Il lancio avvenuto nel 1963 del sistema Instamatic, abbinava un formato di pellicola in rullo presentato sempre da Kodak nel 1906 e rimasto in produzione fino al 1949, ad un caricatore in plastica che aveva il rocchetto cedente, quello ricevente e la piastra pressa pellicola in un unico guscio.

Ritornava quindi il concetto con la quale a fine ‘800 era partito George Eastman ovvero quello di massima semplicità per l’utilizzatore che aveva per l’appunto solo il compito di premere il pulsante di scatto.

Nel frattempo l’azienda di Rochester di strada ne aveva fatta comportandosi di fatto per più di sessant’anni da monopolista, introducendo formati ai quali prima o dopo gli altri produttori avrebbero dovuto attenersi.
Questa politica inizierà a non pagare più dalla fine degli anni ’70 ed il lancio del sistema Instamatic fu probabilmente l’ultima mossa vincente, rafforzata dall’uscita nel 1972 del caricatore 110 che altro non era che la semplificazione di un altro formato inventato da Kodak nel 1923 per il cinema amatoriale, il 16 mm, che prese piede nel secondo dopoguerra per usi fotografici un po’ come accadde qualche decennio prima per il formato 35 mm.
Si attribuisce di norma ai produttori giapponesi il fatto di aver messo fuori gioco l’industria fotografica europea e questo è vero solo in parte.
L’importante segmento della fotografia amatoriale, soprattutto per la rilevante parte che faceva ricorso ad apparecchi economici, fu in buona parte assorbita da Kodak con il sistema Instamatic che prima della fine degli anni ‘60 aveva totalizzato la vendita di venti milioni di apparecchi in tutto il mondo
Sia per i caricatori 126 sia per i 110 l’obiettivo, in aggiunta alla semplificazione, era di ottimizzare il formato massimo utilizzabile rispetto alle pellicole 35 mm e 16 mm.

Nei due sistemi infatti la dimensione dei fotogrammi era 26×26 mm nel 126 e 13×18 mm nel 110.
Occorre ricordare che nelle fotocamere 35mm con formato del fotogramma quadrato, come ad esempio le Robot, la dimensione massima del fotogramma era 24×24 e che le submini, che utilizzavano pellicola 16 mm, arrivarono al massimo al formato 12×17 come ad esempio nella Rollei 16S.

La differenza tra i formati è visibile nella foto sopra dove una pellicola 35mm è stata inserita in un caricatore 126, facendo così ricadere la parte perforata nella finestra di ripresa del caricatore.
Giusto per parlare dell’epilogo dei formati proposti da Kodak successivamente al 126 e al 110, è utile ricordare che ad inizio anni ’80 la casa di Rochester provò ad imporre uno nuovo standard che molti ricorderanno.
Il Sistema Kodak Disc lanciato nel 1982 consentiva di ricavare fotogrammi 8×10, più piccoli dunque del formato Minox 8×11, su un disco di pellicola inserito in un caricatore di plastica.
Il sistema Disc ebbe una sorte molto diversa dall’Instamatic e per quanto avesse caratteristiche innovative, fu definitivamente abbandonato non molti anni dopo.

Vi è da osservare che Minolta produsse per questo formato la fotocamera Disc-7 presentata nel 1983 che disponeva di uno specchio convesso sulla parte anteriore per poter visualizzare il soggetto inquadrato tenendo la fotocamera rivolta verso il fotografo.
La confezione della fotocamera mostrava l’apparecchio montato su un bastone mentre veniva utilizzata per tale scopo.
Io ero tra coloro che ignoravano il fatto che il bastone da selfie fu un brevetto Minolta di quegli anni, come riportato nell’articolo che ho inserito nella sitografia e che posso citare grazie al prezioso contributo di Andrea Aprà grande appassionato ed esperto del sistema Minolta.

