Ovvero la pellicola è sensibile, non solo alla luce.
Nelle ultime settimane è ritornato all’attenzione il tema che riguarda i danni che subiscono le pellicole bianco e nero 120 per via di un presunto difetto del supporto di carta o back paper, responsabile di ritrattare sull’emulsione puntinature o trame che in molti casi rendono inutilizzabili le immagini.
La questione è certamente complessa ed il fatto che ormai da tempo siano scesi in campo i maggiori produttori di questo tipo di pellicole dichiarando da un lato l’effettiva esistenza del difetto e dall’altro garantendo di avervi posto rimedio, da l’idea dell’effettiva esistenza di un problema percepito non solo dagli utilizzatori.
Le molteplici, e a volte fantasiose, interpretazioni sulle cause del fenomeno che mi è capitato di leggere in rete da quando ho coscienza del problema, non mi hanno aiutato, devo dire francamente, a maturare un idea chiara della questione, pur essendo stato di persona coinvolto in più occasioni da scatti rovinati da questo tipo di difetti.
Già dall’inizio dello scorso anno ho pedissequamente seguito le istruzioni fornite da produttori e distributori, annotando i batch identificati come difettosi, riconsegnando i film incriminati, ricevendo in cambio nuovi rulli, che ho poi utilizzato con risultati accettabili.
Intendo chiaramente i risultati tecnici giacché quelli fotografici scontano sempre la soggettività di chi preme il pulsante di scatto e non migliorano, né peggiorano, con le nuove versioni delle pellicole.
Mi è tuttavia capitato qualche giorno fa di fare mente locale sull’aver caricato lo scorso aprile, con pellicola 120 bianco e nero, un paio di fotocamere con l’intento di testarle e di averle poi abbandonate dopo aver scattato il primo fotogramma.
La pellicole che avevo utilizzato, di diversa sensibilità, erano fresche, acquistate a febbraio 2020 in un buon numero di pezzi e poi utilizzate nell’arco dell’anno su altre fotocamere senza rilevare difetti degni di nota.
Si trattava ovviamente di pellicole appartenenti ai batch per i quali non doveva esistere più alcun problema riferito ai segni lasciati dalla carta protettiva.
Questi due apparecchi, una Ferrania Elioflex 2 e una Ferrania Astor, hanno quindi riposato per dodici mesi carichi di pellicola, la prima su uno scaffale e la seconda religiosamente riposta in una vetrinetta.

Mi sono dunque deciso nei giorni scorsi a terminare i rulli, benché in questo periodo di limitata mobilità il numero di soggetti da riprendere sia di per sé limitato.

Dopo aver sviluppato i negativi qualche giorno fa, ho con grande stupore osservato il ripetersi delle problematiche delle quali parlavo all’inizio e la questione mi ha spinto ad approfondire ulteriormente il tema, senza arrivare a conclusioni certe ma riuscendo almeno a mettere in ordine una serie di elementi che condivido volentieri.
Inizio dalla Elioflex 2 con il dire che l’emulsione rovinata è presente su tutti i fotogrammi tranne che sul secondo rimasto per tutto il tempo pronto per lo scatto e quindi con la pellicola non avvolta sul rocchetto.


Nella Astor è invece presente solo sul primo fotogramma e assente su tutti gli altri.


Ho recentemente utilizzato la stessa tipologia di film usato con la Elioflex, acquistata poco prima di Natale 2020, e caricato in una Rolleiflex 2.8F a fine dicembre con gli ultimi scatti e lo sviluppo effettuato a fine marzo. Sulla pellicola non compare nessun tipo di problema.

