1954 Popular Photography: Graflex, Sylvania e Weston

Proseguiamo nella nostra lettura estiva di un numero del 1954 di Photography magazine testata di Popular Photography.

Sempre scorrendo le pubblicità mi sono soffermato su tre marchi che ho scelto perché caratterizzarono il mercato americano, non solo di quegli anni: Graflex con le sue folding medio e grande formato, icona del fotogiornalismo di cronaca, Sylvania per la curiosa storia di questa azienda che brevettò i flash usa e getta a lampade multiple ed infine Weston che ci ricorda Ansel Adams ed i primi esperimenti sul sistema zonale.

copertina del maggio 1954 di Photography Magazine

GRAFLEX

Se immaginiamo una fotocamera al collo di un reporter americano in ambientazioni che vanno dagli anni ’30 fino a tutti gli anni ’50 del secolo scorso, quella fotocamera è con buona probabilità una Graflex.

in questa pubblicità si nota la diversa tipologia di immagini rappresentate per l’utilizzo degli apparecchi Graflex, rispetto al taglio più prettamente fotogiornalistico; il colore è negli anni ’50 la nuova opportunità che abbraccia sia il mercato professionale sia quello amatoriale

Per quanto nella visione attuale, una folding medio o grande formato sia considerata ingombrante, macchinosa, decisamente non adatta per un uso dinamico, la particolare conformazione, la gamma di accessori prodotti per facilitarne l’uso anche in condizioni critiche e la conseguente grande diffusione, soprattutto negli Stati Uniti, fecero delle folding Graflex apparecchi iconici, soppiantati con grande ritardo, rispetto a quanto successe in Europa, da fotocamere di maggiore maneggiabilità e trasportabilità ma anche dal formato più contenuto.

Al di là del valore iconico, questi apparecchi hanno lasciato una traccia indelebile che ancora oggi troviamo nell’uso di macchine analogiche di grande formato. Basti pensare all’affermazione del sistema universale di innesto degli chassis, al progressivo affermarsi dei tagli in pollici delle pellicole piane a discapito di quelli a taglio metrico o al dorso Grafmatic che consente di precaricare sei pellicole piane 4×5 che vengono poi esposte grazie ad un meccanismo a scamotaggio che ricorda quello dei dorsi per fotocamere stereo a lastre 6×13 di inizio ‘900.

con il dorso Grafmatic 4×5 anche la Linhof Technika può essere utilizzata a mano libera con una autonomia di sei scatti, in alternativa al dorso per rulli 120 che oltre ad un formato decisamente più piccolo ha uno spessore tale da rendere poco agevole l’inquadratura con il mirino ausiliario e quasi impossibile l’uso del telemetro

Proprio quest’ultimo accessorio la dice lunga rispetto al tipo di utilizzo al quale erano destinate le Graflex rispetto, ad esempio, alle coetanee folding Linhof, diverse per caratteristiche, impostazione e, da un certo punto in poi, anche per finalità d’uso.

le pubblicità Linhof erano presenti in modo costante nella rivista; si noti la diversa e più didascalica impostazione che elenca in un lungo e fitto testo i vantaggi dell’apparecchio: un linguaggio pubblicitario che appare anacronistico anche per l’epoca

Personalmente sono un entusiasta dei dorsi Grafmatic per quanto il loro utilizzo non sia esente da inceppamenti o malfunzionamenti dovuti però in gran parte all’imperizia dell’utilizzatore.

Se volete approfondire il funzionamento di questi dorsi, non così semplici da reperire sul mercato dell’usato, trovate a questo link le spiegazioni dettagliate.

La ragione sociale Graflex, adottata probabilmente in onore del forte richiamo nominale della fotocamera più famosa, entra in vigore dal 1946 e la storia dell’azienda, piuttosto articolata, è caratterizzata da numerosi passaggi di proprietà che porteranno addirittura nel 1968 all’acquisizione da parte della Singer Corporation, famoso produttore di macchine da cucire.

Fondata nel 1887 a New York come Folmer and Schwing Manufacturing Company, dai cognomi dei due soci, l’azienda era specializzata nella lavorazione di metalli con una produzione che si sviluppa nei successivi decenni verso manufatti quali biciclette, sistemi di illuminazione prima a gas ed elettrici ed infine di fotocamere.

Acquisita nel 1909 da George Eastman, la società fu in seguito trasferita a Rochester, come Folmer&Schwing Division della Eastman Kodak Company che la vendette nel 1926 scorporando il ramo d’azienda attraverso la creazione di una nuova società denominata Folmer Graflex Corporation.

sulle folding Graflex si trovano spesso montati otturatori e ottiche Wollensak, altra eccellenza di Rochester fondata da due fratelli emigrati negli Stati Uniti a fine ‘800 dalla Germania

Le ragioni della vendita non sono note e potrebbero con buona probabilità riferirsi ad operazioni societarie interne alla complessa galassia di divisioni e partecipate che la Eastmann aveva già all’epoca.

