I quattro fotografi morti in elicottero.
Il 10 Febbraio 1971, un elicottero dell’esercito del Viet Nam del Sud, fu colpito sui cieli del Laos dal fuoco nemico ed esplose in una palla di fuoco, uccidendo quattro grandi fotografi di guerra: tra i dispersi c’erano due vincitori del premio Robert Capa, Larry Burrows della rivista LIFE ed Henri Huet di Associated Press. Con loro, Kent Potter di United Press International e Keisaburo Shimamoto di Newsweek e Pan-Asia Newspaper Alliance. Al momento dello schianto, i quattro fotografi seguivano gli sviluppi dell’Operazione Lam Son 719; una massiccia invasione corazzata in Laos da parte delle forze sudvietnamite, contro l’esercito popolare nordvietnamita e il Pathet Lao, con l’intenzione di interdire e recidere la rete di approvvigionamento del Viet Nam del Nord, l’essenziale canale di rifornimento di Hanoi verso meridione, attraverso il cosiddetto sentiero di Ho Chi Minh.
Nell’elicottero Huey, morirono insieme a loro sette militari dell’esercito sudvietnamita, tra i quali due ufficiali, un fotografo militare, il navigatore e il pilota.
Quando la guerra finì, quattro anni dopo, la zona di guerra fu chiusa e l’incidente in elicottero svanì dai titoli dei giornali.
Continua dalla prima parte, dalla seconda parte. e dalla terza parte.
Operation Lam Son 719. Ultimo incarico. Ultimi scatti.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
5 Febbraio 1971: un blindo M113 americano sulla Route 9 guida una colonna di blindati sudvietnamiti, mentre si accostano al confine, prima dell’invasione del Laos.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
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Febbraio 1971: genieri americani della 59a Compagnia preparano un tunnel per i fanti sudvietnamiti.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
4 Febbraio 1971: soldati americani si preparano ad aiutare i sudvietnamiti per l’invasione del Laos in attesa della prossimale Operation Lam Son 719.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
4 Febbraio 1971. La 1a Divisione Corazzata sudvietnamita si prepara a muovere verso la base LZ ALPHA, a sud della Route 9.
Fonti ufficiali dell’ARVN dichiararono che durante l’Operation Lam Son 719, la 1a Divisione Corazzata perse 491 soldati, ma gli Ufficiali della Divisione in conversazioni confidenziali con Ufficiali americani dissero di aver perso in Laos almeno 775 dei loro uomini.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
4 Febbraio 1971 Una colonna di mezzi americani della 59a Compagnia sulla Route 9.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
5 Febbraio 1971: genieri americani della 59a Compagnia aiutano gli alleati sudvietnamiti scavando tunnel, nell’imminente invasione del Laos.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
6 Febbraio 1971. Scatto successivo, a colori.
Genieri americani del 59° coprono i tunnel, appena scavati, con i bandoni semi cilindrici in metallo che verranno poi a loro volta ricoperti di terra e sterpaglie per il mimetismo.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
6 Febbraio 1971. Prima dell’invasione del Laos Briefing di ufficiali sudvietnamiti e ufficiali americani, entrambi delle truppe corazzate.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
6 Febbraio 1971. Capitano dei carristi sudvietnamiti si intrattiene con la stampa.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
7 Febbraio 1971. Lao Bao, Sud Vietnam, al confine con il Laos.
Occhio a questa foto, la ritroveremo più avanti, in bianco e nero, con i nostri quattro amici reporter. Il cartello voleva avvertire che da quel punto in poi solo le truppe sudvietnamite potevano accedere, in previsione dell’Operation Lam Son 719. Naturalmente con fare burlesco i soldati americani si scattano foto proprio dietro al cartello. Due militari sorreggono una bandiera con su scritto “59 TH”.