Difficile quindi trovare una relazione se non nel fatto che in entrambi i casi, in ragione del tempo trascorso e della differente tipologia di pellicola, si riscontrano difetti che pur di diversa portata, non dovrebbero più essere riscontrabili a detta dei produttori.
Del resto pellicole dello stesso lotto, aperte, esposte e sviluppate in un limitato arco di tempo non hanno presentato difetti.
Da sempre le pellicole 120 bianco e nero soffrono, al pari di tutti gli altri formati, di un fenomeno di invecchiamento che tuttavia non si manifesta solo nella comparsa di una velatura di fondo tipica dei rulli scaduti.
Nella recente prova delle Ferrania P30 vintage, che ho riassunto in questo articolo, ho mostrato come in questo tipo di pellicole con scadenza ormai passata da decenni, il problema non sia tanto nella qualità dell’emulsione, che almeno nel caso della P30 è sopravvissuta egregiamente, quanto nei danni che la parte stampata della carta protettiva ha determinato, imprimendo i pigmenti della vernice usata nella stampa sulla superficie sensibile.
Peraltro, notai all’epoca della prova che il danneggiamento era maggiormente presente nei primi e negli ultimi fotogrammi, probabilmente per via della diversa tensione del film sul rocchetto in quei punti.
Preciso che la pellicola era sigillata ed aperta solo al momento della prova.
Nel caso della P30 il difetto si presentava con macchioline tonde bianche sul negativo e di conseguenza nere sul positivo.

Metto per il momento da parte la questione dell’invecchiamento sulla quale ritornerò più avanti per rimettere in fila punto alcuni fondamentali scusandomi in anticipo con coloro che riterranno questo approccio inutile o scontato.
La pellicola 120, nel formato e con la numerazione dei fotogrammi ai quali siamo abituati oggi, risale alla metà degli anni ’30, benché la pellicola in rullo sia stata introdotta con caratteristiche simili e con molteplici formati sempre da Kodak, dall’inizio del 1900.
Questo film era nato per fotocamere che non avevano contapose ed aveva quindi una carta protettiva sulla quale venivano stampigliate le numerazioni riferite ai vari formati di pellicola in modo fossero visibili attraverso uno spioncino posto sul dorso della fotocamera, dotato di un filtro rosso di protezione, retaggio dell’uso delle pellicole ortocromatiche, mantenuto per sola tradizione anche in seguito all’introduzione di quelle pancromatiche.
La posizione dello spioncino sul dorso corrisponde al formato dell’immagine prodotto dalla fotocamera.

Ne deriva che la carta protettiva ha un lato nero posizionato in fase di scatto a contatto con il supporto della pellicola e l’altro lato, con impressa la numerazione, posizionato sempre in fase di scatto, a contatto con il dorso della fotocamera.

Tutto ciò è vero solo per il fotogramma posto di fronte al riquadro di ripresa.
Per gli altri e più in generale per l’intera pellicola quando è parzialmente o completamente bobinata, la parte stampigliata della carta protettiva è a contatto con l’emulsione del film.

Ho cercato di schematizzare il differente effetto tra negativo e positivo che ci servirà per le prossime considerazioni.

Per quanto ho avuto modo di testare personalmente o di approfondire dai casi segnalati da utilizzatori, i possibili difetti che si sono ad oggi manifestati sul positivo ottenuto da pellicole 120 bianco e nero sono essenzialmente di tre tipi:
- puntinature bianche;
- puntinature o trame grigie o nere;
- presenza della numerazione della carta protettiva.
Partiamo dal primo.
Una puntinatura bianca sul positivo significa una corrispondente puntinatura nera sul negativo rimasta anche in seguito allo sviluppo.
Potrebbe quindi trattarsi di:
- una parte della vernice utilizzata per la stampa della numerazione che si è trasferita in modo indelebile sull’emulsione della pellicola;
- particelle della parte nera della carta a contatto con il supporto della pellicola trasferitesi anche in questo caso in modo indelebile.

Devo tuttavia dire di non aver mai riscontrato questo tipo di problematica.
Nel secondo caso invece si tratta di una parte della verniciatura trasferitasi durante il contatto e dissoltasi poi in seguito al trattamento della pellicola.
Quest’ultimo passaggio è essenziale in quanto, come spesso accade agli utilizzatori degli chassis per il grande formato, i punti di polvere che si depositano sulla pellicola impediscono che la parte da questi coperta venga impressionata in fase di ripresa e spariscono poi con lo sviluppo lasciando sul negativo un bel puntino bianco che diventerà, ad imperitura memoria, nero sul positivo.

