di questa azienda.

Durante gli anni ’50 e sino ai primi anni 60’ la rincorsa del modello tedesco caratterizza buona parte della produzione delle aziende giapponesi e questo fatto ha un’origine che parte nel decennio precedente l’avvio della seconda guerra mondiale.

Del resto, il fatto che l’industria tedesca abbia guidato già tra le due guerre le tendenze del resto del mondo nella prodizione di apparecchi è un fatto consolidato.

È altrettanto noto che dopo il secondo conflitto il Giappone si è via via affermato nella produzione di apparecchi innovativi ispirandosi in prima battuta alla produzione europea e affrancandosi poi da questa attraverso nuove produzioni che esprimeranno soprattutto negli anni ’60 il senso di modernità che le aziende tedesche non saranno in grado di seguire arrivando così alla débâcle degli anni ’70.

In questo contesto, come mi è capitato più volte di scrivere, la Nikon F rappresenta il punto di stacco tra la filosofia costruttiva europea e quella orientale.

Benché chiaramente ispirata a fotocamere tedesche, nella produzione giapponese vi è quasi sempre una vena interpretativa che caratterizza e spesso migliora i modelli occidentali ai quali questa è ispirata.

Basti pensare alle Nikon a telemetro piuttosto che alla produzione di biottiche di Minolta e Mamiya.

Capita però di trovare, sebbene più raramente, imitazioni pedisseque che bene danno l’idea di quanto alcuni modelli avessero varcato i confini continentali pur in un mondo non globalizzato come era quello dell’epoca.

Tra queste imitazioni mi è capitato recentemente di vedere da vicino e provare la Ehira Six IIIA prodotta nel 1949 che è di fatto una copia della Super Ikonta 532/16.

Ehira Six
Super Ikonta 532/16 post bellica

La storia di questa piccola azienda è interessante e si snoda dalla seconda metà degli anni ’30 sino alla prima metà degli anni ’50 attraverso la produzione di due macro tipologie di fotocamere entrambe ispirate, pur con una diversa interpretazione, alle Super Ikonta.

Il primo modello, denominato Weha Chrome Six, ha la particolarità che ritroviamo anche sulla Lord, modello folding 6×6 prodotto dalla Tokyo Kogaku, di avere un tubo telescopico al posto del soffietto.

Weha Chrome Six

Questa soluzione, che garantisce maggiore longevità agli apparecchi rispetto al soffietto, è in realtà poco comune sulle fotocamere medio formato ed oltre all’esempio sopra citato della Tokyo Kogaku Lord mi piace ricordare la Ferrania Astor, prodotta a Milano all’inizio degli anni ‘’50 nell’ambito della stagione di grande sviluppo che l’azienda ligure realizzò nel capoluogo lombardo presso lo stabilimento ex Cappelli di Via Contardo Ferrini sotto la guida dell’Ing. Ludovico D’Incerti.

Ferrania Astor

La questione del tubo collassabile in luogo del soffietto, ha invero anche una origine pratica derivante dal poter disporre direttamente o meno di materia prima di sufficiente qualità e di tecniche di lavorazione della pelle e di assemblaggio dei soffietti, o di un fornitore terzo in grado di poter realizzare il prodotto finito.

Da questo punto di vista i tedeschi non ebbero grossi problemi anche in relazione alla lunga tradizione di produzione di fotocamere folding dotate di soffietto.

Basti pensare che dopo la costituzione di Zeiss Ikon, avvenuta nel 1926, rimasero attivi molti degli impianti produttivi appartenuti alle aziende entrate a far parte della nuova realtà.

Questo rendeva possibile lo sviluppo di una qualità, spesso a discapito di costi di logistica, che vedeva ad esempio le Super Ikonta assemblate con componenti che provenivano da Stoccarda, Dresda, Jena e Monaco.

Coloro che producevano invece al difuori dai distretti industriali specializzati, fossero in Europa o in oriente, dovevano approvvigionarsi di materiali e semilavorati o percorrere soluzioni alternative come quella del tubo collassabile prima citata.

Ehira Nobujirō produttore delle omonime fotocamere Heira aveva sede a Yao, nei pressi di Osaka mentre è bene ricordare che la maggior parte di produttori giapponesi di fotocamere avevano sede a Tokyo.

A Osaka aveva sede anche una azienda, destinata ad affermarsi nel dopoguerra, denominata Molta, successivamente Chiyoda Kōgaku, che fu il precursore del marchio Minolta.