Difficile stabilire se la dismissione, che varie fonti indicano come imposta senza specificare da chi o perché, fosse o meno guidata dalla normativa Antitrust che negli Stati Uniti, nella seconda metà degli anni ’20, aveva già all’attivo più di un trentennio di storia.

Nell 1956 Graflex divenne poi una Divisione della General Instrument Precision Company e trasferì i suoi uffici a Pittsford, nello stato di New York.

Durante la sua attività l’azienda produsse una vasta gamma di apparecchi, dalle reflex grande formato Speed Graphic e Crown Graphic, alle folding Graflex, sviluppando nel dopoguerra biottiche e fotocamere 35 mm fino ad arrivare, per queste ultime, allo sviluppo di una macchina ad avanzamento motorizzato tramite un particolare sistema di propulsione. La Graflex Graphic 35 Jet, descritta da Marco Cavina in questo interessante articolo.

Della Graflex si è inoltre parlato su SENSEI nell’articolo sulla Graflex Pacemacker Corona Graphic e nel video di Ruyichi sulla biottica Graflex 22.

pubblicità della biottica Graflex 22

Nel 1973 la Graflex viene acquisita dalla giapponese Toyo.

Un’ultima curiosità, per la realizzazione degli oggetti di scena del primo episodio di Star Wars, divenuto poi il quarto nella serie attuale, John Stears, al quale si deve tra l’altro anche la realizzazione degli effetti speciali della Aston Martin DB5 di James Bond, utilizzò per l’impugnatura della spada laser l’involucro del pacco batterie di un flash Graflex.

Che la forza sia con voi!

SYLVANIA

In Europa questo marchio ricorda le lampade flash usa e getta che tuttavia furono solo uno degli ambiti produttivi dell’azienda e, più recentemente, ricorda l’abbinamento con il marchio Osram.

La Hygrade Sylvania Corporation è stata costituita nel 1931 per fusione di tre società che operavano nel settore delle apparecchiature elettriche e nel 1939 l’azienda avvia la ricerca sulla prima lampada fluorescente tubolare che viene presentata lo stesso anno.

Dopo la fusione nel 1959 con la General Telephone per formare General Telephone and Electronics o GTE, sviluppa i cubi flash per fotocamere che rappresentarono il primo sistema a lampade flash multiple usa e getta.

nelle pubblicità Sylvania di quegli anni si trova spesso traccia dei concorsi a premi con in palio radio e televisori prodotti dall’azienda

La tecnologia dei cubi flash fu successivamente ceduta alla Kodak Company che come noto la applicò agli apparecchi della serie Instamatic.

l’insolito abbinamento di un cubo flash su Hasselblad 500C

Attraverso successive fusioni e acquisizioni, l’azienda si posiziona nel marcato delle forniture elettriche sviluppando la produzione di trasformatori, quadri elettrici e successivamente anche di elaboratori elettronici.

Nel 1993 GTE concentra l’attività nel settore delle telecomunicazioni riunendo le varie società affiliate europee, asiatiche e latinoamericane e abbandona l’attività di illuminazione cedendo la divisione nordamericana alla Osram GmbH portando così alla costituzione di Osram Sylvania.

Tra le molte curiosità che contraddistinguono le variegate vicende societarie del marchio Sylvania ve ne sono un paio che vale la pena di citare.

La prima riguarda il contributo fornito dalla società statunitense alla progettazione nel 1959 del linguaggio di programmazione Common Business-Oriented Language, meglio noto come COBOL, che fu espressamente ideato per uso commerciale aziendale ed ha tutt’oggi applicazione in alcuni ambiti, in particolare in quello bancario.

La seconda curiosità riguarda l’esplosione avvenuta il 2 luglio 1956, presso la struttura della Sylvania Electric Products a Bayside nel Queens.

Nell’incidente furono coinvolti residui delle lavorazioni contenenti Torio, sprigionando così sostanze potenzialmente radioattive.

A seguito dell’esplosione ci furono nove feriti e una vittima che morì un dopo poco più di un mese dalla data dell’incidente a causa delle ustioni riportate, benché i familiari insistettero per molto tempo sulla possibilità che il decesso fosse avvenuto per avvelenamento da Torio.

A seguito del fatto, furono condotti accertamenti su tutto il personale in forza presso la struttura per verificare su vi fossero tracce di contaminazione, il che avrebbe classificato l’evento come un caso di incidente nucleare.

stralcio dell’articolo apparso sul Pittsburgh Post-Gazette del 3 luglio 1956

WESTON

La Weston Electric ebbe tra i soci fondatori Edward Weston, omonimo del famoso fotografo americano, nato in Inghilterra nel 1850, trasferitosi negli 1870 negli Stati Uniti dove condusse approfonditi studi sulla generazione di corrente elettrica fino a divenire il principale concorrente in ambito scientifico di Thomas Alva Edison nello sviluppo dell’industria di generazione e distribuzione della corrente elettrica.

