In questa parte ho scelto la pubblicità di tre marchi accomunati dall’aver sviluppato fotocamere ispirandosi alla potenzialità del mercato americano, pur non rientrando, questo tipo di produzione, tra quella normalmente svolta dalle aziende.

Bertram, azienda tedesca tradizionalmente produttore di esposimetri, che all’inizio degli anni ’50 presenta una fotocamera disegnata sulla falsa riga delle folding Linhof e Graflex, che per certi versi è antesignana, unitamente alla Omega 120, che vedremo ora, dei modelli Linhof e Mamiya degli anni seguenti.
Abbiamo poi I fratelli Simmon, produttori americani di ingranditori, con la macchina fotografica Omega 120, ideata negli Stati Uniti ma successivamente prodotta, in collaborazione con Konica, in Giappone, che introduce, rispetto a Graflex e a Bertram, il concetto di corpo rigido al posto del classico folding.
Da ultimo la David White, tradizionalmente produttore di apparecchi per topografia, che alla fine degli anni ’40 presenta la Realist, una fotocamera stereo per pellicola 35 mm che stabilirà nei decenni seguenti lo standard del formato 3D, detto anche formato Realist.
BERTRAM
La Bertram, più nota per il marchio BEWI, è un’azienda tedesca produttrice di esposimetri fondata a Monaco nel 1919 da Ludwig Leiner ed Ernst Bertram, inizialmente per la produzione di otturatori per fotocamere.
Nel 1928 Leiner lascia la società ed al suo posto subentra Paul Will con la cui iniziale del cognome verrà composto il marchio BErtram Will, ovvero BEWI. Due anni dopo prende il via la produzione di esposimetri con il primo modello risalente al 1930, un calcolatore ad estinzione elaborato da Ernst Bertram stesso.

Nel 1935 fu presentato il primo esposimetro dotato di cellula fotosensibile al selenio denominato l’Elektro-BEWI progettato dal fratello di Ernst, Wilhelm Bertram.

All’inizio degli anni ’50 accaddero due fatti grossomodo in contemporanea: il subentro di Wilhelm Bertram che prese il posto di Paul Will, la ragione sociale cambio in E. & W. Bertram pur mantenendo per la produzione degli esposimetri il vecchio marchio BEWI, e l’arrivo di Ernst Rumpoldin, proveniente da Linhof, con il contributo del quale venne sviluppata nel 1951 la Bertram Kamera che ebbe un discreto successo negli Stati Uniti, introducendo, come facevo cenno in apertura dell’articolo, alcuni standard che troveremo poi nella successiva produzione di altri marchi.

La fotocamera Bertram è stata prodotta dal 1951 al 1954 benché alcune fonti riportino apparecchi datati sino al 1956 anno nel quale Rumpoldin passò al reparto fotocamere di Agfa e con buona probabilità, a seguito della sua uscita, non venne più sviluppato in Bertram alcun progetto riferito ad una fotocamera.
Potrebbe essere accaduto anche che, a seguito dell’abbandono dello sviluppo della BC I, nome codificato della Bertanm Camera I, Rumpoldin avesse deciso di lasciare l’azienda di Monaco alla volta di Agfa.
Contrariamente a quanto è possibile intuire osservando l’apparecchio chiuso, non si tratta di una fotocamera a corpo rigido. La piastra anteriore, sulla quale si innesta l’ottica funge, in posizione di riposo, anche da coperchio del soffietto collegato al corpo macchina.
La BC I Disponeva sin dall’origine di alcuni accessori quali chassis per pellicole piane 6×9, dorsi per rulli 120 e per pellicola 35 mm.
Le ottiche intercambiabili, con innesto a baionetta, erano accoppiabili automaticamente al telemetro e le tre lenti standard, uno Xenar 75 mm 3.5, uno Xenar 105 mm 4.5 e un Tele-Xenar f180 mm 5.5, venivano montate sull’otturatore centrale del corpo macchina che aveva velocità da 1 secondo a 1/400 di secondo ed avevano integrate nel mirino le rispettive cornici.
Interessante osservare come questa scelta fosse in controtendenza rispetto al comune posizionamento dell’otturatore su ciascuna ottica.

Appare abbastanza evidente la maggiore versatilità della fotocamera rispetto alla tradizionali folding Graflex come del resto è evidente quanto il mercato americano potesse fornire in termini di potenzialità di sviluppo, visto che in Europa la Bertram condivideva la piazza con l’ingombrante presenza di Linhof.
Per quanto non direttamente pertinente con la Bertam Camera, la più articolata e tipica produzione di esposimetri che si sviluppa negli anni ’50 merita due parole per il successo sia sul mercato europeo sia su quello americano, per la vasta gamma e le interessanti soluzioni, alcune delle quali furono anche adottate da marchi come Voigtländer per le proprie fotocamere quali ad esempio la Vito BL, che in una versione integrò il BEWI Automat, o la Vitessa L.
In queste immagini, per cortesia di Sandro Giorgetti, alcuni esemplari della produzione Bertram a marchio BEWI.

