La Pentacon Six appartiene a quella categoria di fotocamere in grado di suscitare sentimenti profondamente contrastanti.
Tacciata spesso a torto di essere un apparecchio impreciso e scomodo da usare, è invece molto apprezzata da coloro che, entrati in sintonia con il mezzo, hanno modo di prevenirne i principali inconvenienti di funzionamento e di apprezzarne le molte prerogative, prima tra le quali il corredo di ottiche realizzate all’epoca dalla Carl Zeiss orientale.
Eppure la Pentacon Six è la fotocamera che vanta il primato di essere stata ininterrottamente prodotta per circa quarant’anni se consideriamo la prima versione marchiata Praktisix uscita nel 1956.
Inoltre in questo arco temporale ha ispirato tutte le SLR medio formato che da essa ne derivano il concept, prima tra tutte la Pentax 6×7 piuttosto che la Rittreck 6×6 o la meno nota, per diffusione, Exakta 66 prodotta dal 1986 in Germania Ovest sotto la responsabilità di Otto Stemme che proveniva come ultima esperienza dalla Durst.
Questo concept tuttavia non fu una prerogativa assoluta della Praktisix essendo gia stato sviluppato nel periodo prebellico con l’Exakta 6×6, alla quale farò cenno più avanti, e con la Reflex Korelle.
La Praktisix nasce dopo una travagliata vicenda che vede per l’appunto IHAGEE, già nel periodo prebellico, proporre una versione di Exakta per pellicola 120 nel formato 6×6.
Lo sconquasso del dopoguerra nell’industria fotografica tedesca d’oltre cortina, finì per dare la precedenza ad un progetto sviluppato dalla KW per una nuova reflex per il formato 6×6, che altro non era, anche in questo caso, che una versione pompata della reflex 35 mm prodotta dall’azienda di Niedersedlitz ovvero la Praktina.
Di queste vicende ho parlato in maniera più approfondita nella seconda parte dell’articolo sulle reflex di Dresda.
La Praktisix, che diverrà poi Pentacon Six dopo l’ingresso di KW nel VEB Pentacon, era per l’epoca un progetto rivoluzionario perché sviluppava per il medio formato le prerogative di un apparecchio 35 mm modulare quale per l’appunto era la Praktina.
La filosofia di progettazione del “tutto sopra” se per le fotocamre 35mm costituiva una scelta progettuale alternativa, per il 6×6 era una scelta obbligata per via della distanza che la meccanica avrebbe dovuto coprire mettendo ad esempio il ritardatore sotto il fondello anziché sotto la calotta.
Dal punto di vista della progettazione dunque le due fotocamere si assomigliano, benché nella Praktisix prima e nella Pentacon Six, poi il selettore dei tempi è spostato a sinistra con la necessità di utilizzare una sorta di bilanciere che corre dietro al mirino, dal selettore dei tempi al ritardatore, creando di sovente qualche problema di funzionamento se non è in perfetta efficienza.
Il corretto funzionamento dei tempi e il meccanismo di trascinamento della pellicola, che può determinare in caso di guasto la sovrapposizione dei fotogrammi, sono dunque i due principali problemi che possono manifestarsi in questo apparecchio.
Per il resto niente di diverso dai normali inconvenienti legati agli otturatori a tendina in tela gommata di dimensioni così grandi, tipici di questo genere di fotocamere come le Bronica della serie S o la Rolleiflex SL66, otturatori che andrebbero periodicamente verificati e tarati, come del resto tutti gli otturatori, pena la cattiva esecuzione dei tempi superiori a 1/60 di secondo che tendono a rallentare.
Buffo è pensare che di norma si ascoltano i tempi lenti e mai ci si preoccupa di misurare quelli veloci che peraltro si utilizzano, solitamente più spesso.
La Pentacon Six sconta oggi la mancanza di riparatori che abbiano tempo e voglia di metterci le mani e dunque si trova a prezzi stracciati se non controllata e a prezzi folli se revisionata.
Dopo cotanta premessa, immaginerete il mio stupore quanto tempo fa ebbi modo di vedere i lavori realizzati da Valeria Beltrami, fotografa professionista, che utilizza per il suo lavoro unicamente corredi digitali ma che ha deciso tempo fa di sviluppare, per la sua passione legata alla storia dell’arte, un progetto in analogico scegliendo proprio una Pentacon Six.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte ai due termini chiave: progetto e scelta del corredo.
La scelta del corredo, badate bene, non è avvenuta per il basso costo o perché le è capitato di trovare una fotocamera in soffitta, ma per alcuni razionali sui quali ho intervistato Valeria.