Tra la produzione dell’azienda americana troviamo già all’inizio degli anni ’20 del ‘900 alcuni prototipi di misuratori dell’intensità di luce che ebbero ben presto un impiego in fotografia per il calcolo dell’esposizione dei materiali sensibili.

Sino ad allora era prevalso l’uso di regoli calcolatori dell’esposizione che restituivano i valori in tempo e diaframma sulla base di informazioni che riguardavano ad esempio, il periodo dell’anno, la posizione geografica, l’ora del giorno e le condizioni meteo, nonché il posizionamento del soggetto e la tipologia di pellicola utilizzati.

Vi erano poi i cosiddetti esposimetri ad estinzione, dei quali ho fatto cenno nell’articolo sulla GaMi 16 prodotta dalle Officine Galileo di Milano, che erano sistemi di misurazione in grado di restituire i valori di esposizione sulla base della lettura della luminosità della scena, effettuata attraverso il filtraggio della luce.

Costituiti di norma da un tubo, ve ne sono di forme e fogge tra le più strane e particolari

In quelle tubolari è generalmente posizionato, ad una delle due estremità, un oculare attraverso il quale è possibile individuare, sulla base della differente intensità della filtratura, l’indice numerico più leggibile che deve poi essere riportato su una tabella, di norma incisa all’esterno del dispositivo.

Sia per i regoli sia per i sistemi ad estinzione, si tratta di metodi di misurazione che non necessitano di alcuna tensione o alimentazione elettrica per il loro funzionamento.

La scoperta di materiali che esposti ad una fonte di illuminazione, fossero in grado di generare una carica elettrica di intensità proporzionale al livello di luce, trovò applicazione anche in ambito fotografico in un periodo nel quale, l’evoluzione dei materiali sensibili e la necessità di ottenere buoni risultati in diverse condizioni di illuminazione, spinse i produttori, americani quanto europei, a sviluppare dagli anni ’30 la generazione degli esposimetri che utilizzavano il Selenio come elemento costitutivo della cellula fotosensibile.

l’utilizzo di esposimetri che restituissero valori affidabili, si afferma ancor più nel dopoguerra con l’avvento del colore la cui corretta esposizione determina anche la maggior brillantezza e risalto della gamma cromatica dell’immagine, qui la pubblicità del Sixtomat Gossen che incorporava anche un rudimentale ma efficace sistema di lettura della temperatura di colore della scena

Anche in questo caso non vi era necessità di alcuna alimentazione elettrica che peraltro all’epoca avrebbe costituito un problema giacché la miniaturizzazione delle fonti di energia, quali ad esempio le batterie, era ancora in là da venire.

Gli esposimetri al Selenio Weston Master, prodotti per l’appunto dalla Weston Electric a partire dagli anni ‘30, per quanto non detenessero alcun primato in termini di scelta tecnologica o di particolare soluzione adottata, furono tuttavia i più diffusi e longevi soprattutto nel mercato americano, attraverso una serie di modelli molto articolata che mantenne nella sua evoluzione la stessa impostazione estetica e una simile modalità d’uso.

tra i big statunitensi che svilupparono esposimetri, troviamo anche la General Electric la cui pubblicità rende bene il valore aggiunto di una ragionata lettura esposimetrica di un soggetto scuro nella neve

La loro iconicità è dovuta anche al fatto che il fotografo Americano Ansel Adams adottò i Weston Master nell’ambito dello sviluppo della teoria sul sistema zonale.

È interessante a questo proposito ricordare che i primi esposimetri Weston non restituivano i valori di esposizione in tempo e diaframma ma il grado di intensità della luce con il sistema di misurazione in candele per piede o foot candle.

Applicavano quindi un sistema analogo a quello dei luximetri che misurano la luce, incidente o riflessa, utilizzando come unità di misura i Lux.

Il passo successivo fu quello di applicare un regolo in grado di tradurre il valore della luminanza misurata in coppie tempo/diaframma sulla base della sensibilità della pellicola utilizzata.

I Weston Master consentivano inoltre di effettuare sia la lettura incidente sia quella riflessa mediante l’utilizzo del disco opalino da posizionare o meno sulla cellula.

Negli anni ’50 il sistema di calcolo fu ulteriormente sofisticato attraverso l’introduzione di un contatore universale espresso in scala EV o Exposure Value, sistema del quale ho parlato negli articoli sugli esposimetri per Rolleiflex.

Per quanto arrivati ad oggi non sempre funzionanti e di certo anche qualora funzionanti, non più utilizzabili in modo affidabile, i Weston Master, soprattutto i primi tre modelli, sono oggetti molto affascinanti e dal particolare design, evocativo del contributo che seppero dare allo sviluppo dei sistemi di calcolo dell’esposizione.

Questa serie di esposimetri, come del resto un’altra icona di questi apparecchi, il Sekonic Studio de Luxe, non adottarono mai sistemi di lettura alimentati a batteria.

Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com

prosegue con Bertram, Koni Omega e Realist

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