Gli effetti descritti nelle prime due casistiche riguardano fenomeni che si presentano di norma in modo uniforme senza che si trovi traccia di scritte o bande presenti sul supporto.
Laddove è responsabile il tipo di stampa, questo fa pensare più probabilmente ad un difetto che riguarda lo strato di fissativo posizionato uniformemente al termine del processo.
Il terzo caso è il più complesso e fa riferimento ad almeno due tipologie di situazioni:
- l’esposizione delle pellicole a radiazioni, come ad esempio può accadere nei controlli aeroportuali;
- la reazione al tipo di vernice usata per la stampa della carta protettiva con un distinguo rispetto al primo ed al secondo caso visti prima.
Sulla questione delle radiazioni, ormai da anni, le modalità di scansione del bagaglio a mano nei principali aeroporti hanno di fatto reso meno probabile l’insorgenza di questo fenomeno che poteva manifestarsi anche con una pronunciata velatura della pellicola.
Molti ricorderanno i sacchetti o i box protettivi in commercio che venivano utilizzati per contenere i film evitando l’esposizione durante i controlli.
Mi è capitato negli ultimi anni di portare con me pellicola 35mm in occasione di viaggi aerei e di non aver mai rilevato alcun inconveniente in relazione al passaggio all’andata e al ritorno del bagaglio a meno negli scanner.
Nel dubbio è sempre possibile segnalare al personale addetto al controllo la pellicola nel proprio bagaglio a mano, chiedendo che possa essere tolta e ispezionata a parte senza passare nel sistema di scansione.
Un’ipotesi sulla seconda causa della stampigliatura della numerazione è invece riferibile all’effetto di velatura uniforme che la verniciatura del supporto, di carta o di materiale plastico, determina sull’emulsione.
Si tratta in questo caso di verniciatura evidentemente effettuata solo sulle parti colorate, lasciando quelle nere, tipicamente quelle con i numeri, senza nessun tipo di pigmento o strato fissativo.
Per riconoscere quale di questi due effetti ha determinato la presenza dei numeri basta a mio avviso seguire un filo logico.
Nel caso di esposizione a radiazioni è probabile che queste agiscano colpendo prima il lato esterno della pellicola e quindi impressionino sul film la numerazione del fotogramma corrispondente.

Di norma in queste situazioni non vengono ritratti solo i numeri ma anche gli altri riscontri presenti sul supporto, con una intensità differente a seconda dell’angolazione e della quantità dei raggi.
Nel secondo caso troveremo invece impressa la numerazione presente sul supporto al quale è appoggiata l’emulsione.
Di conseguenza il numero che compare non sarà coerente con la numerazione del fotogramma impressa sul bordo della pellicola.
Nell’esempio qui sotto è possibile vedere il numero 16, che si riferisce alla numerazione sulla carta corrispondente al formato 6×4,5 impresso sul fotogramma 11 riferito al formato 6×6.

Al termine di questa carrellata, ritorno come promesso sul tema dell’invecchiamento che è una questione a mio avviso più che mai centrale nella valutazione dei danni dovuti all’effetto della carta protettiva.