Ehira Nobujirō collaborò con Molta prima di mettersi in proprio per la produzione della prima folding Weha Chrome Six che aveva per l’appunto un tubo collassabile al posto del soffietto.

In questo caso la somiglianza alle Super Ikonta prebelliche non è pienamente individuabile sia per la diversa concezione del design dell’apparecchio, sia per la soluzione alternativa al soffietto e da ultimo per il sistema di funzionamento del telemetro che non è accoppiato al mirino.

La Weha Chrome Six monta un ottica Weha Anastigmat 75 mm 3.5.

Il successivo modello Ehira Six, che qui vediamo nella versione commercializzata con la sigla IIIA nel 1949, è invece una copia, più o meno fedele, della Super Ikonta 532/16 anche nel funzionamento del telemetro che in questo caso è accoppiato al mirino e comandato, come sulla folding Zeiss Ikon, da un prisma rotante posto sull’asta sopra l’obiettivo, collegato alla ghiera di messa a fuoco.

Questo sistema di accoppiamento della messa a fuoco al telemetro, costituisce a mio avviso uno degli aspetti più interessanti delle Super Ikonta e ne spiega, sebbene in parte, i motivi della longevità e dell’apprezzamento che da sempre suscitano i modelli di questa serie.

Il sistema di accoppiamento prevede infatti la trasmissione al telemetro per via ottica e non per via meccanica della distanza impostata sull’obiettivo evitando così la problematica, che ad esempio affligge la BESSA II di Voigtlander, legata al possibile danneggiamento del manovellismo di trasmissione tra ottica e telemetro qualora la fotocamera venga chiusa, forzatamente peraltro, con l’ottica non posizionata su infinito.

Nella Super Ikonta, qualsiasi sia il valore di messa a fuoco impostato, potrete chiudere la fotocamera senza creare nessun tipo di problema.

L’Ehira Six è dotata di ottica marchiata Lauser di focale 85mm e apertura 3.5 e di un otturatore Ehira Rapid con tempi da 1 secondo a 1/400 oltre la posa B.

L’obiettivo era verosimilmente prodotto da Tomioka Kogaku azienda giapponese produttore di ottiche, precursore dell’attuale Kyocera Optec.

Questa fotocamera, a differenza del modello Super Ikonta al quale si ispira, è priva di contapose e di blocco contro le doppie esposizioni.

L’avanzamento della pellicola è controllato attraverso la finestrella posizionata sul dorso tramite la quale è possibile visualizzare la numerazione sulla carta protettiva dei rulli 120.

Costruita quasi interamente in ottone, o lega similare, la qualità complessiva è pari a quella riscontrabile su fotocamere dell’epoca per le quali l’adozione di metalli più facilmente lavorabili, che semplificava il processo produttivo, andava poi a discapito dell’affidabilità nel tempo come, ad esempio, accade nei primi modelli di Zenza Bronica SLR medio formato.

Nel caso della Ehira Six, la minore complessità meccanica sopperisce bene alla qualità dei materiali e questo esemplare è arrivato ad oggi in buone condizioni di funzionamento e con il telemetro ancora ben allineato.

Sul telemetro spendo le ultime considerazioni.

Il telemetro montato sulle Super Ikonta è per la mia esperienza tra i più comodi da usare, in primis per la comodità relativa all’integrazione con il mirino, che consente inquadratura e messa a fuoco guardando in solo oculare, per la buona base telemetrica che permette di effettuare la regolazione del fuoco sempre con una certa precisione e da ultimo per la luminosità ed il contrasto che ne permettono il pieno utilizzo anche in condizioni di scarsa luminosità.

Nel caso della Ehira Six, pur rispettando le caratteristiche di integrazione e base telemetrica sopra descritte, luminosità e contrasto sono decisamente più scarsi.

Benché sarebbe stato interessante poter raffrontare i due telemetri dal punto di vista costruttivo, la rarità dell’esemplare di Ehira Six non mi ha spinto oltre l’intervento di normale manutenzione anche per il rischio, non certo remoto, di provocare danni irreparabili.

Almeno in questo caso quindi l’esperimento di anatomia patologica è rinviato alla prossima occasione, se mai ci sarà, di avere tra le mani un esemplare non recuperabile sul quale compiere qualche approfondimento in più.

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

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