Perchè non superare quel limite.
In effetti anche se gli americani cooperavano all’operazione degli alleati, dovevano mantenersi a debita distanza dal confine laotiano per non incorrere in ulteriori incidenti diplomatici con il Laos che di li a poco veniva invaso dalle truppe sudvietnamite. Bombardamenti e sconfinamenti tattici di operazioni clandestine in territorio laotiano da parte di truppe speciali americane c’erano e continueranno ad esserci anche dopo, per contrastare le perniciose infiltrazioni di Viet Cong e soldati nordvietnamiti, che penetrati in Laos costituivano una “spina nel fianco” sul fronte ovest della linea del fuoco. Gli USA inoltre non avevano alcun interesse ad allargare il conflitto entrando ufficialmente in guerra con il Laos, per non aggiungere altra “benzina sul fuoco” della guerra e deteriorare ulteriormente i rapporti politici internazionali con gli stati del blocco internazionale comunista che appoggiavano il Viet Nam del Nord. Mentre il conflitto è ampiamente ricordato come uno scontro tra il Viet Nam del Nord e Viet Nam del Sud, con gli Stati Uniti che intervengono a nome di quest’ultimo, entrambe le fazioni hanno comunque goduto di un notevole aiuto da parte di una miriade di altre potenze mondiali, grandi e piccole. Avrebbe potuto essere una “guerra americana” in sé, ma gli Stati Uniti sono stati raggiunti da altri sei alleati nella lotta per sconfiggere il dilagare del comunismo nel sud est asiatico, come le dinamiche della “guerra fredda” richiedevano.
Come si vede dalla cartina, Lao Bao era situato proprio al confine tra Viet Nam del Sud e Laos. Le frecce bianche tratteggiate, ben illustrate, ci indicano il cosiddetto “Ho Chi Minh Trail Network”, dispiegato in diverse direttrici che si dipanavano nel Laos per propagarsi verso il sud Viet Nam. Esse costituivano in realtà non un solo sentiero ma una rete di sentieri, per l’approvvigionamento logistico di armi e vettovaglie, in favore dei soldati del Viet Nam del Nord PAVN e guerriglieri Viet Cong.
Nella foto di Larry Burrows, due soldati sostengono una bandiera bianca con la scritta in rosso “59 TH” indicante la 59th Land Clearing Company “Bushwackers”59a Compagnia del Genio Pionieri dell’esercito americano, destinata alla bonifica del suolo, attraverso l’utilizzo di mezzi pesanti per il movimento terra: allargare strade e spianarle; togliere alberi e arbusti; preparare il terreno per campi base; etc.
I reparti della logistica in ogni esercito sono necessari per il corretto funzionamento delle operazioni militari, senza di essi non sarebbe possibile nessun intervento. Anche in tempo di pace ci si può accorgere dell’importanza che rivestono, basti pensare all’odierna emergenza in cui versa la nazione a causa dell’epidemia da Covid 19. In pochi giorni interi ospedali da campo sono stati allestiti a tempo di record sia da reparti in servizio che da quelli in congedo. Come quello approntato in sette giorni presso la fiera di Bergamo dalla Associazione Nazionale Alpini, in concorso con l’Associazione Nazionale Carabinieri e duecento artigiani; un presidio ospedaliero a tutti gli effetti, con 14 camere, realizzate interamente in legno, per 142 posti, di cui 72 di terapia intensiva e sub intensiva su letti idonei, non semplici brande militari, oltre ad arredi e sofisticate apparecchiature medicali.
Spesso in Italia questi reparti in congedo si sono distinti, con il loro intervento volontario, per organizzazione e abnegazione, in occasione di molte calamità naturali, coadiuvando gli interventi dei corpi dello stato, nel fronteggiare gli effetti devastanti di alluvioni e terremoti.