Si tratta, nel caso visto sopra, di invecchiamento precoce poiché, almeno in base alle mie aspettative, l’assenza di difetti del film in condizioni di conservazione normale, dovrebbe almeno arrivare alla data di scadenza impressa sulla confezione.
I produttori dichiarano di aver fatto la loro parte e di continuare ad osservare con attenzione il fenomeno.
Occorre a questo punto capire se e cosa è opportuno facciano gli utilizzatori, parlo soprattutto per me stesso, nell’adottare misure, valide da sempre e a maggior ragione nell’utilizzo del film 120, per limitare gli effetti di scatti buttati per non aver adottato misure di semplice attenzione e prudenza.
Queste misure sono a mio giudizio riepilogabili in tre brevi concetti:
- conservazione, il principio di conservare le pellicole in un luogo fresco è importante ma altrettanto essenziale è l’accorgimento di non inserire nella fotocamera una pellicola appena tolta dal frigorifero. Di norma, a seconda del delta di temperatura tra quella del frigo, solitamente di quattro o cinque gradi e quella esterna, è prudente lasciare qualche ora la pellicola ancora ben sigillata, a temperatura ambiente in modo da non far formare condensa sul film una volta aperto e messo nella macchina fotografica. Diversamente meglio conservare le pellicole in un luogo fresco e asciutto senza invadere spazi che nell’economia familiare sono riservati alle vettovaglie.
- utilizzo, si sa che oggi la fotografia analogica ha una componente riflessiva per la quale a volte pare brutto fare un rullo, fosse anche di dodici pose, in una sola volta. Occorre tuttavia prestare attenzione al fatto che una pellicola iniziata, lasciata per lungo tempo a languire, può invecchiare male e presentare inconvenienti che di norma non avrebbe.
- approvvigionamento, meglio acquistare le pellicole che occorrono rifornendosi di volta in volta piuttosto che fare inutili scorte da usare nel tempo. Un ulteriore aspetto, oggi quasi obbligato dal sistema di distribuzione di questo tipo di materiale, è l’acquisto da soggetti che abbiamo un buon smercio, prestando attenzione alla data di scadenza e alle numerazioni dai batch indicate dai produttori come esenti dai difetti dei quali stiamo parlando.
Dopo aver composto questa breve panoramica mi sono resto convinto di come vi siano ancora aspetti , in parte sconosciuti o non del tutto individuati, anche per coloro che ben più esperti di me si trovano quotidianamente a fronteggiare lamentele e critiche a causa di questo fenomeno.
Per questa ragione ho omesso, fino a dove è stato possibile, nomi e riferimenti in modo da evitare di trasformare una esperienza personale, come tale soggettiva, in un arma di giudizio.
Purtroppo è a mio avviso sempre più difficile trovare, al difuori di produttori e distributori, chi sia in grado di formulare una valutazione scientificamente sensata di questo fenomeno che in tempi passati sarebbe stato analizzato con un taglio divulgativo frutto anche dell’attività di testate che avevano di sovente alle spalle laboratori e competenze di rilievo.
Bisogna quindi accontentarsi di un approccio spesso autoreferenziale che trasforma, come avviene in questi casi, il sentimento comune in tesi accreditate.
Massimiliano Terzi
maxterzi64@gmail.com
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Purtroppo oggi il consumo di pellicola 120 non è più come una volta, quindi i rulli a volte restano molto tempo sugli scaffali dei negozi, negozi che, prima tenevano le pellicole in frigo, adesso ormai non lo fa pi nessuno,
Tutto questo fa si che il deterioramento della carta rovini la superficie della pellicola.
Per non parlare delle consegne di pellicole acquistate online, in furgoni, che in estate al loro interno arrivano facilmente a 50 gradi.
E’ dura la vita per noi pellicolari.
Ho letto con attenzione la sua lunga riflessione sui “difetti” riscontrati sulle pellicole 120. La mia personale esperienza è questa: usando sia HP5 che FP4, entrambe 120, acquistate nel 2021 quindi non scadute ed usate con la mia Holga, non scattando le 12 immagini in una sola volta ma in più giorni, dopo lo sviluppo presentavano in tutti i fotogrammi lo sgradevole effetto “neve”. Per contro ho usato 7 pellicole HP5 scadute nel 2005 e sono risultate perfette. Secondo il mio negoziante (e anche stampatore, forse l’unico rimasto nella mia città…) sostiene che dipende dalla carta che avvolge le pellicole: il nero una volta era ottenuto con l’aggiunta del piombo, adesso invece che l’Europa ne ha proibito l’uso è solo carta nera tinta che però non ptotegge la pellicola. È un ragionamento che ha qualche fondamento? Può dipendere da qualche sviluppo? Grazie
Buon giorno, nel tempo intercorso dall’uscita dell’articolo il problema sembrerebbe essere stato risolto. Ho notato che gli interventi principali hanno riguardato la plastificazione della carta come nel caso di Kodak o il cambio di tipologia di vernice di stampa come giustamente sostiene il suo stampatore. Escluderei la questione dello sviluppo.
Max