Sempre in tema di formati innovativi, maggior successo ebbe il sistema Advanced Photo System presentato nel 1996 le cui sorti furono tuttavia profondamente condizionate dall’imminente avvento del digitale.
Da Notare che in questo caso, il primo probabilmente nella storia, il sistema viene introdotto dai quattro big di allora nella produzione di pellicola: da Kodak sotto il nome Advantix, da Fujifilm come Nexia, da AGFA come Futura e da Konica come Centuria.
Nel susseguirsi dei vari formati, narrazione che qui è stata ripresa solo per sommi capi, vi sono stati casi di aziende che hanno cercato di proporre alternative allo strapotere giallo, riuscendo in alcuni casi, presto o tardi, a ricavarsi delle nicchie.
Basti pensare a Minox con il formato 8×11.
Tra gli altri esempi interessanti da citare vi è il sistema Rapid che vide la luce nel 1964 ad opera di Agfa ed anche in questo caso non si trattò di una soluzione nuova in assoluto come vedremo in seguito.
Il 1964 fu un anno denso di novità per le aziende Europee produttrici di pellicole: Ferrania fu acquisita dalla 3M e Agfa si fuse con la belga Gevaert.
Di Ferrania ho già parlato in più occasioni.
La Aktiengesellschaft für Anilinfabrikation, meglio conosciuta come AGFA, viene fondata nel 1867 a Rummelsburg, sobborgo facente ora parte del quartiere Lichtenberg di Berlino, come produttore di coloranti e mordenti, da Carl Alexander von Martius e Paul Mendelssohn Bartholdy, figlio del compositore Felix che nell’immaginario collettivo è ricordato per una delle celeberrime versioni della marcia nuziale.
Alle fine dell’800 e più precisamente nel 1898 viene introdotta la produzione di lastre per usi radiografici e fotografici.
Nel 1880 entra a far parte dell’azienda il giovane ventisettenne Franz Oppenhaim che fonda, nel 1909, la Agfa Film Company a Wolfen.
A Wolfen è legata una travagliata storia, nel periodo nazista per le accuse di collaborazione con il regime e alla fine della seconda guerra mondiale per le sorti dell’impianto finito nel territorio a controllo sovietico, con gli americani che, un po’ come per la Carl Zeiss, prelevano una parte delle maestranze e dei materiali per riavviare l’attività industriale in quella che poi diverrà la Repubblica Federale Tedesca.
Gli americani erano anche interessati ad esportare oltre oceano la tecnologia di Agfa, in particolare il sistema Agfacolor nato negli anni ’30 decisamente più performante del sistema sviluppato all’epoca da Kodak.
Nelle more di questa emigrazione, più o meno spontanea, ci fu un passaggio anche a Ferrania dove già nei primi anni ’40 inizia lo sviluppo del materiale sensibile a colori che nel dopoguerra prenderà maggiore forma con le pellicole Ferraniacolor che valsero all’azienda savonese numerosi riconoscimenti in ambito cinematografico negli anni ’50.
Sulla pellicola Agfacolor pre bellica vi è un libro con immagini molto suggestive riprese da Paul Wolff con fotocamere Leica ed intitolato “Meine erfahrungen …farbig”.

E se mai a qualcuno dovesse venire il dubbio circa l’attendibilità della teoria sui radicati contatti di Agfa con il regime nazista, come del resto capitò all’epoca anche ad altre grandi aziende tedesche, basta leggere alcuni passaggi di “Meine erfahrungen …farbig” che si potrebbero definire smodatamente celebrativi.
Di seguito un paio di immagini riprese con pellicola a colori Agfa, tratte da libro.

L’autore delle immagini, Paul Wolff, era nato nel 1887, si era laureato in medicina nel 1914 ed aveva iniziato dopo la guerra l’attività di fotografo incontrando nel 1921 Oskar Barnack ed iniziando nel 1926 a fotografare con Leica.

La sua opera più nota è “Meine Erfahrungen mit der Leica” pubblicata nel 1932.
Per quanto riguarda Gevaert, prendo spunto dalla prefazione del catalogo di primi anni ’50: “Sono passati più di cinquant’anni da quando il signor Lieven Gevaert, eminente inventore e fondatore dell’azienda che porta il suo nome, ha aperto i suoi modesti laboratori per la produzione di carte fotografiche, in Anselmo Street ad Anversa. Era il 1894, un’epoca in cui M. L. Gevaert aveva già apportato diversi miglioramenti nella produzione di apparecchiature sensibili, ancora agli inizi a quel tempo.”