Per quanto non si dovrebbe mai dichiarare o far intendere l’età di una fanciulla, iniziamo con il dire che Valeria, ha anagraficamente conosciuto l’analogico raccogliendo una passione già presente in famiglia, ma intraprendendo la professione non ha più coltivato l’uso della pellicola sino a quando, tre anni fa, ha deciso di riapprofondire i temi legati all’analogico per cimentarsi in un approccio diverso, più complesso certo ma anche più interessante.
Appassionata anche di grande formato, ci accomuna il fatto di essere entrambi possessori di una FATIF DS, Valeria ha utilizzato per qualche tempo una YASHICA Mat 124G per poi maturare la necessità di disporre di un apparecchio più versatile che avesse la possibilità di inquadrare e mettere a fuoco tenendo la fotocamera a livello dell’occhio e di poter intercambiare gli obiettivi.
Vuole restare su una fotocamera che consenta di mantenere nella proporzione del fotogramma il rapporto 1:1, tipico del formato quadrato 6×6, così come desidera una fotocamera completamente meccanica per evitare il più possibile guasti o blackout tipici dell’elettronica.
Nella nostra chiacchierata mi ha raccontato di come il processo di scelta del corredo abbia richiesto una valutazione abbastanza articolata che doveva tener conto di alcune caratteristiche della fotocamera come quelle sopra richiamate, ovvero intercambiabilità dei mirini e degli obiettivi, ma anche la necessità che apparecchio e ottiche costassero una cifra complessivamente ragionevole.
Riguardo alle ottiche poi, scattando prevalentemente a mano libera, in luce ambiente e in luoghi come i musei, queste dovevano avere una buona luminosità soprattutto nelle medio lunghe focali.
Dalla selezione furono dunque scartati subito corredi come ad esempio Hasselblad che, oltre al costo complessivo, ha le ottiche economicamente più accessibili con aperture minime di 4 o 5,6 nelle focali di 120 o 150 mm.
Scarta anche la possibilità di adottare un corredo Kiev 60 poiché, se possibile, legge notizie ancora peggiori che sulla Pentacon Six.
Peraltro giova ricordare, e qui mi inserisco con una considerazione personale, che la Kiev 60 viene a torto considerata una copia della Pentacon Six con la quale in realtà condivide, oltre allo stesso innesto delle ottiche, poche caratteristiche costruttive, che si traducono in una meccanica tendenzialmente più semplice ma anche meno affidabile.
Poi chissà, a smentire questa mia affermazione spero prima poi arrivi qualche fotografo che possa portare buoni esempi di utilizzo della fotocamera prodotta dalla Arsenal di Kiev.
Comunque sia, Valeria ha modo subito di leggere dei difetti della Pentacon, difetti che come lei stessa mi racconta, le vengono ripetuti anche dagli amici appassionati che la sconsigliano dall’acquistare questa macchina.
Alla fine, dopo lunghe ricerche e vinte le remore, trova un corredo ben tenuto, composto da corpo macchina con il bellissimo 80 Biometar, un pentaprisma e un mirino luope, oltre al classico pozzetto.
Presa!
Inizia così lo sviluppo del progetto in musei e gallerie d’arte con scatti per i quali non viene mai usato il cavalletto e non viene mai superata la soglia dei 400 ASA con materiale rigorosamente in bianco e nero, di norma ILFORD HP5, che egli stessa sviluppa e stampa avendo nel frattempo assemblato una camera oscura di assoluto riguardo.
Quando le chiedo delle prime esperienze di utilizzo della macchina mi racconta un paio di aneddoti.
Il primo accaduto durante un viaggio a Roma, qualche giorno dopo aver acquistato il corredo, riferito ad una rovinosa caduta della macchina a causa della rottura improvvisa della tracolla originale in cuoio.
Inutile dire che dopo questo incidente la Psix era ancora perfettamente funzionante.
Da allora la tracolla è saldamente assicurata all’attacco filettato del treppiede.
Il secondo legato ad un lavoro di riproduzione di una collezione di medaglie che le era stata affidata da un museo del centro Italia.
Durante le riprese porta con se anche la Pentacon Six, salvo poi accorgersi, al termine della prima sessione di sviluppo che i fotogrammi non erano correttamente spaziati ed alcuni erano in parte sovrapposti.
Segue una approfondita valutazione guardando le nutrita letteratura e i video presenti in rete: è incredibile il mondo di entusiasti di questa fotocamera che hanno postato informazioni utili per capire che spesso il malfunzionamento è dovuto all’imperizia iniziale più che all’inaffidabilità della fotocamera.