Photo credit/courtesy: © 59th LCC Bushwackers Viet Veteran’s Settembre 2019
21 Settembre 2019.
Foto di gruppo dei sopravvissuti del 59th Land Clearing Company “Bushwackers” scattata allo “Iwo Jima Memorial for Tomb of Unknown Soldier, Arlington National Cemetery, Virginia”.
Chissà se tra questi veterani, c’è n’è qualcuno di quelli ritratti nelle foto di Burrows.

Photo credit/courtesy: © Kathryn Kuehn Smith 2019
Arlington. La cerimonia di apposizione della corona di fiori della 59a Compagnia al monumento del milite ignoto, con il picchetto d’onore.
Sulla pietra bianca, memoriale del milite ignoto, vi è incisa la seguente frase:
“Here rest in honored glory an american soldier known but to God”
Prima della cerimonia presso il cimitero, la reunion, di quello che rimane del 59th Land Clearing Company “Bushwackers”, deponeva un’altra corona di fiori, presso il muro di pietra nera: “Vietnam Veterans Memorial in Washington DC’s”, con i nomi dei 57.939 soldati caduti in Viet Nam.
Torno a Operation Lam Son 719.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
8 Febbraio 1971. Il Tenente Generale Hoang Xuan Lam Comandante del 1° Corpo d’Armata del Sud Viet Nam, in un briefing informale con un Generale americano, poco prima dell’inizio della Operazione Lam Son 719.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life 8 Febbraio 1971 Operation Lam Son 719. Invasione del Laos. Partenza dal campo base. Si intravede sulla sinistra la sagoma di un blindo, colmo di fanti sudvietnamiti, con le sottili antenne per le comunicazioni.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
8 Febbraio 1971 Operation Lam Son 719. Invasione del Laos, fanti silenziosi, sul calar delle tenebre.
Larry non si perde l’inizio della controffensiva sudvietnamita. Bella ripresa dal basso, in iperfocale, senza curarsi della messa a fuoco; è importante l’effetto grafico che la siloetta restituisce.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
8 Febbraio 1971. Operation Lam Son 719.
Gli scontri tra gli opposti schieramenti fin da subito feroci. Sulla destra la carcassa di un M113 in fiamme, con l’incendio già propagato nella boscaglia. Leica M3 con Leitz Summicron 50/2 Dual Range.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
8 Febbraio 1971. Operation Lam Son 719. Sud Viet Nam: notte dell’attacco dell’esercito sudvietnamita (ARVN) sugli avamposti nordvietnamiti in Laos. Scatto notturno delle truppe alleate che trascinano via i feriti.
La luce è solo quella dei fari di posizione del Bell UH-1 Iroquois del MEDEVAC, per il recupero dei feriti. La messa a fuoco è difficile, anche per una Leica M3 e Leitz Summicron 50/2 Dual Range; sono visibili le sagome sfocate, mentre nella foto precedente il chiarore dell’incendio facilita di molto la messa a fuoco sulle silhouettes di alberi e blindo.

Photo credit/courtesy: Larry Burrows © Time Life
9 Febbraio 1971 Soldati sudvietnamiti sistemano e raggruppano l’equipaggiamento dei morti e dei feriti dopo la prima notte di battaglia.
La Operation Lam Son 719, delle truppe sudvietnamite, non ebbe successo.
Anche in uno scatto apparentemente anonimo, Burrows da importanza all’aspetto formale compositivo; la schiera di zaini in diagonale e soldati curvi nella medesima postura, in primo piano, coprente metà del fotogramma e a ridosso del blindato M113 ACAV, posto di taglio, che fa da sfondo parziale.
Sono le ultime ore di vita di Larry e questo è uno degli ultimi suoi scatti. Il successivo giorno, la morte, già in trepidante attesa, se lo prese insieme agli altri.

Photo credits/courtesy: © Roger Mattingly, courtesy Horst Faas & Tim Page, fornito da George Eastman House.
7 Febbraio 1971, Larry Burrows, tre giorni prima della morte. Asciugamano al collo, tergi sudore, proprio come nelle ultime ore della sua vita. La Leica M3 in alto con Elmarit 28/2.8 Leitz Canada prima versione, con paraluce codice 12501 e mirino *ALBADA, codice SLOOZ/12007. Seconda M3 con Leitz Summicron 50/2 Dual Range e mirino *ALBADA, codice SBOOI/12015. Entrambe le Leica hanno il top travisato da un cerottone militare. La scarsa risoluzione della foto impedisce di scorgere il numero di matricola della M3 con Leitz Summicron 50/2 Dual Range, non permettendo così di determinare quale sia delle due M3, la calotta deformata con il numero di matricola ancora distinguibile, rinvenuta tra i rottami sepolti in Laos, molti anni dopo, nel luogo dello schianto.
Henri Huet. L’artista.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
17 dicembre 1965. Lai Khe, Viet Nam del Sud.
Parà americani tengono una funzione commemorativa per i sette colleghi della 101a Divisione Aviotrasportata, caduti in una radura vicino a una ex piantagione francese di gomma della Michelin. I loro rispettivi stivali, elmetti e fucili M16 sono schierati vicino ad un altare da campo. I sette paracadutisti sono stati uccisi in azione la settimana prima, durante l’operazione Checkerboard II dai Viet Cong, nelle giungle e nelle piantagioni di Lai Khe, a circa 65 Km a nord di Saigon. L’operazione Checkerboard II (28 novembre 12 dicembre 1965) fu un intervento di search & destroy nella provincia di Nam Phan, che coinvolse la 1° Brigata, della celebre e pluridecorata 101a Divisione Aviotrasportata.