La storia di Gavaert prende il via dalla produzione di carte e deve il proprio successo all’acquisizione della parigina Blue Star Papers attraverso la quale l’azienda belga acquisì anche il know how per la produzione di una nuova carta che al pari di quanto sviluppato da George Eastman con l’acquisizione del brevetto per le dry plates introduceva una nuova modalità di utilizzo del materiale sensibile che rendeva più agevolmente utilizzabili e conservabili pellicole e carte senza più far ricorso a materiali quali albumina e collodio.
Il primo luglio 1964 avvenne dunque la fusione tra la Agfa e la Gevaert attraverso una articolata operazione societaria che portò alla costituzione di due nuove aziende, la Agfa-Gevaert AG che spostò la sede a Leverkusen in Germania e la Gevaert-Agfa N.V. che si stabilì a Mortsel in Belgio.
La proprietà delle due nuove società fu divisa al cinquanta per cento tra le due aziende di origine.
Nello stesso anno, dicevo prima, fu presentato il sistema Rapid.
Il grande successo ottenuto sin da subito dal sistema Instamatic, spinse con buona probabilità l’azienda tedesca a cercare un’alternativa che, anche in questo caso, non faceva riferimento ad un prodotto nuovo in assoluto.
Agfa è nota non solo per la produzione di materiale sensibile ma anche per quella di cineprese, ricorderete la serie Movex nata nel 1928 e sviluppatasi poi nei successivi cinquant’anni in numerosi modelli, e di fotocamere.
Tra queste ultime, quella dal mio punto di vista più interessante è la serie Karat nata già negli anni ’30 in risposta alle Retina prodotte da Kodak nello stabilimento di Stoccarda da quest’ultima rilevato nel 1932 da August Nagel.

Per la Karat fu sviluppato un sistema a cartucce che facilitava le operazioni di caricamento e di recupero del film esposto che non aveva bisogno di essere ribobinato.
Lo stesso sistema fu utilizzato negli Stati Uniti, nel periodo prebellico, da Ansco che dal già dal 1928 si era fusa con la divisione americana di Agfa producendo fotocamere a marchio Agfa-Ansco.
Ansco nel 1939 viene acquista dalla General Aniline & Film meglio conosciuta come GAF pur continuando fino agli anni ’60 a produrre fotocamere a proprio marchio.
Il sistema della Karat fu abbandonato da Agfa nel periodo post bellico con l’uscita del modello Karat 36 che utilizzava i normali caricatori di pellicola 35 mm.
Ripreso e trasformato nel 1964, il sistema Agfa Rapid continuava ad utilizzare pellicola 35 mm appositamente sagomata nella parte iniziale in modo da poter essere agevolmente introdotta dalla fotocamera in modo automatico nella cartuccia ricevente che era, per dimensioni e fattura, del tutto analoga a quella contenente il film da esporre.

Questo sistema aveva indubbi vantaggio rispetto a quello Instamatic giacché consentiva di utilizzare pellicola 35mm sfruttando, a seconda della fotocamera, sia il formato quadrato 24×24 sia quello rettangolare 24×36 o 18×24.
La planarità della pellicola era inoltre agevolata dall’uso del pressa pellicola del dorso della macchina fotografica anziché di quello del caricatore di plastica.
Come per l’Instamatic anche il sistema Rapid consentiva di impostare in modo automatico la sensibilità sugli apparecchi dotati di esposimetro.
I caricatori avevano infatti un riscontro in metallo che riportava incisa una lettera corrispondente alla sensibilità della pellicola.

