Non so voi, ma io subisco il fascino della riscoperta di vecchi libri o riviste tenuti magari in cantina o in una seconda casa frequentata per le vacanze.
Succede così che, deportato al mare come mi capita in questo periodo dell’anno, anziché abbandonarmi alle frivolezze della vita da spiaggia, mi trovo spesso rintanato a casa, in terrazzo, che è pur sempre il posto più fresco e ventilato in zona, a sfogliare materiale che tengo da parte qui per alimentare le letture estive.
Tra questa varia letteratura vi sono i doppioni della mia raccolta dei racconti di Maigret editi da Adelphi, qualche vecchia edizione dei gialli dei ragazzi di Mondadori, Nancy Drew e Hardy Boys i miei preferiti, una varietà di Camilleri, Malvaldi, Recami e Manzini, più un numero imprecisato di libri e vecchie riviste di fotografia.
Tra queste ultime vi sono un paio di annate di Popular Photography che risalgono alla prima metà degli anni’50, che a causa del forte odore di muffa che emanano furono relegate in cantina qualche anno fa.
Ripescate ora e rilette a distanza di così tanto tempo dalla pubblicazione, ne emergono elementi interessanti non solo nelle nutrite pagine di tecnica, del resto in Italia Progresso Fotografico dell’epoca non era certo da meno, ma soprattutto nelle pubblicità, specchio del mercato americano di prodotti fotografici di quegli anni.
Popuolar Photography nasce nel 1937 a New York ed è stata la più nota e diffusa rivista di fotografia e tecnica fotografica americana sino al 2017 quando ha interrotto le pubblicazioni.
Ho quindi pescato un numero a caso di Photography Magazine, edito sempre dalla testata statunitense, del luglio 1954 che sfoglieremo ora insieme in una pausa di relax di un agosto del 2022.
Quasi settant’anni dopo.

Tra il mio materiale, ho pressoché tutte le annate di Progresso Fotografico dalla fine degli anni ’40 ad inizio anni ’70 e quello che subito rilevo, se prendo a riferimento la rivista italiana in un numero di quegli anni, è lo stesso schema che mette la pubblicità nella prima e nell’ultima parte della rivista, in entrambi casi con un nutrito numero di pagine.
Nella rivista americana spicca in aggiunta un altrettanto nutrito inserto con le inserzioni dei commercianti di materiale fotografico che negli USA, anche in relazione alla vastità del mercato, erano spesso diretti importatori del materiale europeo prima e di quello giapponese poi, fino a diventarne, in alcuni casi, gli importatori ufficiali.
In Italia questo genere di promozione arriverà, con questo formato, molti anni dopo e sarà legata prevalentemente all’usato; basti pensare all’inserto rosa della rivista Tutti Fotografi, in un format ibrido che univa le inserzioni di privati e quelle più articolate e con maggiore visibilità dei commercianti.
Su Photography Magazine, l’inserto delle inserzioni espone in modo dettasgliato anche i prezzi di vendita di apparecchi e ottiche consentendo interessanti comparazioni sulle quali ritornerò in seguito.
Nel 1954 la rivista americana pubblica per il 60% pagine pubblicitarie di prodotti americani, per il 35% di prodotti europei, per la quasi totalità tedeschi, e solo per il 5% di giapponesi.
Un po’ di sano nazionalismo lo troviamo anche nei numeri di Progresso dell’epoca che riportano mediamente la metà delle pagine pubblicitarie riferite a prodotti ottico-fotografici italiani e per la restante parte di quelli tedeschi.
La seconda metà degli anni ’50 vede il declino di molte realtà produttive italiane e questo si ripercuoterà nei minori volumi pubblicitari a vantaggio di quelli dell’emergente industria nipponica.
Immergiamoci quindi nelle pubblicità e nella storia delle aziende che facevano promozione dei loro prodotti attraverso le pagine del periodico americano.
ANSCO
La scelta di Agfa di presidiare il mercato d’oltre oceano fu in controtendenza rispetto alle altre big tedesche che in alcuni casi arrivarono ad aprire tra fine ‘800 ed inizi del ‘900 vere e proprie emanazioni di casa madre nel mercato americano.
Famoso è il caso di Leitz che arrivò anche a produrre accessori ed ottiche tramite la filiale di New York.
Per Agfa la scelta fu quella di acquisire nel 1928, più precisamente venne effettuata una operazione societaria di fusione, l’americana ANSCO con sede a Binghamton nello stato di New York.

L’azienda fondata nel 1842 sviluppò a fine ‘800, contemporaneamente a Kodak, la tecnica di produzione delle dry plates ma fu battuta sul tempo dai brevetti depositati da George Eastmann.
Già produttore di pellicole, la ANSCO arricchì il proprio catalogo con la produzione di apparecchi Agfa.
Nella pubblicità vediamo una Super Isolette e una Silette ridenominate rispettivamente Super Speedex e Memar.