Photo credit/courtesy: © AP Photo/Henri Huet
17 dicembre 1965. Lai Khe, Viet Nam del Sud.
Stessa cerimonia, stavolta in ripresa ravvicinata e dal basso, visto che la maggior parte dei soldati è seduta in terra. Pellicola bianco e nero, sempre con un medio tele. Il soggetto è in primo piano con la soglia di nitidezza che si estende di poco oltre gli scarponi; i parà sono nel range di sfocato ancora ben distinguibile, mentre nell’altra foto il diaframma era più chiuso.

Photo credit/courtesy: © Henri Huet/Bettmann/Corbis
24 aprile 1965, Dong Son, Viet Nam del Sud.
Con la naturalezza delle faccende da compiere tutti i giorni, due donne percorrono la parte centrale della strada tra due colonne di marines americani. I marines erano in missione di ricognizione a ovest della base aerea di Da Nang.

Photo credit/courtesy: © AP Photo/Henri Huet
25 settembre 1965. Vietnam del Sud. I paracadutisti americani attraversano un fiume.
I paracadutisti del 2° Battaglione USA, 173a Brigata Aerea, tengono le loro armi automatiche fuori dall’acqua mentre attraversano un fiume sotto la pioggia, durante la ricerca di posizioni Viet Cong, nell’area della giungla di Ben Cat, nel sud del Viet Nam.
Da notare come il fotogramma sia organizzato in due diagonali: dal parà in primo piano, lungo una linea immaginaria, formata dagli altri parà, che si protende verso destra. Poi dai due terzi della foto, vicino al margine destro, un’altra diagonale si staglia verso sinistra. La distribuzione del soggetto, secondo la linea diagonale fornisce il dinamismo voluto oltre a ben riempire il fotogramma e risponde così anche alla regola aurea, tanto cara ad Henri.

Photo credit/courtesy: © AP Photo/Henri Huet
1966. 1a Divisione di Fanteria sotto il fuoco nemico.
Il testo recita: «Sdraiati a terra sotto il fuoco dei cecchini vietcong, gli uomini della 1° Divisione di Fanteria degli Stati Uniti cercano la fonte del fuoco nemico. Il carro armato che guida l’unità si prepara a sparare con la sua mitragliatrice calibro 50 verso il bersaglio. La settimana scorsa i soldati erano impegnati in un’operazione vicino a Long Thanh, nel Viet Nam del Sud, a circa 40 miglia a ovest di Saigon.»
Il testo scritto a macchina da Henri Huet, accompagna la sua fotografia descrivendo la situazione sul campo. La foto con il testo verrà poi spedita via Telex alla agenzia di stampa Associated Press.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
Marines sbarcano dal mezzo anfibio. Da un punto sopraelevato, Henri riesce ad ottenere una visione d’insieme con una ripetitività di elmetti piegati e di sacchi, dall’ottimo risultato grafico.