Ecco alcuni screenshot dell’intervista a Valeria nella parte dove parla degli accorgimenti da usare in fase di caricamento della pellicola.
Questa macchina ha infatti un sistema di trascinamento che può risentire in modo rilevante della precisione di caricamento.
Ed è così che la l’inconveniente delle foto sovrapposte si risolve.
Valeria ha anche modo di approfondire come, attraverso un semplice accorgimento in fase di caricamento del film, è possibile ottenere 13 fotogrammi 6×6 anziché 12 come sulle altre fotocamere.
Il consiglio è quindi quello di approcciare all’uso di questa fotocamera esercitandosi sul caricamento con un rullo a perdere, utilizzando poi il classico pennarello e la sequenza di scatti sulla posa B per verificare la corretta spaziatura.
Un suggerimento, che mi sento di dare per esperienza diretta, è quello di evitare di usare pellicole con il supporto molto fine come ad esempio le Rollei Superpan 200, pellicole meravigliose che possono tuttavia creare un problema di trascinamento e quindi di corretto distanziamento dei fotogrammi.
La seconda esperienza di utilizzo va dunque meglio e Valeria inizia così le sue riprese in musei e gallerie d’arte come è possibile vedere negli scatti pubblicati a corredo di questo articolo o nel più vasto repertorio contenuto nel sito “Arte su pellicola” citato in chiusura dell’articolo.
Amplia così il corredo di ottiche con un Biometar 120 mm e un Sonnar 180 mm 2.8 che forniscono, in particolare il 120, il giusto taglio alle immagini.
Un’altra prerogativa della Pentacon Six è di poter montare con un semplice ed economico anello adattatore, le ottiche della Kiev 88 o delle vecchie Hasselblad 1600F e 1000F, oltre ovviamente a quelle della Kiev 60 che non richiedono nessun anello adattatore.
Ecco quindi un esempio di uno scatto effettuato con l’ARSAT 30mm benché come dichiara Valeria, il grandangolo non è tra le focali che preferisce.
Il progetto, la ricerca e la possibilità di esprimere il proprio punto di vista.
Ecco un bell’esempio che coniuga il parlare di storia degli apparecchi fotografici accanto ad un progetto personale dove le immagini emozionano anche senza pensare, in via immediata, al mezzo e alla tecnica con le quali sono state realizzate.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
Altre notizie sull’autrice sul sito di Valeria Beltrami e sul sito Arte su pellicola
Per una completa descrizione dei modelli e delle ottiche potete visitare questo sito dedicato alla Pentacon Six sul quale troverete anche un tutorial per il corretto caricamento della fotocamera per evitare l’inconveniente della sovrapposizione dei fotogrammi
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Leggere “… Arsenal di Leningrado, oggi San Pietroburgo … ” mi mette i brividi !!! 🙂 🙂
Ovviamente l’Arsenal è (era) a Kiev.
Per il resto, sinceri complimenti a Valeria Beltrami e all’autore del bell’articolo.
Ci sarebbe da disquisire sulla validità del Volna-3 e del Biometar … potrebbero uscirne delle belle sorprese. Al netto delle solite affermazioni a prescindere, di chi nn ha mai usato una Kiev 60 ma denigra cmq la foto-ottica soviet, è assoluatmente veritiero che la Kiev 60 non è un clone della P6 anche se ne ricalca un po’ l’aspetto. E’ al contrario opinione comune ritenere che la sovietica, anche se in maniera nn risolutiva, è meno prona all’accavallamento dei fotogrammi, cosa abbastanza nota alla Pentacon Six. I tecnici sovietici ci misero mano e il sistema di avanzamento, seppur sottodimensionato è, guarda guarda, meno propenso al difetto frequente nella crucca (esiste però una modifica definitiva per ovviare al problema).
La sovietica è certamente più spartana e grossolana, nel perfetto stile d’oltrecortina… la filosofia era certamente quella del “Quello che nn c’è non si rompe” … anche perchè il poco che c’era si rompeva spesso …. :))
Luigi
Caro Luigi, grazie innanzitutto per la segnalazione relativa alla Arsenal che provvedo a correggere subito.
A parziale discolpa dico che questa estate la sto passando in compagnia di una LOMO LCA che sto usando con grande soddisfazione e dunque per me Leningrado/San Pietroburgo è in questo momento “caput mundi”.
Grazie anche per il contributo sulla Kiev 60.
Max