OMEGA 120
Quando nel 1964 iniziò la produzione della Koni Omega in collaborazione con Konica, , fu inserita nel libretto di istruzioni una premessa, forse per giustificare la riedizione di una fotocamera che all’epoca della sua uscita suscito parecchio interesse ma non ebbe buon successo commerciale.
Di seguito il testo.
L’originale Omega 120 è stato un successo tecnico ma una delusione commerciale. Stranamente, quando è stato interrotta la produzione nel 1958, la crescente popolarità di Kodacolor e di altre pellicole a colori ha creato una domanda continua per una fotocamera di questo tipo, perché il negativo a colori da 35 mm non era soddisfacente per molti lavori di taglio professionale. È vero, c’erano e ci sono molte buone fotocamere reflex a obiettivo singolo e doppio che utilizzano pellicole 120, ma le fotocamere reflex non sono la risposta migliore per molti tipi di fotografia. I costi di manodopera sempre crescenti e i prezzi sempre più elevati di obiettivi e otturatori hanno reso impossibile produrre nuovamente la fotocamera in modo competitivo negli Stati Uniti. Alla ricerca di un produttore all’estero, abbiamo avuto la fortuna di collaborare con Konishiroku Photo Industry Co., Ltd., un’azienda che iniziò a produrre macchine fotografiche nel 1882, una delle più antiche e prestigiose manifatture fotografiche del Giappone.

La breve introduzione prosegue poi così:
Con oltre 4000 dipendenti, Konishiroku non produce solo le famose fotocamere Konica, ma anche gli altrettanto famosi obiettivi Hexanon, oltre che prodotti sensibili. Pertanto, Konishiroku potrebbe soddisfare le nostre esigenze meccaniche e ottiche e, inoltre, potrebbe contribuire con la propria nutrita esperienza maturata come produttore di fotocamere.
Di fatto accadde proprio che la nuova edizione della fotocamera fu sviluppata in numerose varianti introducendo anche il concetto di modularità grazie a ottiche, dorsi e mirini intercambiabili.
Il progetto originario della Omega 120 fu sviluppato da Alfred Simmon su invito della U.S. Navy già negli anni ’40, con una storia in apparenza molto simile a quella che coinvolse Victor Hasselblad nella progettazione di apparecchi fotografici per l’aviazione svedese sempre nel corso del secondo conflitto mondiale.

Anche in questo caso la fotocamera doveva essere robusta e affidabile, comoda da usare come una fotocamera da 35 mm, ma con i vantaggi di un formato maggiore.
A differenza però di Hasselblad che già nel 1948 andrà a New York a presentare la nuova fotocamera 1600F, che a dire il vero non condivideva, almeno direttamente, nessuna delle soluzioni adottate sui precedenti modelli ad uso aereonautico, per l’Omega 120, occorre attendere sino al marzo 1954 per il lancio da parte della Simmon Bros. del nuovo apparecchio, dotato di telemetro accoppiato e obiettivo Omicron da 90 mm f/3.5 su otturatore sincronizzato Wollensak Rapax con velocità da 1 secondo a 1/400 si secondo più la posa B.

Non sono stato in grado di risalire in modo certo agli esemplari di produzione bellica, ammesso ne siano stati prodotti, e non sono quindi in grado di dire quanto e se queste abbiano poi effettivamente ispirato il progetto della Omega, sta di fatto che Il modello e le sue varianti rimasero in produzione solo per quattro anni ed un progetto per certi versi interessante ed innovativo rimase poi per altri sei anni fermo in attesa di trovare un’azienda in grado di rimetterlo in produzione a condizioni profittevoli.

Una breve e curiosa parentesi sulle valigette Halliburton.
Erle Halliburtron fondatore dell’omonima azienda americana operante nell’industria estrattiva, aveva commissionato nel 1938 ad un gruppo di ingegneri aeronautici la realizzazione di una la valigetta in alluminio per costudire la strumentazione tecnica non in grado di sopportare le asperità dei viaggi attraverso i giacimenti petroliferi del Texas. Il buon successo dell’iniziativa fu sfruttato commercialmente dall’azienda per la produzione in serie di queste valigette, divenute poi sinonimo di robustezza e qualità costruttiva.
Il marchio è stato nel recente passato ceduto ad un gruppo giapponese che prosegue nella commercializzazione degli articoli a marchio Zero Halliburton.
Torniamo alla Omega 120.
Nel mercato americano, da sempre nell’immaginario collettivo simbolo delle infinite opportunità, non ebbero vita facile i nuovi produttori di fotocamere che si affacciarono negli anni del secondo dopoguerra.
Questo tipo di produzione soprattutto se sviluppato nel distretto di New York, rendeva quasi obbligato l’approvvigionamento di ottiche e otturatori da Wollensak che, come ho raccontato nell’articolo sull’esperienza statunitense di Bogopolsky al secolo Bolsey, consentiva deroghe di prezzo a fronte di minori controlli di qualità e di conseguenza a prodotti con maggiori problematiche di funzionamento.
Un comportamento che sarebbe stato giudicato inammissibile dalle aziende tedesche del settore.
I motivi del fallimento dell’esperienza Omega furono molto simili a quelli della Bolsey Corporation: aumento dei costi delle materie prime e della manodopera, crescita della tassazione governativa, problematiche di funzionamento che costringevano i produttori a sopportare costi di assistenza spropositati e, da ultimo, almeno per Bolsey, una politica di prezzo dei diretti concorrenti che misero furi mercato le fotocamere dell’industriale di origini ucraine.
A metà anni ’50 quando una Bolsey B era reclamizzata al costo di 79 dollari, Graflex abbassò il prezzo della Ciro 35 a 59 dollari.
È quindi meglio comprensibile ora la presa di distanza ispirata con buona probabilità da Konica nella prefazione del libretto di Istruzioni della Koni Omega del 1964.