Photo credit/courtesy: © AP Photo/Henri Huet, © Horst Faas & Tim Page, provided by George Eastman House
1966. Bong Son, Viet Nam del Sud. Una madre vietnamita e i suoi figli, incorniciati nel triangolo dalle gambe di un soldato americano della 1a Divisione di Cavalleria. Wow… che istante ha fermato Henri!
La donna in asse con i tre bambinetti, tra i due lati del triangolo formato dalle gambe del soldato. Il bambino più vicino è l’unico che si è accorto di Henri e lo guarda a bocca aperta, mentre la donna con l’altro bimbo guardano estatici i militari.
Qualcuno potrebbe obiettare che chissà quanti scatti possa aver fatto Henri e poi tra quelli ha scelto la migliore. Si, ma stava lì, in quel momento, si è abbassato perchè da subito ha capito che il soggetto era molto interessante e in pochi margini di tempo ha scattato magari diverse foto, ma poi neanche tante, senza motore e solo con il pollice che sulla leva si agita per caricare l’otturatore. Il soldato non stava certo immobile, davanti a Huet, come in una sala posa, costretto lì fermo. Non ho la foto della stampa a contatto, come nel caso di Cathy Leroy, altrimenti si poteva constatare quanti scatti avesse fatto. Tuttavia questo è il lavoro del reporter, portar via ogni frammento di tempo che fugge per sempre, a costo di consumare un rullino intero, allorchè ci si trova di fronte ad un evento significativo, che si intuisca possa essere un soggetto valido, in pochi momenti caduchi ed irripetibili.
Detto tutto ciò, contano le idee, il colpo d’occhio, le sensibili pulsioni, l’animo nobile, la genialità e solo dopo, in ultimo, la strumentazione: Leica M2 con Leitz Summicron 35/2 “otto lenti” e Kodak Tri-X. Messa a fuoco sugli occhi del bambino più vicino.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
3 Luglio 1966. HENRI HUET – Mitragliere e servente della 1a Divisione Cavalleria Aerea degli Stati Uniti –
(AP 1966. Foto di stampa inviata via Telex)
Dal testo di Henri: «ATTENTO AI PROIETTILI, CECCHINO! –Un fuciliere della 1° Divisione della Cavalleria Aerea degli Stati Uniti punta la sua mitragliatrice *M-14 su un cecchino nordvietnamita durante l’operazione Nathan Hale nell’altopiano centrale del Viet Nam del Sud, il suo portatore di munizioni fa smorfie mentre fornisce i proiettili al cannone. Gli uomini operavano a circa 230 miglia a nord-est di Saigon, alla ricerca di una grande forza di soldati nordvietnamiti. AP Wirephoto»
*M-14. In realtà Henri ha confuso il mitragliatore M60 con il fucile della foto sotto.
Il fucile M14-A1 calibro 7.62mm NATO, costruito dalla Springfield Armory, conosciuto in Italia come FAL (Fucile Automatico Leggero), costruito in diverse configurazioni. Prodotto per le truppe americane fino al 1964 e sostituito poi dal celebre M16. Quindi nel 1966, anno dello scatto di Henri, il fucile M14 era già stato radiato dalle Forze Armate americane.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet Maggio 1966. Parà della 101a Divisione Aviotrasportata evacuano dalla giungla un compagno ferito.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
28 agosto 1966. Campo base Lai Khe, Viet Nam del Sud.
Bell UH-1D Iroquois i cosiddetti Huey americani, forniscono supporto alle truppe di terra volando in un’area di sosta a più di ottanta chilometri a nord-est di Saigon. Il carburante dell’elicottero veniva immagazzinato nei grandi serbatoi in gomma in primo piano sfocato.
L’uso del medio tele, ha restituito una sensazione di affollamento di mezzi in terra ed aria che sono comunque tanti. Le distanze sono compresse dall’effetto prodotto dal tele, pertanto nella realtà, come già detto in precedenza, gli elicotteri non erano così a ridosso l’uno con l’altro.

Credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet 14 maggio 1966. Il corpo di un paracadutista americano ucciso in azione nella giungla vicino al confine cambogiano viene recuperato e trasportato da uno Huey di evacuazione. La ripresa da sotto, conferisce un risultato surreale. La silhouette dell’uomo sembra sospesa nell’etere; in controluce, non si vede il cavo di trazione con cui viene sollevato il corpo e l’effetto grafico è notevole.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
21 settembre 1966.
Stanchi dopo una terza notte di combattimenti contro le truppe nordvietnamite, i marines statunitensi strisciano dalle trincee situate a sud della zona demilitarizzata DMZ in Vietnam. L’elicottero UH-34 Choctaw con il supporto del rotore di coda spezzato, è stato abbattuto mentre stava arrivando per rifornire l’unità.
Flare e ghost aperture diaphragm nell’angolo alto a destra è inevitabile, con il sole che entra nell’inquadratura.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet
21 settembre 1966.
Scatto consecutivo al precedente.
I Marines statunitensi escono dalle loro buche foxholes all’alba dopo la terza notte di battaglia contro i continui attacchi della 32a Divisione di Fanteria dell’esercito di nordvietnamita.
Henri, rispetto allo scatto precedente si è avvicinato, evitando la riflessione del diaframma ma non la parziale perdita di contrasto sul bordo in alto a destra, che seppur minore al precedente scatto è comunque presente. Teniamo conto che le ottiche di allora avevano uno strato antiriflesso più “permissivo”: se da un lato permettevano una ottima lettura nelle zone in ombra, anche con molti stop di differenza rispetto alle zone illuminate, dall’altro lato, poco potevano opporsi alle forti fonti di luce che entravano lateralmente o frontalmente nell’inquadratura, con il risultato di forti perdite di contrasto in parte o in tutto il fotogramma.