Sul finire della Seconda guerra mondiale il governo americano confiscò la proprietà dell’azienda che detenne fino alla fusione, avvenuta negli anni ’50, con La General Aniline and Film meglio nota come GAF.
Agfa, che nel dopoguerra perse anche lo stabilimento di Wolfen passato sotto mano sovietica, si fonderà nel 1964 con la belga Gevaert per dar vita ad un nuova realtà produttiva, arrivata sino ai nostri giorni.
A testimonianza dei movimenti strategici di quegli anni nella produzione di pellicola, giova ricordare che sempre nel 1964 l’americana 3M acquisirà dall’Istituto Finanziario Industriale la Ferrania.
ANSCO è nota anche per aver rimarchiato, ad inizio anni ’60, le Minolta Hi -Matic importate negli Stati Uniti con la denominazione Autoset.
Una ANSCO Autoset, opportunamente adattata, fu portata da John Glenn nella prima missione spaziale in orbita, la Mercury Atlas 6 del 20 febbraio 1962, dando il via all’utilizzo di fotocamere a bordo delle navicelle N.A.S.A.

POLAROID
Questo marchio ci ricorda di norma due cose, la fotografia a sviluppo istantaneo e gli occhiali da sole, entrambe espressioni della grande capacità imprenditoriale e innovativa del suo fondatore Edward Herbert Land che nel 1937 creò, a Cambridge nel Massachusetts, la Polaroid Corporation per la produzione di oggetti legati alla tecnologia della polarizzazione che egli aveva studiato e sviluppato negli anni precedenti.

Land fu un pioniere in questo ambito e guidò l’azienda per oltre quarant’anni depositando un nutrito numero di brevetti.
Tra questi, alla fine degli anni’40, benché non strettamente attinente alla specializzazione dell’azienda, depositò quelli relativi ad un particolare tipo di pellicola che consentiva di ottenere istantanee con un processo di sviluppo attivabile immediatamente dopo lo scatto.
Si narra che Land fu ispirato dal desiderio di avere nel più breve tempo possibile ricordi dei momenti più belli della figlia e, questo fatto, vero o meno, fece sì che si dedicasse, con la caparbietà che gli era propria, alla progettazione del sistema che a tutt’oggi resta l’unico in grado di produrre una immagine finita immediatamente dopo lo scatto, senza l’ausilio di particolari sistemi di stampa.
Per quanto con l’avvento del digitale, la tecnologia abbia negli ultimi decenni sviluppato piccole stampanti portatili, spesso integrate negli apparecchi, com’è ad esempio il caso di fotocamere prodotte a marchio Polaroid stesso, nessuna di queste soluzioni ha mai eguagliato la semplicità, la qualità e la compattezza del sistema ideato da Land.
Con buona probabilità, per il forte contributo dato al progetto, le fotocamere prodotte da Polaroid almeno fino all’inizio degli anni ’70 riportano la sigla Land Camera.
L’azienda visse momenti di grande successo grazie alle applicazioni fotografiche a sviluppo istantaneo, la cui tecnologia venne via via evoluta fino a raggiungere il suo apice, dall’inizio degli anni ’70, con la generazione di apparecchi della serie SX, folding reflex con il nuovo formato di pellicola la cui cartuccia contenitore aveva anche la funzione di alimentare l’apparecchio tramite una batteria incorporata.
Semplice da utilizzare, con la visione reflex che consentiva una messa a fuoco accurata, dotata di esposizione automatica con possibilità di compensazione, compatta e ben trasportabile una volta chiusa, la serie SX è tutt’oggi molto ricercata e, con qualche accortezza rispetto al modello, ancora utilizzabile con le pellicole prima marchiate Impossible, poi Polaroid Original ed attualmente Polaroid.
L’azienda tuttavia visse sempre in quegli anni momenti di grande difficoltà sopraggiunti a partire dal 1976, prima con il lancio da parte di Kodak del proprio sistema a sviluppo istantaneo che vide le due aziende impegnate per un decennio in un’aspra diatriba giudiziaria che, pur terminata con la condanna di Kodak ad interrompere la commercializzazione del proprio materiale, stabilì un indennizzo economico molto inferiore alla richiesta avanzata da Polaroid, indennizzo in grado di compensare solo in minima parte il danno economico subito.

Nel 1977 avvenne poi il lancio del Polavision che, come alcuni ricorderanno, era un sistema di riprese cine a sviluppo immediato, costituito da cartucce contenenti pellicola identica al formato Super 8 ma con metraggio di circa della metà inferiore alle cartucce tradizionali.
La pellicola Polavision era utilizzabile solo con le cineprese prodotte dalla Eumig per conto di Polaroid.
Le cartucce venivano sviluppate dall’utente stesso attraverso un sistema che non solo ricorda il successivo sistema Polachrome per pellicole 35mm ma che di questo è, di fatto, il precursore ed ispiratore.
Le cartucce con il film sviluppato potevano essere utilizzate solo con gli speciali visori Polaroid che ricordano gli apparecchi TV dell’epoca.
Questo sistema che comportò massicci investimenti in ricerca e sviluppo determinò ingenti perdite economiche per l’azienda americana anche in ragione del calo di interesse che negli anni ’80 ebbe il mondo del film amatoriale su pellicola, insidiato dalla nascita dei primi sistemi video.
prosegue con Graflex, Sylvania e Weston
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
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