STEREO REALIST
Se negli anni ’50 la fotografia stereo visse una seconda giovinezza, il merito è dovuto alla fotocamera prodotta dalla David White Corporation di Milwaukee a valere dal 1947, che consacrò il formato 35mm al mondo della foto 3D dopo una egemonia, fino a tutti agli anni 30, delle lastre 9×13 e dei rulli 120 con il doppio fotogramma 6×6, rulli che troviamo ad esempio nella famosa Rolleidoskop prodotta dalla Franke e Heidecke alla quale dobbiamo alla fine degli anni ’20 la nascita della biottica Rolleiflex.
Per quanto la Realist non fu la prima fotocamera stereo ad adottare pellicole 35mm, già nel 1938 ad esempio la francese Richard aveva presentato la Verascope F40, fu di certo quella che introdusse e consolidò un nuovo standard che viene tutt’ora chiamato formato Realist.

La Verascope F40 ad esempio, fotocamera che adoro, produce una coppia di fotogrammi 24×30 mm mentre lo standard Realist ne produce di formato 24×24 mm.

Per i dettagli sulla fotografia stereo rimando al contenuto di questo articolo.
La Realist nasce da una idea di Seton I. Rochwite, appassionato di fotocamere stereo, che già nel 1929 progetta e poi sviluppa nel decennio successivo un apparecchio 3D per pellicola 35 mm, fino alla realizzazione di una versione adatta alla produzione industriale.
Il primo prototipo, pronto nel 1940, fu mostrato alla David White Corporation che, si mostrò interessata all’idea.
Rochwite fu quindi assunto nel 1943 per il perfezionamento del progetto, storia simile a quella di Heinz Waaske in Rollei per il progetto della 35.
Interessante notare che la David White Corporation iniziò a pubblicizzare su alcune riviste di fotografia notizie del modello, battezzato Stereo Realist, già nel 1945 sebbene la versione definitiva dell’apparecchio fu commercializzato solo nel 1947.
Sarà però dal 1945 che l’azienda di Milwaukee inizierà a depositare i brevetti di alcune delle soluzioni che costituiranno poi lo standard Realist, proseguendo sino ai primi anni ’50 come mostrano le immagini seguenti.


Questo fattore, tipico di una azienda abituata ad operare nella produzione di strumentazione di precisione, in parte spiega perché nessuno dei competitor americani dell’epoca in ambito fotografico intervenne battendo sul tempo l’idea di Rochwite.
Una diversa lettura degli eventi evidenzia, molto più semplicemente, che nessuno intervenne perché il travolgente successo degli anni seguenti non era poi così prevedibile non solo dal mercato ma con buona probabilità nemmeno dalla David White.
Occorre poi dire che il successo commerciale della David White Company con la Stereo Realist fu imputabile anche alla vasta gamma di accessori a corredo della fotocamera per la quale erano disponibili speciali visori, e telaietti, proiettori ad immagine polarizzata, taglia pellicole, strumenti per il montaggio delle diapositive, flash e custodie e nonché, cosa che mi ha sempre affascinato, valigette kit con tutto l’occorrente per passare dalla pellicola alle immagini pronte per la visualizzazione.
La popolarità del sistema Realist fu tale che i diretti concorrenti quali Revere, Bell e Howell, Kodak, ed in Europa ad esempio Wirgin, indirizzarono la produzione delle loro fotocamere su questo formato.
I modelli prodotti per tutti gli anni ’50, per quanto con caratteristiche in alcuni casi anche migliori della Realist o di prezzo più competitivo, non raggiunsero mai lo sviluppo di vendite della fotocamera di Milwaukee, ciò anche in ragione dell’intempestività di alcune aziende che tardarono anni prima di presentare i loro prodotti, come fu per Kodak che attese il 1954 per commercializzare la propria Stereo Camera.

Giova ricordare che la Kodak Stereo camera fu, almeno dal mio punto di vista, la miglior fotocamere di formato Realist per rapporto qualità prezzo e semplicità d’uso, eppure nonostante il buon successo commerciale non raggiunse mai il volume di vendite della Stereo Realist
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
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