Photo credit/courtesy: © AP Photo / Henri Huet Uno Huey in atterraggio per lo sbarco di soldati, alza polvere ed erba. Sullo sfondo si intravedono altri velivoli. L’effetto grafico è notevole.
Da notare la posizione della “striscia” di buche, posta in diagonale sul fotogramma, su due direzioni dal basso, la breve traccia verso destra e dopo il terzo di fotogramma verso sinistra. La regola aurea anche qui è formalmente rispettata. Una di quelle regole che vanno imparate e poi dimenticate; come spesso recitano i migliori fotografi, a significare che una volta introiettate rimangono in latenza dentro le proprie competenze e soprattutto coscienze artistiche, per essere riesumate in maniera istintiva, allorquando se ne ravvisino le condizioni, durante le più disparate opportunità di ripresa.

Photo credit/courtesy: © AP Photo/Henri Huet
L’Ufficiale medico Thomas Cole di Richmond, Virginia, con braccio sinistro proteso e con il suo occhio illeso da sotto il bendaggio, richiama l’attenzione di un collega, mentre continua a curare e rifocillare il Sergente Harrison Pell di Hazleton, Pennsylvania, durante uno scontro a fuoco, il 30 gennaio 1966.
Questi uomini appartenevano alla Prima Divisione di Cavalleria aerea, che era impegnata in una battaglia ad An Thi, sugli altopiani centrali, contro le forze combinate di Viet Cong ed esercito nord vietnamita. Questa foto è apparsa sulla copertina della rivista LIFE, l’11 febbraio 1966. Per questo scatto Henri Huet ha ricevuto la medaglia d’oro Robert Capa.