Ecco le sensibilità in ASA e DIN corrispondenti alle lettere nonché le dimensioni in millimetri del riscontro metallico:
A – 25 ASA, 15 DIN, 0 mm
B – 32 ASA, 16 DIN, 05 mm
C – 40 ASA, 17 DIN, 1.0 mm
D – 50 ASA, 18 DIN, 1.5 mm
E – 64 ASA, 19 DIN, 2.0 mm
F – 80 ASA, 20 DIN, 2.5 mm
G – 100 ASA, 21DIN, 3.0 mm
H – 125 ASA, 22DIN, 3.5 mm
I – 160 ASA, 23 DIN, 4.0 mm
K – 200 ASA, 24 DIN, 4.5 mm
L – 250 ASA, 25 DIN, 5.0 mm
M – 320 ASA, 26 DIN, 5.5 mm
N – 400 ASA, 27 DIN, 6.0 mm

Per il sistema Rapid, Agfa creò un kit dimostrativo che veniva inviato ai rivenditori per mostrare e far acquisire dimestichezza ai clienti nell’utilizzo dei caricatori.



Il sistema Rapid non ebbe grandissimo successo benchè furono numerosi i produttori di fotocamere che introdussero modelli funzionanti con queste cartucce.
Forse il più grande limite fu la ridotta autonomia dei caricatori che per il formato 24×36 arrivavano a 12 pose. Questo spiega la scelta fatta soprattutto dai produttori giapponesi di adottare per le loro fotocamere Rapid, il formato 18×24 che di fatto raddoppiava il numero di scatti disponibili.
Tra i produttori giapponesi furono dunque in molti a realizzare fotocamere con questo sistema: ricordo in particolare Canon con la Dial Rapid, Fujica con la Rapid S ed S2, Olympus con la Pen Rapid, Yashica con la Half 17 EE Rapid, e Minolta con la 24 Rapid, giusto per citarne alcune.

Sempre grazie al contributo di Andrea Aprà ecco alcuni dettagli sulla Minolta 24 Rapid. E’ stata prodotta a partire dal 1 Giugno 1965. Dotata di otturatore Seiko LA (567) ed ottica Rokkor 32mm f/2.8. Lettura della sensibilità tramite il cursore sul caricatore da 25 a 400 ASA (15-27 DIN). Stima della produzione circa 50.000 pezzi, benché i seriali raccolti non sono tanti e quindi la stima ha un’affidabilità statistica molto limitata,
Tra i produttori di materiali sensibili, Ferrania sviluppò una serie di pellicole e di fotocamere a proprio marchio che sfruttavano questo formato.
Nella foto sotto, avuta per gentile concessione del Ferrania Film Museum, si vede la vetrina del Centro Informazioni Ferrania o CIFE di Corso Matteotti a Milano che reclamizza per l’appunto il sistema Rapid prodotto da Ferrania.

Un altro interessante caso è rappresentato da Orwo che produsse il sistema Rapid con la sigla SL che aveva i caricatori realizzati in plastica anzichè in metallo.

Tra le fotocamere prodotte oltre cortina vi era la Smena Rapid che riscosse un discreto successo pur nel mare magnum delle varianti della produzione Lomo di questo modello.
Tutte queste fotocamere sono oggi ancora utilizzabili a differenza di quelle che adottano il formato 126 ormai fuori produzione da tempo.

Sconsiglio di acquistare per queste ultime i caricatori 126 stampati in 3D che si trovano in commercio e che reclamizzano la possibilità di utilizzare pellicola 35 mm.

Personalmente li ho provati e devo dire che il principale limite è rappresentato dalla perforazione diversa sul film 126 non corrispondente a quella del formato 35mm con problemi quindi di trascinamento e, nei casi più gravi, anche di rottura del meccanismo di avanzamento delle macchina fotografica.
Se invece trovate un apparecchio che utilizza pellicola Rapid, nessun problema purché sia gia dotato delle due cartucce o riusciate a procurarvele.

Basterà un normale spezzone di pellicola 35 mm da 70 centimetri di lunghezza. Anche se con la parte iniziale non sagomata, come nella versione originale, basterà smussare gli angoli all’estremità che avrete l’accortezza di introdurre, per un piccolo tratto, nella cartuccia ricevente in fase di caricamento della macchina.
Se la vostra fotocamera ha l’esposimetro ricordatevi di scegliere una pellicola coerente con il riscontro della cartuccia come prima descritto.
Sarete pronti per utilizzare il sistema Rapid.
L’anti Instamatic.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
Sitografia: https://petapixel.com/2015/04/19/the-original-selfie-stick-was-invented-in-the-1980s/
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