Credit/courtesy: © Time-Life, AP / Henri Huet
Ed ecco infatti dopo pochi giorni dallo scatto di Huet, la foto di copertina sul primo numero di febbraio di LIFE Magazine, con il titolo LA GUERRA CONTINUA.
Titolo: “Un medico calmo e dedicato.”
«Sebbene anch’esso ferito all’occhio sinistro, bendato, riesce a malapena a osservare con un occhio. Il giovane Ufficiale medico Thomas Cole, della 1a Divisione Cavalleria dell’Aria, spende ore a curare il commilitone ferito, in condizioni peggiori delle sue. Uno di loro in special modo non lo dimentichera’. Il Sergente Harrison Pell, la cui testa fasciata e’ appoggiata sulla gamba di Cole, il quale lo nutre con una scatoletta della razione “C”, asciugandogli poi il viso».
Questo il sunto del testo che accompagna la sequenza delle quattro foto. Il testo recita “il viso”, ma, guardando con accuratezza si capisce che il fazzoletto è orientato alla bocca; dopo il pasto consumato in posizione di fianco, la detersione delle labbra è ampiamente plausibile. La sequenza registrata da Henri Huet, evidenzia lo spirito di comunanza e la professionalità di un Ufficiale medico, che quantunque ferito, riesce a svolgere con dedizione le sue mansioni, ma anche oltre.
Henri dimostra di saper passare dalle situazioni di guerra a momenti umanamente rilevanti, anche simbolici, con sublime maestria. Una attitudine di grande rilievo, in un ambiente complesso, come quello del conflitto nel sud-est asiatico. In quella gigantesca “sala posa dinamica”, la sua pregressa esperienza dedicata all’arte della pittura, la sua umanità e sensibilità, sono stati i presupposti essenziali, molto più importanti, rispetto al pur valido equipaggiamento fotografico.
Una divagazione costumata.
Oggi l’idea degli “attrezzi” è spesso sovradimensionata, quasi idolatrata, da un immaginario collettivo, mutuato dalla pubblicità a tambur battente, che individua nel numero dei mega pixel, un exemplum ineluttabile da perseguire, una corsa compulsiva inarrestabile. Questa tendenza consumistica dilaga, accrescendo la setta degli adoratori della tecnologia, che cresce di giorno in giorno; un universo funzionale che avvelena i pozzi del pensiero, dando importanza più al mezzo che alle capacità individuali.
L’attenzione andrebbe invece spostata sulle idee, sulle proprie intrinseche attitudini che vanno alimentate, quotidianamente, coltivando interessi variegati, che spaziano dalla letteratura alle arti. Frequentare le mostre, non come obbligo matrimoniale o verso la propria fidanzata, non con aria distratta e annoiata, ma vivere e spaziare nelle pitture e nelle sculture, osservando e percependo l’idea dell’autore. Arricchendo il proprio animo di bellezza, ovunque essa sia collocata, si accumula un patrimonio equivalente ad una miniera, pepite inestimabili da collezionare nella propria coscienza: da un acquitrino melmoso ad una superficie palustre colma di ninfee.
Artemisia Gentileschi.
Artemisia Gentileschi naque a Roma nel 1593 e morì a Napoli nel 1653. È considerata la più grande pittrice italiana di scuola caravaggesca, per le sua attitudine che riprende lo stile del grande Michelangelo Merisi, detto il
Caravaggio. Da vergine fu stuprata e poi torturata.
Cenni storico biografici.
Inizialmente la ragazza e suo padre dettero credito alle promesse di Tassi, lo stupratore, che si dichiarò disposto ad un matrimonio riparatore, l’unico modo per recuperare l’onore perduto. Per quasi un anno Artemisia aspettò le nozze, soggiacendo anche alle richieste sessuali del Tassi, fino a che ella scoprì che il pittore era già sposato e non poteva evidentemente contrarre ulteriori nozze.
Iniziò quindi un processo, durato sette mesi, che mise sotto accusa Artemisia stessa, ma la ragazza dimostrò una forza e un coraggio insospettabili. Tassi tentò di ribaltare le accuse, grazie anche a testimonianze compiacenti, accusando Artemisia di essere una donna promiscua e non più vergine. Il fatto che la denuncia fosse stata fatta tanti mesi dopo lo stupro, non giovò alla credibilità di Artemisia e del padre Orazio, che ormai a Roma era considerata alla stregua di una prostituta.
Senza darsi per vinta, la ragazza accettò di testimoniare sotto tortura (… era considerato un modo per accelerare le fasi processuali) durante un confronto diretto con il Tassi. La pittrice si sottopose alla tortura dei sibilli: i pollici erano legati con delle cordicelle che, grazie ad un legno, venivano strette sempre di più intorno alle falangi.
Mentre le guardie le legavano i pollici per la tortura, la coraggiosa Artemisia gridò al Tassi: “Questo è l’anello che mi dai e queste le promesse!”
La ragazza sopportò ogni cosa e alla fine ebbe una giustizia formale, ma non una vera vittoria: Tassi fu condannato per lo “sverginamento”, con la possibilità di scegliere tra cinque anni di reclusione o l’esilio perpetuo da Roma. Ovviamente scelse l’esilio, ma in realtà non lasciò mai Roma, grazie alla protezione di alcuni suoi importanti clienti, mentre Artemisia veniva bollata come una “… puttana bugiarda che va a letto con tutti”.
Fu invece Artemisia ad andarsene. Il giorno dopo la fine del processo sposò Pierantonio Stiattesi, pittore di poco talento, e si trasferì a Firenze. Anche se non fu certo un matrimonio d’amore, le nozze consentirono alla ragazza e alla sua famiglia, di recuperare una certa onorabilità.
Nel corso degli anni Artemisia Gentileschi si spostò di nuovo a Roma, poi a Napoli e a Londra, e forse anche a Venezia e Genova, inseguendo sempre degli incarichi che le consentissero di mantenere i suoi quattro figli e che fossero in grado di mantenere il dispendioso stile di vita del marito.
Per lungo tempo Artemisia Gentileschi fu ignorata dal mondo dell’arte e in seguito considerata solo in relazione all’evento drammatico che aveva sconvolto la sua vita. Per questo il suo talento è stato messo spesso in secondo piano rispetto alla sue vicende biografiche, che poi l’hanno fatta considerare una specie di femminista ante-litteram.
Artemisia era una donna del suo tempo, costretta a sottostare alle regole della sua epoca, e volerne fare una femminista è solo un esercizio retorico. Lei era una pittrice, anzi “l’unica donna in Italia che abbia mai saputo che cosa sia pittura, colore, impasto e simili essenzialità…”
Fonte, credit/courtesy: Roberto Longhi
Dalla formazione a Roma, imparò a dipingere sotto la guida del padre Orazio Gentileschi, al periodo fiorentino, dove si affermò personalmente e professionalmente, fino agli ultimi 25 anni della sua vita, durante i quali aprì uno studio a Napoli e intraprese un breve viaggio a Londra. In un’epoca in cui le artiste donne non erano facilmente accettate, Artemisia Gentileschi si impose con grande successo. Ebbe una lunga e fortunata carriera come pittrice, durata più di 40 anni, e fu la prima donna ad entrare a far parte dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.

Autoritratto di Artemisia Gentileschi. (…. caspita, una posa che sorprende per singolarità e conseguente modernità; sembra una fotografia o piuttosto, è la fotografia a essere debitrice con artisti del calibro di Artemisia.)
«Per il gran disiderio che io ho di vedervi sto quasi quasi per vinire costì con l’occasione del quadro…» «Io non mi struggo, se non di non vedervi appresso, che sapete puro che vi aspetto come s’aspetta la grazia di Dio».
Tratto da una delle cinque lettere d’amore indirizzate al suo amante ventenne, Francesco Maria Maringhi. Queste cinque lettere, fanno parte delle quarantadue conservate nell’Archivio dei Marchesi Frescobaldi presso Poggio a Remole, frazione delle Sieci, nel comune di Pontassieve, vicino Firenze.
Fonte, credit/courtesy: Olga Mugnaini
L’estratto dei due periodi, svelano l’animo di Artemisia Gentileschi, che pur segnata interiormente dalla violenza subita, serba in se un nobile sentimento ammantato di gracile e delicata bellezza. I suoi dipinti racchiudono la sua flautata passionalità; un materiato, che riproduce le sue squisite qualità umane ancor prima di quelle artistiche.

Maria Maddalena Melancolia. Artemisia Gentileschi 1622-1625. Cattedrale di Siviglia Andalusia, Spagna
Il capo della Maddalena appoggiato sul dorso della mano, ci rivela il leggiadro gesto che Artemisia ha voluto rappresentare; come una delicata espressione dell’indole, negli istanti in cui il sonno prende il sopravvento sul corpo stanco.
Si nota dietro il braccio, appoggiato al tavolo, un soprammobile in metallo, in un chiaro scuro che oltre a dare profondità tridimensionale al dipinto, ci consente di valutare quale maestria avesse l’artista nel restituire la luce nei diversi piani della scena, sapendoli sapientemente ben descrivere. La tenda rossa in velluto pesante, sembra esistere: nelle sue pieghe illuminate e nell’ombra che si adagia lieve sul bordo in legno dello schienale. L’ombra del mento sul collo e la pelle di avambraccio e zigomo, nelle parti più esposte alla luce, si distinguono in differenziati gradienti di temperatura colore, nelle parti chiare e lucenti, con un precipuo digradare ben dosato, dalla minore luce fino alle zone in ombra.
Probabilmente con una buona pellicola a colori non si sarebbe potuto fare meglio.
Artemisia percepisce la luce, la sa capire ed elaborare, tramutando la sua percezione, nelle opportune nuances di colore, coniugate sulla tavolozza e riportate poi su tela. Artemisia ci dimostra, con evidenze tangibili, come e quanto riesca a capire la luce, sapendola riprodurre magistralmente. Il dominio esclusivo della tecnica permette ad Artemisia di saper padroneggiare colore e luce, sui vari piani, “creando il senso del volume”, come direbbe il Prof. Ferzetti, descrivendo la capacità di un ottica Leitz nel saper ben tradurre, il pensiero originario del fisico, in una immagine che ne rappresenti il suo sentire, attraverso il progetto ottico realizzato. Mi si conceda questa comparazione, utile altresì a connettere due mondi paralleli, quello dell’immagine a quello della pittura.
Se non si conoscesse l’autore della pittura, si potrebbe serenamente affermare di essere di fronte ad un quadro del Caravaggio. La fotografia deve tanto a queste opere: chiaro scuro; incarnato; colore; divisione degli spazi; prospettiva; posture dei soggetti; plasticità dell’insieme…
Epilogo.
Incamminandoci lungo la linea di dipluvio della coscienza, piantumando alberi, laddove la terra arida sconfinava, ammireremo la bellezza, che crescerà fino alla stagione dei frutti.
Un sentiero avveduto di apprendimento, da percorrere con consapevole ostinazione. Una educazione delle inclinazioni, per non rimanere in balia di esse e dei suoi, sempre più spesso, confusi impulsi.
Le mostre d’arte, i libri: come coltura e cultura, da annaffiare e curare, per accrescere una conoscenza articolata attraverso una promozione artistica della sensibilità. Il significato dell’arte definito come una ispirata sapienza del cuore, forma cosciente dell’intelligenza, attitudine concreta della percezione, senso visivo del gusto. La sostanza dell’estetica è intesa come ambito del sensibile che suscita e innalza lo spirito.
Peraltro un passo del Qohelet recita: chi accumula senno accumula dolore; ma qui si aprirebbe un altro delicato quanto imponente paragrafo.
Termina settimana prossima con la quinta ed ultima parte.
Giuseppe Ciccarella
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